HNDICF ■■□TI LIBRI DELMESEH da BUENOS AIRES Francesca Ambrogetti Quale migliore occasione di un mondiale per favorire un incontro tra due mondi - il calcio e la letteratura - in apparenza, ma forse soltanto in apparenza, molto lontani. Prima, durante e dopo il campionato varie case editrici argentine hanno lanciato nuovi libri sullo sport che suscita tanta passione in questo paese. Uno dei volumi di maggior successo, giunto nelle librerie in contemporanea con il mondiale, si intitola tìablemos de futbol. Gli autori sono il giornalista sportivo Victor Hugo Morales e l'ex calciatore Roberto Perfumo. Il libro, nato dalla loro esperienza come presentatori di un omonimo programma televisivo, è un'interessante raccolta di frasi, commenti, interviste e riflessioni sul calcio. Il primo capitolo è dedicato - poteva essere altrimenti? - a Diego Armando Maradona, con la riproduzione di una delle sue prime interviste dopo l'intervento che lo ha fatto dimagrire, allontanare dalla droga e tornare a essere se stesso. "E come se mi fossi strappato una benda dagli occhi - racconta l'ex fuoriclasse - e oggi riesco a vedere ciò che accade intorno a me come nel campo da gioco quando sapevo benissimo dove erano i miei compagni e i miei rivali". La patria traspirada di Juan Sasturain racconta la storia della partecipazione argentina in tutti i mondiali dal 1930 al 2002. La pasión segùn Valdano di Ariel Scher è una lunga intervista dell'autore con l'ex calciatore Jorge Valdano, mentre Que sabe usted de los mundialesì di Mariano Suarez propone ai lettori un quiz sui campionati. Ma forse il volume più interessante è Dios es redondo dello scrittore messicano Juan Villoro, che con alcune metafore religiose - paragona ad esempio gli stadi alle cattedrali, i calciatori agli apostoli e gli arbitri agli angeli del male - tenta di far capire agli agnostici il senso della fede calcistica. Comunque nel bene e nel male molti grandi scrittori argentini e latinoamericani si sono occupati di calcio. A cominciare da Borges che lo ha definito "una cosa stupida da inglesi", mentre altri autori come Ernesto Sabato, Gabriel Garda Marquez o Mario Vargas Llosa non hanno mai nascosto la loro passione. Eduardo Galeano gli ha dedicato il libro Futbol a sol y a sombra, Mario Benedetti il bellissimo racconto Punterò izquierdo inserito nella sua raccolta Montevideanos e Osvaldo Soriano due capitoli del volume Rebeldes, sonadores y fugitivos. da PARIGI Marco Filoni Storici a confronto. Ovvero quando la storia affronta la memoria. Le due cose sono ben distinte. Lo sanno bene i francesi, che da qualche tempo discutono del tema. Tutto ha avuto inizio con le polemiche suscitate dalla petizione "Libertà per la Storia": una ventina di storici primi firmatari hanno redatto questo documento in favore della libertà di ricerca e di giudizio dello storico - preoccupati per i sempre più frequenti interventi della politica e le procedure giudiziarie a carico degli studiosi. A con- VILLAGGIO GLOBALE tribuire alla discussione c'è il progetto di legge "mémorielle" che sanziona come delitto la negazione del genocidio armeno - una legge che sarà certamente varata con la ripresa dei lavori parlamentari dopo l'estate, dopo vari tentativi di promuoverla (alla fine il suo principale fautore, l'ex ministro Patrick Devidjian, la attenuerà con un emendamento che escluda i ricercatori e gli storici dal campo delle legge). Per avere un quadro significativo e chiaro della questione conviene leggere l'ottimo libretto di conversazioni che lo storico e politologo René Rémond ha condotto con il filosofo Francois Azouvi (Quand l'Etat se mèle de l'Histoire, presso l'editore Stock). La conversazione fra i due è appassionante, pacata, e affronta tutti i grandi temi fra storia e memoria: l'affare Touvier, la tratta degli schiavi, la guerra d'Algeria ecc. Fino all'attualità. Qui il discorso si fa più coinvolgente e la conversazione si infiamma. Come quando Azouvi evoca l'ipotesi di un genocidio vandeano: Rémond risponde che se ogni volta ci rimettiamo a una maggioranza parlamentare è la morte della ricerca storica oggettiva. Rémond considera i negazionisti una sorta di malati mentali e perversi animati da intenzioni criminali, ma è la legge classica che già punisce l'incitazione all'odio razziale. Non è necessaria crearne una appositamente per loro. E così via, toccando Il nuovo bando del Premio Paola Biocca per il reportage Settima edizione 2006-2007 1) L'Associazione per il Premio Italo Calvino, in collaborazione con la rivista "L'Indice", e il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (C.N.C.A.) bandiscono il Premio Paola Biocca per il reportage. Paola Biocca, alla cui memoria il premio è dedicato, è scomparsa tragicamente il 12 novembre 1999 nel corso di una missione umanitaria in Kosovo. A lei, per il romanzo Buio a Gerusalemme, era andato nel 1998 il Premio Calvino. Attiva nel mondo del volontariato, pacifista e scrittrice, con la sua vita e il suo impegno Paola ha lasciato alcune consegne precise. Ricordarla con un premio per il reportage è un modo di dare continuità al suo lavoro. 