LINDICE * Bìdei libri del meseBì w Politica Essere cittadini conviene di Francesco Ciafaloni Laura Balbo IN CHE RAZZA DI SOCIETÀ VIVREMO? L'Europa, i razzismi, il futuro pp. 149, €11, Bruno Mondatori, Milano 2006 FAMILISMO LEGALE Come (non) diventare italiani a cura di Giovanna Zincone pp 179, €10, Laterza, Bari 2006 Anche noi siamo diventati una società mista, culturalmente e cromaticamente. Per ora meno di altri paesi europei con immigrazioni più antiche, come Francia e Inghilterra, o di immigrazione costitutiva, come Stati Uniti, Canada, Australia. In futuro altrettanto, forse anche di più, dato il quarantennio di frenata e poi di buco demografico. Il libro di Laura Balbo è un messaggio, o meglio un insieme di messaggi, dal vasto mondo, ciascuno dei quali è una analisi, una proposta, uno strumento culturale, un suggerimento per far fronte ad almeno qualcuno dei problemi nuovi, o per utilizzare qualcuna delle nuove risorse che l'accresciuta nostra varietà porterà con sé. La premessa dei messaggi è che la costruzione della separatezza e della contrapposizione comincia dalle parole, dal modo in cui ci dividiamo in noi e loro, a quello in cui attribuiamo ad altri o a noi una caratteristica o battezziamo i nuovi venuti, e alle conseguenze pratiche che facciamo derivare dalla attribuzione o dal battesimo. Il messaggero si muove in alto, non solo sopra Berlino, ma anche sopra Los Angeles e metropoli consimili, parla con ricercatrici e ricercatori che in quelle metropoli lì di battesimi degli altri e dei conflitti che ne discendono si sono occupati molto, e ci manda delle illuminazioni. Non una trattazione sistematica, ma qualche bibliografia di partenza, qualche mutamento in corso, qualche cattiva pratica, qualche possibile cambiamento. Le autrici e gli autori più citati sono, oltre che usati nel testo, anche ripresi in appendice in una sorta di sintesi bio-bibliografica, che è un invito alla lettura: si tratta di Aleksandra Alund, Dar Bar-On, Assia Djebar, Phi-lomena Essed, beli hooks, Pap Khouma, Renate Siebert. I temi sono quelli del razzismo cromatico, della esclusione dei non bianchi, delle migrazioni, con particolare attenzione alle migrazioni transnazionali, alle "diaspore", come spesso si dice ora, dell'immigrazione in Europa e in Italia, dell'irregolarità e dei vari modi di definirla e sanzionarla, della condizione delle donne migranti, di razzismo e antirazzismo in vari paesi europei, dell'enpowerment. Chiude un intervento effettuato a Ferrara, su cosa significhi parlare di razzismo, quasi dieci anni fa. Sono tutti elementi su aspetti singoli che possono servire ad affrontare in modo aperto una società che sarà, in ogni caso, più varia di quella attuale. Laura Balbo non è certo nuova al tema. E non ha mai addolcito le analisi, non è mai stata travolta da ondate di ottimismo. Non si è mai illusa che apertura e varietà non generassero anche esclusione, discriminazione, pretese di gerarchie. La sua speranza, fin dall'inizio dell'immigrazione in Italia, era che si potesse contribuire, con conoscenza e apertura, a una società poco razzista. Una società di spaesati, che siano capaci di guardarsi dall'esterno e collocarsi in un mondo in cui identità forti, totali, sempre pericolose, sono divenute semplicemente impossibili. Con questa raccolta di messaggi ci dà, in questo mondo di reti, una rete, che ha buone probabilità di offrire qualche punto di appiglio ad almeno qualcuno, forse persone diverse nei vari punti. Certo, da quando i testi citati sono stati scritti, molte cose sono cambiate nel mondo e in Italia. Non solo sono cambiati i colori degli immigrati più frequenti e la fortezza Europa si è chiusa in una serie di cerchi che rende difficile persino uscire dai paesi dell'Africa subsahariana per arrivare alla sponda sud del Mediterraneo. (E molto interessante in proposito la relazione introduttiva a un recente convegno del Cespi, il 6 luglio scorso, a Roma, a cura di Ferruccio Pastore). Ma è partita in grande la ideologizza-zione nazionalistica e xenofoba dell'esclusione di almeno alcuni stranieri. Laura Balbo dice che di islam non parlerà. Purtroppo ne ha parlato moltissimo Oriana Fallaci. L'antislamismo è diventata una caratteristica implicita ma pervasiva del linguaggio corrente. Non è più questione di bianco non bianco - tema che è sempre lì, ma non viene sbandierato sulla grande stampa -, ma si tratta di guerra al terrorismo, di