N. 11 da BUENOS AIRES Francesca Ambrogetti La tormenta è il titolo del quinto libro pubblicato in Argentina dallo scrittore italiano Giovanni Jannuzzi. Diplomatico di carriera, ambasciatore a Buenos Aires dal 1998 al 2001, poeta e saggista, l'auto- re ha scritto un interessante romanzo sto- rico che punta i riflettori su un particola- re periodo del regno di Napoli, e cioè i tre ultimi anni del secolo diciottesimo. Con assoluta fedeltà ai codici del genere scelto in questa occasione per esprimersi, Jan- nuzzi racconta la storia del fallimento di una rivoluzione ma non delle idee che l'hanno ispirata, in un intreccio nel quale gareggiano l'amore e la morte. Il perso- naggio centrale è Stefano Cariati, omoni- mo e antenato del protagonista di Casa- dangelo, un romanzo precedente. Inge- nuo, quasi naif ma pieno di buon senso e coerenza, il giovane riesce ad affrontare il tradimento e il dolore in un mondo in cui l'ambizione e la ricerca spasmodica di de- naro e potere prevalgono su tutto. Una vi- cenda che affonda nel passato ma nella quale si riescono a trovare facilmente ri- scontri con il presente. Jannuzzi ha am- messo che gli inevitabili cenni autobio- grafici sono riflesso anche del suo tempo. Lo sfondo della storia è il Sud, dove mol- te cose si attenuano e affievoliscono. "Sia- mo a Napoli, non in Francia - afferma uno dei personaggi con riferimento ai venti che soffiavano da Parigi - qui tutto si sistema. C'è chi finge di volere la rivo- luzione e chi finge di combatterla ma tut- ti cercheranno di non farsi troppo male". E alla fine il protagonista riflette sul fatto che in fondo monarchia e repubblica, guerra e pace, vittorie e sconfitte, passio- ne e odio, grandezze e miserie non sono che fragili impronte nell'indifferente oceano del tempo. La tormenta, scritto in spagnolo e pubblicato dalla casa editrice argentina Letemendia, è stato presentato nella sede dell'Istituto italiano di cultura di Buenos Aires. Il direttore Ennio Bispu- ri ha ricordato il successo dei precedenti libri di Jannuzzi: Casadangelo, il volume di racconti Carita negra y otros cuentos, la raccolta di poesie Balada de la noche e il saggio Carissima Argentina, sulle espe- rienze vissute dall'autore nei tre anni di missione diplomatica in questo paese. da PARIGI Marco Filoni Sta diventando il caso letterario dell'an- no. Un giovane autore, di origini america- ne, al suo primo romanzo vince tutte le scommesse e in poche settimane diventa campione di vendite in libreria. Con un li- bro non facile, e per argomento e per mole. Les Bienveillantes, con le sue oltre novecen- to pagine, è il libro che Jonathan Littell ha da poco pubblicato per Gallimard. Ed è un libro sull'indicibile, sull'inesplicabile, sul- l'incomprensibile. Sul male assoluto, inu- II Nobel Quest'anno il Premio Nobel è stato assegnato allo scrittore turco Orhan Pamuk, assurto alle cronache anche per le sue posizioni politiche. "L'Indi- ce" gli ha dedicato una particolare at- tenzione. Il mio nome è rosso è stato recensito sul numero 11 del 2001 da Francesco Rognoni, Neve sul numero 10 del 2004 da Gaetano Bellingeri, Istanbul sul numero 7/8 di quest'anno da Giuseppe Merlino. Segnaliamo inoltre l'uscita imminente di una rac- colta di scritti e interviste con il titolo Le voci di Istanbul presso Datanews. VILLAGGIO GLOBALE mano in apparenza ma umano nell'espe- rienza storica concreta - quel male "bana- le" di cui ha scritto anche Hannah Arendt. L'autore è nato a New York nel 1967, scri- ve in francese e vive a Barcellona, dove la- vora per alcune organizzazioni non gover- native, con le quali ha preso parte a missio- ni in Bosnia e in Afghanistan. E nel suo li- bro racconta i pensieri di un ex ufficiale na- zista delle SS. Dopo la guerra, Maximilien Aue si trasferisce in Francia, dove lavora come direttore di una fabbrica di merletti. E qui scrive le sue memorie: senza penti- menti, senza scuse, senza alcun imbarazzo. Non è pentito. Ha fatto ciò che doveva fa- re. Non avanza scuse, ma racconta le sue verità. Dice di esser nato nell'epoca sbaglia- ta (1913), nel luogo sbagliato (l'Alsazia), e di aver fatto quello che ognuno di noi avrebbe fatto nella sua stessa situazione, cioè di essere complice di un genocidio. Complice non solo in quanto spettatore. Giurista di formazione, è chiamato dal regi- me nazista come funzionario della sicurez- za e poi ufficiale delle SS. Combatte la guerra contro l'Unione Sovietica, e qui par- tecipa allo sterminio degli ebrei. Guarda, prepara, redige. E lo fa in quanto tedesco. In fondo, è solamente un buon cittadino te- desco, al quale è stato chiesto di obbedire e servire. E lui obbedisce e serve. Niente di