2) Il reportage, genere letterario che si nutre di modalità e forme diverse (inchieste, storie, interviste, testimonianze, cronache, note di viaggio) e che nasce da una forte passione civile e di conoscenza, risponde all'urgenza di indagare, raccontare e spiegare il mondo di oggi nella sua complessa contraddittorietà. Con il reportage il giornalismo acquista uno stile e la letteratura è obbligata a riferire su una realtà. 3) Si concorre al Premio Paola Biocca per il reportage inviando un testo - inedito oppure edito non in forma di libro - che si riferisca a realtà attuali. Il testo deve essere di ampiezza non inferiore a 10 e non superiore a 20 cartelle da 2000 battute ciascuna. 4) Si chiede all'autore di indicare nome e cognome, indirizzo, numero di telefono, e-mail e data di nascita, e di riportare la seguente autorizzazione firmata: "Autorizzo l'uso dei miei dati personali ai sensi della L.196/03". 5) Occorre inviare del testo due copie cartacee, in plico raccomandato, e una digitale per e- mail o su dischetto alla segreteria del Premio Paola Biocca (c/o "L'Indice", Via Madama Cristina 16, 10125 Torino; e-mail: premio.bioc-ca@tin.it). 6) Il testo deve essere spedito entro e non oltre il 20 dicembre 2006 (fa fede la data del timbro postale). I manoscritti non verranno restituiti. 7) Per partecipare si richiede di inviare per mezzo di vaglia postale (intestato a: Associazione per il Premio Calvino, c/o L'Indice, via Madama Cristina 16,10125 Torino) euro 35,00 che serviranno a coprire le spese di segreteria del premio. 8) La giuria, composta da Vinicio Albanesi, Maurizio Chierici, Delia Frigessi, Filippo La Porta, Gad Lerner, Maria Nadotti, Maria Pace Ottieri, designerà l'opera vincitrice, alla quale sarà attribuito un premio di euro 1.500,00. 9) L'esito del concorso sarà reso noto entro il mese di giugno 2007 mediante un comunicato stampa e la comunicazione sulla rivista "L'Indi- » ce . 10) "L'Indice" e il C.N.C.A si riservano il diritto di pubblicare - in parte o integralmente -l'opera premiata. 11) La partecipazione al premio comporta l'accettazione e l'osservanza di tutte le norme del presente regolamento. Il premio si finanzia attraverso la sottoscrizione dei singoli, di enti e di società. Per ulteriori informazioni si può telefonare alla segreteria del premio (011-6693934, mercoledì e venerdì mattina dalle ore 9.30 alle 12.30); scrivere all'indirizzo e-mail: premio.biocca@tin. ìt; consultare il sito www.lindice. com. tutti i punti più importanti e controversi della storia e del mestiere dello storico. Per arrivare a una verità essenziale: la storia non è la memoria. La prima è generale, la seconda è quella di un gruppo. Certo, la memoria è un'ingiunzione e un imperativo, come vuole ormai il sacrosanto "dovere di memoria". E la storia, dal canto suo, deve assicurare delle verità oggettive che non devono esser negate, tenendo conto anche che gli avvenimenti storici si caratterizzano per la loro ambivalenza. Una contraddizione con la quale lo storico deve fare i conti. E René Rémond non si tira indietro, offrendo un godibile affresco di questo mestiere tanto difficile quanto appassionante. da LONDRA Pierpaolo Antonello Se c'è un tema di discussione filosofica che sta appassionando la sinistra italiana da un paio d'anni a questa parte è il darwinismo e la sua difesa. Mai prima d'ora una teoria, in passato criticata perché in odore di derive reazionarie, ha cambiato improvvisamente di segno ideologico, diventando un cavallo di battaglia del laicismo e del materialismo contemporanei. In Gran Bretagna questo problema si è posto con meno urgenza, visto che l'evoluzionismo è sempre stata una teoria assolutamente egemone e indiscussa. E questo risulta evidente anche nelle scelte editoriali e nelle vendite in libreria. L'ultimo esempio sono i due volumi celebrativi del trentennale della pubblicazione di 11 gene egoista di Richard Dawkins, uno dei libri di maggiore impatto nella pubblicistica scientifica del XX secolo. La Oxford University Press ha infatti pubblicato contemporaneamente The selfish gene. Thirtieth anni-versary edition, con una nuova prefazione dell'autore, e un'antologia a cura di Alan Grafen e Mark Ridley: Richard Dawkins. How a scientist changed the way we think. E la fortuna di Dawkins si è costruita proprio attorno a questa metafora, l'egoismo dei geni, quanto mai controversa e ambigua, e che a molti è apparsa come un'espressione esemplare dell'individualismo metodologico di certa cultura anglosassone, assunto a strumento esplicativo universale. Ovviamente molto è stato ridiscusso, anche dallo stesso Dawkins, di quanto un po' troppo trascurato in quel libro, come l'origine e il ruolo evolutivo dell'altruismo animale e umano, la selezione di gruppo, il mutualismo interspecifico. È interessante comunque vedere come un filosofo americano come Daniel Dennett, da sempre paladino e strenuo difensore del darwinismo, nel suo ultimo Breaking the Speli. Religion as a Naturai Phenomena (Alien Lane) porti un nuovo attacco al creazionismo e alla religione facendo leva soprattutto su uno dei punti più deboli della teoria di Dawkins: i memi, le unità minime di trasmissione culturale. Ipotesi interessante, ma certamente insufficiente per spiegare il successo antropologico e le migliaia di anni di storia delle religioni mondiali.