quarta guerra mondiale, come qualcuno dice con pericolosa metafora. Gli islamici, quelli che vengono da paesi di tradizione islamica, credenti o no, praticanti o no, pacifici o violenti, sono sempre sospetti. Loro non distinguono tra religione e politica, loro non hanno una tradizione democratica. Noi invece ci siamo ricostruiti uno stupendo linguaggio coloniale, da fine belle époque, per cui se facciamo una guerra per assicurarci il petrolio diciamo di star portando la democrazia. Inoltre noi, gli europei e, in particolare gli italiani, a loro non diamo la cittadinanza se vengono a lavorare da noi, non li facciamo votare neanche per i comuni, mentre consentiamo non solo il mantenimento a tempo indeterminato della cit- tadinanza italiana ai nostri emigranti e riconosciamo la riac-quisizione della cittadinanza per i discendenti anche per un solo bisnonno. Perciò una parte importante e crescente dei lavoratori non ha il diritto di voto. La parte più importante della discriminazione non è culturale, ma giuridica e riguarda la discriminazione all'ingresso e quella tra residenti per mancanza della cittadinanza. A questo proposito, oltre a contributi giuridici degli anni scorsi, è molto interessante e totalmente condivisibile il libretto scritto in gran parte e curato da Giovanna Zincone, che include un contributo storico di Guido Tintori sulla politica della cittadinanza è dell'emigrazione in epoca liberale e fascista e uno statistico di Gerardo Gallo e Guido Tintori su come si diventa cittadini italiani, che costituiscono anche parte della base della introduzione e dei due contributi della curatrice. L'autrice ha una competenza indubbia, non solo giuridica, sui problemi dell'immigrazione, dirige una rete di ricerca su questo tema, ha svolto e svolge importanti funzioni istituzionali. Non gode fama di particolare buonismo, ma la sua anima liberale e il suo buon senso sociologico devono aver trovato intollerabile l'insieme di provvedimenti, dalla legge peggiorativa del '92 al proseguimento della politica del doppio standard e degli ingressi di fatto, che in sostanza favoriscono il periodico accumularsi di centinaia di migliaia di irregolari, il lavoro nero, i matrimoni di convenienza, il fallimentare incentivo al ritorno dei discendenti dei vecchi emigranti. In pratica, l'unico modo per avere in tempi ragionevoli la cittadinanza italiana senza essere discendenti di cittadini italiani resta il matrimonio, il numero dei recuperi di cittadinanza di discendenti di italiani resta un multiplo di quello delle cittadinanze concesse, tutta la normativa tende a esaltare la precarietà e non l'integrazione dello straniero. Siamo il paese europeo che è rimasto più legato allo ius san-guinis, superando anche l'Austria e la Germania, mantenendo una sostanziale continuità con la normativa fascista, indipendentemente dalla maggioranza di governo. Siccome i numeri degli immigrati, in particolare dei minori non cittadini che frequentano le nostre scuole, diventerà per qualche decennio sempre più importante, un accesso rapido e non traumatico alla cittadinanza, dopo un periodo che dovrebbe rassomigliare alla metà degli attuali dieci anni, in particolare per i minori arrivati da piccoli o nati qui, è fondamentale per una civile convivenza. Naturalmente, se i mutamenti giuridici ci saranno torneranno a essere fondamentali gli elementi culturali, che già potrebbero essere importanti nel percorso di acquisizione della cittadinanza, ma bisogna sbrigarsi a cambiare. ■ francesco.ciafaloni@retericerca.it F. Ciafaloni è presidente del Comitato "Oltre il razzismo" Il principio della continuità di Paolo Soddu Roberto Gualtieri L'ITALIA DAL 1943 AL1992 DC e PCI nella storia della Repubblica pp. 301, €23,50, Carocci, Roma 2006 Gualtieri ha raccolto e rielaborato, in questo denso volume, scritti precedenti sull'arco di storia italiana che si inerpica dal 1943, e dal crollo del regime fascista, sino alla crisi dissolutiva dei soggetti costituenti nel 1992.1 protagonisti sono De e Pei, le due maggiori forze della "repubblica dei partiti", come l'ha definita Pietro Scoppola. L'approccio interpretativo di Gualtieri si fonda infatti sulla centralità pressoché esclusiva dei due partiti e sull'accentuazione della loro funzione "riformistica", così come, servendosi di una ricca documentazione archivistica, sulla connessione tra internazionale e nazionale e tra politica ed economia. La