più. L'uccidere diventa un gesto meccani- co, una facile sequenza di azioni, quasi una vertigine alla quale molto velocemente ciò che chiamiamo coscienza si abitua senza poi farci più caso. Jonathan Littel ha scritto un romanzo forte, riuscito ed emozionante. Tocca nel profondo, nelle emozioni più in- time fra peccato e colpa. Senso di espiazio- ne, vendetta, abominio, paura. La tragedia che può essere l'esistenza umana. Un note- volissimo e sapiente racconto che sa inter- secare storia intima e storia collettiva, nel quale trova posto anche l'amore: un amore malato e cinico. Maximilen Aue ha avuto un'infanzia difficile, segnata dalla storia d'a- more con la sorella. Una storia finita male, nel peggiore dei modi. Ma alla quale lui ha promesso fedeltà etema. E così sarà: man- terrà la sua parola, e questo amore ance- strale lo accompagnerà - ossessivamente - nella sua vita. Quindi rapporti sessuali con altri uomini, incubi, febbre e vomito sono il prezzo che pagherà per quella promessa. Autodistruzione: come se la distruzione che compie si riflettesse su di lui, una lenta abrasione dei sentimenti che lo consuma e che si diffonde nel corpo fra dissoluzione e follia. Les Bienveillantes è un libro che im- pone al lettore l'obbligo della partecipazio- ne. Non è possibile leggerlo senza esser ti- rati in causa. Con il suo groviglio di con- traddizioni, repulsioni e intime mediocrità dalle quali nessun essere umano è esente, costringe a guardarsi dentro. È la dialettica dello specchio, che solo pochi romanzi rie- scono a stabilire. Il grande successo si spie- ga, in fondo, con il valore stesso dell'opera. Una volta tanto va detto: si tratta di un grande libro, perché il vero protagonista al quale sono rivolte le domande di Maximi- len Aue altri non è che il lettore. da LONDRA Robert Gordon Forse nessuno scrittore inglese ha sapu- to rappresentare e interpretare, dagli anni cinquanta in poi, il mondo stravolto del futuro prossimo, dislocato e tecnologizza- to, alienato e propenso alla violenza, co- me James G. Ballard. Creatore di una se- rie di miti moderni, dalle macchine eroti- cizzate di Crash alla reinvenzione, nella distopia urbana del reticolo stradale di Londra, del mito di Robinson Crusoe, nel suo Concrete Island, Ballard è stato capa- ce di prevedere un'iper-modernità ante litteram. Ormai al suo ventesimo roman- zo e oltre, esce Kingdom Come (letteral- mente "Venga il regno", frase tratta dal Lord's Prayer: da sempre, Ballard è un grande apocalittico). L'obiettivo, questa come altre volte, è il consumismo: il pro- tagonista, Richard Pearson, si reca in un centro commerciale immenso, alla perife- ria di Londra, per indagare sulla morte violenta del padre. All'interno di questo luogo seduttivo, ma infernale e chiuso, svela un mondo misterioso e minaccioso, una lotta tra fascismi moderni (e neanche tanto moderni). Infatti, le invenzioni di Ballard non sono fatte solo di paradosso, ma di intento spesso fortemente ideologi- co: in questo senso, il nostro è uno scrit- tore molto poco inglese. La critica è divi- sa: per alcuni, in questo romanzo Ballard è rimasto bloccato a un immaginario crea- to tra gli anni sessanta e settanta - stile Pasolini, diciamo - in cui consumismo e fascismo si equivalgono fin troppo facil- mente. Per altri, ancora a settantasei anni, lo scrittore riesce in modo sconcertante a intuire le noùre psicopatologie presenti e future, tra piaceri e violenze esasperate. Le immagini Le immagini di questo numero sono tratte da Budapest 1936. La rivoluzione, fotografie di Erich Lessing, testi di Erich Lessing, Francois Fejto, Gyorgy Konràd, Nicolas Bauquet, pp. 252, € 50, Marietti, Milano 2006. A p. 4, Salvataggio di libri tra le rovine. A p. 5, Il blindato catturato visto dall'al- to, nel vicolo Corvin. A p. 6, Al vicolo Corvin, gli insorti rice- vono medicine, fasciature e pane. A p. 8, Una riunione dei membri di una cooperativa di produzione agricola a Karcag dopo la rivoluzione. A p. 21, Piazza Felvonulàsi (piazza delle Parate) durante l'estate 1936. La statua di bronzo di Stalin, che verrà deposta il 23 ot- tobre 1936, è ancora al suo posto. A p. 23, Consiglio di produzione a Sztà- linvàros. A p. 24, Gergely Pongràtz, comandante del vicolo Corvin, in una foto del 1998. Nel 1956 emigrò negli Stati Uniti, dove diventò fattore. Rimpatriato nel 1990, è morto nel 2005. A p. 27, Sfilate di moda a Budapest. A p. 29, Contadine vendono i loro pro- dotti al mercato. A p. 35, Consiglio di brigata socialista. Durante i consìgli di brigata si procedeva alla ripartizione del lavoro, si pianificavano le raccolte e si facevano i conti. A p. 36, Venditrice di giochi al mercato.