N. 12 Storia e ristampe di Gian Carlo Ferretti Guglielmo Petroni rappresenta il tipico caso di scrittore celebrato agli inizi della carriera, e poi progressivamente trascurato e dimenticato. La storia della sua fortuna editoriale e critica comincia con quella che resterà la sua opera maggiore, II mondo è una prigione, dove Petroni racconta con un equilibrio umano e stilistico perfetto la sua esperienza antifasci- sta, dall'arresto a Roma agli interrogatori e alle tortu- re di via Tasso, da Regina Coeli alla Liberazione. Il mondo è una prigione esce sul primo numero di "Bot- teghe oscure" curato da Giorgio Bassani, e viene re- censito dopo pochi mesi da Pietro Pancrazi sul "Cor- riere della Sera" del 14 settembre 1948. L'alto riconoscimento di Pancrazi si riassume in po- che righe: "7/ mondo è una prigione ha una sequenza, un ordine, un concluso ritmo, per questo è il racconto di quel particolare momento e di quelle cose, ma è an- che un racconto fuori di quel tempo, poetico e di sem- pre". Pancrazi ne coglie così la duplice intrinseca na- tura di testimonianza e racconto. L'autorevole recen- sione di Pancrazi, seguita da una sua lettera di racco- mandazione, è determinante nella decisione mondado- riana di pubblicare l'opera nella "Medusa degli italia- ni" (Fondazione Mondadori: carteggi febbraio-marzo 1949, Fondo Alberto Mondadori, fascicolo Pancrazi; Fondi Saggiatore e Autori, fascicoli Petroni). Dopo l'uscita dell'edizione mondadoriana del 1949, quel giudizio di Pancrazi, anche e verosimilmente per la riproduzione del suo articolo come prefazione, influen- zerà la critica istituzionale. Sull'"Europeo" del 21 ago- sto 1949 Emilio Cecchi riprende da Pancrazi l'idea di fondo: "La maturazione morale che si compie nella tri- stizia del carcere, passa nello stile e lo satura d'una viri- le oggettività". Accenti analoghi si trovano in Enrico Falqui, che sul "Tempo" quotidiano del 23 agosto par- la del "filtro artistico attraverso il quale passa la materia riportata alla memoria dalla causante morale (...) e dal- la indagine riflessiva"; e in Arnaldo Bocelli, che sul "Mondo" del 10 settembre parla di un libro "armoni- co" nel quale "la letteratura fa ormai tutt'uno con la sua approfondita e arricchita condizione umana". Si può dire perciò che va alla critica tradizionale e neonovecentesca il merito di aver valorizzato II mon- do è una prigione, mentre sul versante della critica en- gagée prevale il silenzio, la freddezza o la stroncatura. Due esempi dall'area comunista. Nella rubrica "Segna- lazioni" di "Rinascita" appaiono dieci righe anonime, sprezzanti e liquidatone, che arrivano a parlare di "una esercitazione letteraria riuscita solo in parte, nel com- plesso abbastanza meschina". Adriano Seroni su "Lette- ratura - Arte contemporanea" del gennaio-febbraio 1950 giudica l'opera troppo "individualistica", "disim- pegnata", "astratta" e quasi avulsa dalla drammatica ma- teria vissuta. Le informazioni dello stesso Petroni (in una nota alla successiva edizione del 1960) sulle più o meno velate accuse di "tiepidezza" e "disfattismo" prima, e sul rifiuto editoriale einaudiano del manoscritto dopo, con- fermano nella sostanza quell'atteggiamento per altra via. Sullo stesso versante della critica comunista, tutta- via, con ben altra finezza Niccolò Gallo rovescia in positivo la petroniana "poetica dell'evasione indivi- dualistica", parlando dell'"uomo, che in mezzo alle forze avverse continua a voler essere solo, per una estrema fedeltà a se stesso", e definendo il libro "uno dei più genuini sulla Resistenza" ("Società", giugno 1950). Gallo coglie così il nucleo per così dire resi- stenziale e agonistico interno a quella stessa poetica. In contrasto con quello che rappresenta comunque un notevole successo di critica, Petroni va incontro a delusioni e dissapori sul terreno promozionale e edi- toriale. Anzitutto, nonostante sia favorito, non vince il premio Viareggio 1949. E anche se dopo II mondo è una prigione Petroni viene pubblicando presso la Mondadori altre opere, i rapporti non sono mai né fa- cili né felici. Appare verosimile che pesi sulla posizio- ne di Petroni un'ipoteca di fondo: ai riconoscimenti della critica, cioè, non corrispondono risultati di mer- cato soddisfacenti per la casa editrice. Soltanto dopo una valutazione positiva da parte di Vit- torini consulente mondadoriano, dopo il Premio della critica 1959 alle sue