centralità di De e Pei - ma per Gualtieri la De era il sole intorno al quale ruotavano tutti i partiti, comunisti compresi - si afferma fin dai mesi seguenti lo sfacelo della dittatura fascista. Al contrario del Pd'A e del Psiup, i due partiti principali seppero predisporre un processo costituente e organizzare le masse, costruendo i mattoni necessari alla edificazione di una democrazia liberale e al riaccostamento dell'Italia all'Europa. A ragione Gualtieri sottolinea che il risultato di quel travaglio ha a che fare con il principio della continuità: la repubblica, la costituzione e la rielaborazione del nesso nazionale-internazionale ne furono le maggiori e sempre conflittuali espressioni. Lungi dal ritenere il centrismo una "restaurazione moderata", l'autore ne evidenzia, specie nel triennio 1950-1953, l'afflato riformatore nel quadro della decisa opzione euroatlantica di De Gasperi. Specularmente, scorge un animus riformista nel Pei di Togliatti: l'orientamento delle masse del "partito nuovo" fu di impulso alle riforme strutturali di quella fase. La fallita stabilizzazione della "legge truffa" aprì poi una fase convulsa, ma non meno vivace, segnata dal "nuovo centrismo riformatore" e dal centrosinistra di Fanfani, sempre nel quadro di una continua rielaborazione del vincolo esterno, assai stringente per un paese fragile. Furono queste le basi dell'impetuoso sviluppo economico che trasformò l'Italia, inserendola pienamente nella rivoluzione dei consumi. Il sistema politico strutturò appieno la giovane democrazia italiana, e realizzò una modernizzazione senza precedenti. Ma non sep- pe affrontarne alcuni nodi decisivi, come le nuove sfide del capitalismo maturo e quelle antiche degli squilibri strutturali. Il centrosinistra, la solidarietà nazionale e il compromesso storico sono rivelatori del passo diverso delle classi dirigenti rispetto ai primi due decenni. Fallita la stabilizzazione consensuale, "la 'repubblica dei partiti' era finita, ma i suoi protagonisti non se ne accorsero". Seguì, sulla scia dei mutamenti innescati dalla presidenza Rea-gan, una "stabilizzazione monetarista", che presupponeva un ruolo residuale della politica, ridotta ad agenzia del consenso. La fine della guerra fredda e l'ulteriore impulso europeo incalzato dall'economia globale ne svelarono la precarietà, provocandone il crollo. Gualtieri fissa quindi negli anni settanta le origini della crisi dissolutiva dei partiti di massa e nega con ragione valore euristico a un approccio fondato sull'eccezione italiana. Il paese seguì infatti un cammino comune a quello percorso degli altri paesi europei, sebbene un dato peculiare vi fosse: il sistema politico bloccato. Quest'ultimo era consustanziale alla natura dissociativa della democrazia italiana e sui modi del suo superamento si spesero le migliori intelligenze politiche. Trovava infatti fondamento in fenomeni di lunga durata, ma anche nella persistenza dei dualismi, delle arretratezze e di una pervasiva subcultura corporativa. L'avere prestato esclusiva attenzione ai partiti di massa comporta tuttavia la sostanziale assenza delle altre culture politiche, a cominciare dalla sinistra democratica nelle sue differenti aiticolazioni. A essa, nonostante una visione un po' stereotipata dell'azionismo, Gualtieri deve, nella sua interpretazione, più di quanto non creda. La spia lessicale è la definizione di'"forze della 'finanza laica', raccolte intorno a Bruno Visentini e Eugenio Scalfari", definizione volta a disegnare un soggetto il cui peso rilevante nell'Italia repubblicana scaturiva da ragioni storiche, culturali e politiche di fondo, assai chiare a De Gasperi, a Moro, a Berlinguer e anche, in fondo, a Togliatti. Quella cultura finì con il sopravvalutare l'indispensabilità - il pensiero va a Ugo La Malfa - dei soggetti costituenti, interpretandone peraltro la crisi come disgregazione della democrazia italiana. Ma chi comprese che la repubblica era diventata adulta e si era emancipata dai suoi soggetti fondanti? Nonostante la retorica della "grande riforma", erano tali soggetti a non avere più vita: la loro morte, nonostante le avventurose peripezie dell'ultimo dodicennio, non ha tuttavia trascinato con sé la repubblica democratica rafforzata dalla costituzione nata nel 1948 e riconfermata con il voto popolare del 2006. ■ p_soddu@tin.it P. Soddu insegna storia contemporanea all'Università di Cremona L'Italia dal 1943 al 1992