Poesie edite da Neri Pozza, e dopo l'arrivo di Vittorio Sereni alla direzione letteraria, l'atteg- EditoriA giamento della casa editrice muta. Finché nel 1959 II mondo è una prigione viene ripubblicato nella collana maior dei "Narratori italiani" diretta da Niccolò Gallo, con l'intestazione Opere di Guglielmo Petroni, arricchito di una importante postfazione (Fondazione Mondadori: carte 1949-1960, Fondo Autori, fascicolo Petroni). Rispetto alla precedente, la bibliografia critica sull'e- dizione del 1960 non appare altrettanto vasta e interes- sante. Meritano comunque di essere ricordate le recen- sioni di Geno Pampaloni su "Epoca" del 25 dicembre 1960, che nel rovesciare apparentemente il giudizio di Pancrazi sull'opera di Petroni come "regalo della vita" in "dono (...) della letteratura", ne conferma in realtà quel raro e mirabile equilibrio, e di Claudio Varese sul "Punto" del 25 febbraio 1961, che coglie nella postfa- zione "una capacità di sperare ancora viva, di sacrificar- si anche se non si è più in grado di credere all'oggetto dei propri sacrifici". Dopo il 1960 escono altre opere di Petroni nelle collane mondadoriane, ma ancora una volta non mancano le difficoltà, che in parte spiegano il suo ricorso a editori diversi. Per restare alla Mondado- ri, nel 1962 non va in porto una progettata raccolta di prose e racconti nella collana di Gallo e Sereni "Il Tor- nasole". Per II mondo una prigione l'edizione "Oscar", programmata per il 1967-1968, non si farà prima del 1974. Petroni è di nuovo scontento, si definisce "Cene- rentola" della Mondadori (Fondazione Mondadori: carte 1962-1968, Fondo Autori, fascicolo Petroni). Ma la sua fortuna è condizionata da altre ragioni. Nonostante egli sia ben inserito nella "repubblica delle lettere", manca a Petroni quella immagine e quel ruolo di personaggio pubblico, di caposcuola o letterato egemone, che può sostenere un autore nelle sue trattati- ve editoriali e nei suoi risultati di mercato. In questo quadro sono soltanto risarcimenti parziali e tardivi due riconoscimenti quasi opposti tra loro: nel 1965 II mondo è una prigione, nell'edizione del 1960, ottiene 0 premio Prato per un'opera sulla Resistenza, appartata e severa iniziativa di nobile significato morale e politico, e nel 1974 La morte del fiume ottiene il premio Strega, rumo- rosa manifestazione letterario-promozional-mondana. Quanto alla fortuna critica vera e propria, il discor- so rimane aperto. Per tornare all'opera che ha riscos- so tanti apprezzamenti, Il mondo è una prigione, all'e- dizione del 1960 ne seguono altre (anche postume) presso vari editori. Soprattutto l'edizione feltrinellia- na del 2005, curata da Stefano Giovanardi, viene ac- colta da articoli critici e giornalistici, con una solenne presentazione in Campidoglio. Ma si va consolidando anche nelle monografie, storie, antologie, manuali un'immagine di Petroni come autore di quell'unico grande libro (con ricorso al luogo comune del "picco- lo classico"). Così emarginando di fatto le altre sue opere, e riproponendo l'esigenza (emersa in un recen- te convegno a Roma) di una rilettura più meditata e partecipe di tutta la sua produzione. ■ gcf errettiSt.iscali. it G. C. Ferretti insegna letteratura contemporanea e sistema editoriale all'Università di Parma (Collaborazione alla ricerca archivistica e bibliografica di Giulia lannuzzi). Per Paolo Boringhieri di Francesco Ciafaloni Il 16 agosto, a ottantacinque anni, è morto a Torino, nella sua casa di via Po, Paolo Boringhieri, fondato- re e animatore per trent'anni della casa editrice che portava il suo nome e che poi è diventata, cambiando proprietà, la Bollati Boringhieri. Chi, come me, nella casa editrice ha lavorato, anche solo qualche anno, magari senza riuscire a diventare davvero un redattore preciso e puntiglioso come i re- dattori dovrebbero essere, trova naturale ricordare il rigore, appunto, la cura anche estetica, materiale, per i libri, il rapporto con i consulenti, la solidarietà e l'af- fetto reciproco, se si può dire, con cui si lavorava una quarantina di anni fa. Eravamo seri. Ranchetti, quello di La mente musicale, "un sasso che ci colpisce attraverso il tempo", come ha scritto Fortini, ci sembrava un po' leggero. Ma rideva- mo anche tanto. Paolo Boringhieri, forse è noto, era molto schivo. Non amava andare alla Fiera del libro a Francoforte e qualche volta ci mandava la redazione, che saliva, con il direttore editoriale, Filippo Ambrosi- ni, sulla macchina del direttore amministrativo, Angelo Guglielmi, e rotolava su per il Gran San Bernardo, giù verso la valle del Reno e poi del Meno, fino alla Buch- messe. Andava però volentieri a discutere, nella sua of- ficina, con Palmero, il linotipista, un omone con le ma- ni da metalmeccanico, e, nel suo ufficio, con Orsello, il correttore di bozze, che partecipava ai congressi euro- pei di ortografia e riportava a casa le ultime norme comparate. E con Emilio Alessandro Panaitescu, uno straordinario traduttore poliglotta, la mano che sta die- tro lo pseudonimo più frequente nel catalogo, che per un suo insuperabile perfezionismo non ha mai firmato nulla in proprio. E comunicava anche con noi, un po' con rare parole, un po' per cenni e segnali di fumo. Da Boringhieri, come ha scritto Renzo Tomatis in II laboratorio, tanti anni fa, facevano i margini giusti. C'è un po' di imbarazzo a nominare la serie dei con- sulenti di allora, che sono una specie di Olimpo, un cielo stellato, appunto: Musatti, Radicati, Napoleoni, Geymonat, Segre, che animavano i settori costitutivi, permanenti, del catalogo, e, nel tempo, per i propri progetti, Balbo, Colli, Rodano. La funzione straordinaria della casa editrice, unica, finché è durata, nella cultura italiana, era la produzio- ne scientifica non specialistica e non divulgativa, la scienza che affronta problemi generali, importanti per tutti, comprensibile per chiunque ne impari il lin- guaggio, cui si è affiancata, nel settore psicologico cu- rato da Galli, l'Opera di Freud, curata per molti anni da Renata Colorni. Oggi forse questa cultura scientifi- ca, non specialistica e non divulgativa, non esiste più, neanche in inglese. È il caso però di far parlare chi ha collaborato con Paolo Boringhieri più a lungo e più da vicino. Cito pas- si da una intervista che Michele Ranchetti, consulente da sempre, ha rilasciato alla figlia Giulia Boringhieri, per un libro sul lavoro e la vita di suo padre, che comincia dal primo incontro. Ci sarebbero altre voci, concordi o cri- tiche, da ascoltare, ma non tutto si tiene in una pagina. 4 4 T ui era lì, a Francoforte, al suo stand, che face- JL/va finta di non essere il padrone, come si ver- gognasse di tutte quelle cose bellissime che aveva fat- to. (...) Ho portato alla Boringhieri il più grande grafico te- desco, che si chiamava Billy Fleckhaus, il grafico del- la Suhrkamp, quello che ha inventato la grafica tede- sca moderna. Io l'avevo conosciuto perché avevo fat- to un libro con lui (la storia di Wittgenstein per im- magini), e l'ho presentato a Paolo. L'altro grande grafico di Paolo è stato Enzo Mari. Mari ha fatto l'Universale economica, meravigliosa, e ha fatto anche le Opere di Freud, quelle con le righe. La copertina di Freud l'hanno decisa qui a casa mia. Paolo era qui, Mari era qui, e Mari ha presentato a Paolo la copertina del Freud con le righe lì, in quella stanza. Ci vorrebbe una lapide, quasi, perché è stata una grossa invenzione. Mari diceva che una copertina era 'giusta', non bel- la o brutta ma 'giusta'. Era buffo perché quando an- davo da Mari a Milano - e andavo spesso perché c'e- ra mia madre - gli portavo l'idea dei libri da coperti- nare, lui faceva le copertine che poi io portavo a Pao- lo, e allora Paolo diceva: 'Che belle!' E poi comincia- va a cambiarle, e le cambiava molto! Non aveva nes- sun rispetto... ! Neanche con Fleckhaus... che è come far cambiare Michelangelo! Secondo me uno dei caratteri della Boringhieri era che ogni cosa era gratificata dall'essere nel catalogo Boringhieri, non per essere in una collana piuttosto che in un'altra. Questo mi sembra essere un merito di Paolo. Poi alcune collane sono forse più riuscite di al- tre, come la USB che era straordinaria. Non era frivolo, non era uno che voleva avere succes- so o fare bella figura, non era uno che voleva stare al gio- co... era onesto. Gli interessava la produzione di cose ne- cessarie - o quasi necessarie - e non inutili, saltando del- le occasioni magari molto maggiori che non lo convince- vano perché erano appunto delle 'occasioni' che non avevano una durata nel tempo. Perché voleva fare un ca- talogo di cose da leggere perché servono. E tutti questi elementi erano solo da lui e sono rimasti solo da lui ". ■ francesco.ciafaloni@retericerca.it F. Ciafaloni è presidente del comitato "Oltre il razzismo"