Ridare voce ai mercati di Roberto Marchionatti Alfredo Gigliobianco VIA NAZIONALE Banca d'Italia e classe dirigente Cento anni di storia pp. 1X404, €27,50, Donzelli, Roma 2006 II libro è dedicato allo studio, attraverso lo strumento della biografia collettiva, di una componente fondamentale della classe dirigente italiana: quella che ha gestito la Banca d'Italia dalla sua fondazione fino agli anni ottanta del Novecento. I personaggi ritratti sono in primo luogo i governatori. La Banca d'Italia nacque nel 1893, in un momento di profonda crisi istituzionale a seguito dello scandalo della Banca romana che travolse 0 governo Giolitti, a cui seguì la legge sul riordinamento degli istituti di emissione. Fu però soltanto negli anni 1900-1930 che la banca conquistò un ruolo centrale nel panorama istituzionale italiano. La figura dominante fu quella di Bonaldo Stringher, successore di Giuseppe Marchiori, che aveva guidato la banca nel primo periodo. Nella gestione della moneta Stringher favorì un certo grado di discrezionalità, per poter fornire liquidità al sistema in momenti di difficoltà. Sul piano extrabancario svolse un ruolo di mediatore fra lo stato e gruppi capitalistici privati, o fra gruppi privati in contrasto. Nella fase di crisi economica e sociale seguita al primo conflitto mondiale diventò "in pratica il gestore prò tempore di una fetta consistente dell'industria e della finanza italiane". Con l'affermazione del fascismo lo spazio di manovra della Banca d'Italia si ridusse in ambito extraistituzionale, nello stesso tempo aumentando però il potere nel campo della gestione della moneta. Nel periodo successivo, dagli anni trenta fino agli anni della guerra, sotto il governatorato di Vincenzo Azzoli-ni, si accentuò l'emarginazione della banca. Di fatto essa fu resa un semplice braccio operativo dello stato, anche se le vennero attribuiti importanti riconoscimenti formali: la legge bancaria ne fece un istituto di diritto pubblico, istituzionalmente incaricato dell'emissione monetaria. Alla fine del biennio 1943-44, ' in cui la guida della banca fu affidata a commissari straordinari, fu nominato governatore Luigi Einaudi. Affiancato da Donato Me-nichella, Einaudi affrontò le questioni dell'inflazione e dello status della lira nel contesto internazionale. Per quanto riguarda la prima questione, con la stretta monetaria Einaudi riuscì ad arrestare l'inflazione, ma, secondo la non del tutto condivisibile rico- struzione dell'autore, l'ideatore e il propulsore della misura chiave della stabilizzazione monetaria, cioè la trasformazione della riserva obbligatoria da strumento di vigilanza in strumento di politica monetaria, fu Menichella e non Einaudi. Sul piano internazionale, Einaudi fu favorevole al trattato di Bretton Woods, ritenendolo sostanzialmente una riproposizione del sistema aureo. Quando Einaudi lasciò la banca fu sostituito da Menichella, il quale, nominato governatore nell'agosto del 1948, condusse una politica il cui tono generale fu ispirato alle idee di Einaudi, perseguendo la stabilità monetaria come mezzo per raggiungere in modo duraturo il fine di portare l'Italia fuori dall'arretratezza e dell'isolamento economico. Nel periodo successivo, tra il 1960 e il 1979, anni in cui il paese dovette confrontarsi con grandi eventi traumatici, quali le rivendicazioni operaie, la crisi energetica, il crollo del sistema monetario internazionale, la banca fu guidata da Guido Carli e Paolo Baffi. Con Carli essa tornò ad assumere una posizione centrale nella vita del paese: al ruolo fondamentale nel convogliare il risparmio verso l'investimento a fini di sviluppo, si aggiunse l'impegno in numerosi compiti extraistituzionali. Carli fu oggetto di giudizi contrastanti, rimproverato di occuparsi di troppe cose e di non focalizzarsi sulla stabilità dei prezzi. Egli stesso, in sede di bilancio finale della sua opera, osservò che l'aspetto negativo della sua partecipazione de facto all'esecutivo fu di coinvolgere la banca in una serie di decisioni di politica economica, talvolta privandola dell'autonomia e della libertà d'azione nel campo della politica monetaria. Diversa la figura di Paolo Baffi. Studioso di valore, per lungo tempo a capo dell'ufficio studi della banca, fu di Carli un collaboratore critico, favorevole alle soluzioni liberiste e attento ai rischi di degenerazione burocratica. Come governatore il "motivo dominante della sua politica fu l'intento di ridar voce ai mercati ", ma nelle situazioni di emergenza in cui si trovò a operare fece ampio uso di quegli stessi vincoli amministrativi messi a punto nel quinquennio precedente. Con il vicedirettore generale Mario Sarcinelli, cercò di contrastare i fenomeni degenerativi che si manifestavano in quegli anni, usando senza timori lo strumento delle ispezioni. Fu in questo contesto che i due vennero incriminati, accusati di non aver trasmesso all'autorità giudiziaria le notizie contenute in un rapporto ispettivo, in realtà un atto di ritorsione per atti di vigilanza sgraditi a gruppi economici intrecciati con partiti o correnti politiche di governo. Il volume si chiude con un breve capitolo dedicato al governatorato di Ciampi e con un tentativo finale di classificazione dei banchieri centrali per origini, formazione e carriera. ■ roberto.marchionatti@unito.it R. Marchionatti insegna economia politica all'Università di Torino Politica Biografia collettiva di Gianfranco La Grassa Louis Althusser, Etienne Balibar, Roger Establet, Pierre Macherey e Jacques Rancière LEGGERE IL CAPITALE ed. orig. 1965, a cura di Maria Turchetto, pp. 428, €30, Mìmesis, Milano 2006 Si tratta della prima edizione italiana completa del seminario tenuto da Althusser e allievi nel 1964-65 all'École Normale Supérieure di Parigi. Impossibile in poche righe sintetizzare le complesse argomentazioni svolte, avendo come obiettivo un radicale ripensamento (e rilettura) della massima opera di Marx. Meglio esporre, telegraficamente, come all'epoca si colse, il significato, profondamente rivoluzionario, del testo in esame. Contro lo storicismo e la concezione di un evolversi della società regolato dal predominante influsso dello sviluppo delle forze produttive -a opera di un soggetto umano guidato dalla teleologia del suo lavoro (tutta la tematica dell'"ape e l'architetto") - il lavoro teorico della scuola althusseriana riponeva al centro del pensiero marxiano l'analisi strutturale, cioè quella dei rapporti sociali (di produzione). In definitiva, Leggere il Capitale è una raffinata, profonda e assai ramificata ed estesa riflessione sulle tesi contenute in poche e sommarie righe di Marx nella prefazione a II Capitale: "Qui si tratta delle persone soltanto in quanto sono la personificazione di categorie economiche, incarnazione di determinati rapporti e di determinati interessi di classi. Il mio punto di vista, che concepisce lo sviluppo della formazione economica della società come processo di storia naturale, può meno che mai rendere il singolo responsabile di rapporti dei quali esso rimane socialmente creatura" (corsivi nel testo). Le determinanti sociali degli individui sono le strutture dei rapporti; ed è tramite l'analisi di queste che, per dirla con Althusser, Marx aprì alla scienza il "Continente storia". Concentrare l'indagine su queste strutture - come si propone e si fa in Leggere il Capitale - significa apportare un colpo decisivo allo schema "classico" del marxismo economicistico della Per lettori navigati www.lindice.com tradizione: lo sviluppo delle forze produttive incontra, al suo "massimo" livello, l'ostacolo rappresentato dal vecchio involucro dei rapporti di produzione (pensati come relazioni di proprietà dei mezzi produttivi); questo involucro viene dunque spezzato; tutta la "sovrastruttura" politico-ideologica che si erge su quella "base" (rapporti di produzione) viene rovesciata e trasformata. Senza alcuna sottovalutazione dei problemi dello sviluppo, la lettura althusseriana di Marx pone l'accento sul rivoluzionamento dei rapporti sociali; di cui si deve però conoscere la struttura in quanto da essa nasce tutta la problematica della lotta tra le classi (dominanti e dominate). Il soggetto umano, con la sua teleologia del (e nel) lavoro, viene espunto dalla scienza della "storia". Inoltre, la struttura sociale non è soltanto di tipo economico-produttivo; essa è composta complessamente da rapporti economici, politici, ideologici (con i loro differenti apparati tipo impresa, stato, scuola ecc.). Questa struttura complessa è "a dominante", dove quest'ultima può essere rappresentata dalla sfera sociale economica o invece da quella politico-ideologica; ferma restando solo la, marxianamente ben nota, "determinazione d'ultima istanza" da parte dell'economico. Difficile rendere conto dell'impatto che ebbe la teorizzazione althusseriana sulla lotta politica e ideologica di quel tempo. Lo storicismo e l'umanesimo si fondavano profondamente sulle tesi (evoluzionistiche e gradualistiche) dello sviluppo delle forze produttive. La "via italiana al socialismo" del Pei, la politica del Pcf, ecc. - in genere le politiche dei comunisti "revisionisti" - erano pregne di tesi simili. Leggere il Capitale (così come le successive opere althusseria-ne) furono un attacco radicale nei confronti dell'opportunismo che si affidava all'evoluzione storica, di fatto orientata dallo sviluppo produttivo secondo modalità (strutture di rapporti) capitalistiche (anche nei paesi detti "socialisti"). Quella battaglia ideologica fu persa proprio per l'irriformabi-lità del "comunismo". Non ci si poteva rendere conto del fatto a quell'epoca, ma proprio la "storia" ha dimostrato che non è più possibile la semplice rielaborazione, pur radicale, del pensiero di Marx. Tuttavia Leggere il Capitale resta uno spartiacque per qualsiasi nuova riflessione critica intorno al capitalismo. Bisogna ormai fuoriuscire più decisamente dal marxismo, ma senza rispolverarne i concetti. L'opera althusseriana va continuamente riletta soprattutto per quanto concerne l'imprescindibile esigenza dell'analisi strutturale (della struttura dei rapporti sociali). Altrimenti addio scienza del "Continente storia". ■ G. La Grassa ha insegnato economia politica alle Università di Pisa e Venezia Una dottrina autonoma di Enrica Fabbri DA MARX A MARX? Un bilancio dei marxismi italiani del novecento a cura di Riccardo Bellofiore pp. 270, €28, manifestolibri, Roma 2007 Lungi dal voler dar vita a un ''marxismo di riconquista" e nella convinzione che un filone autenticamente marxiano (e non marxista) abbia attraversato, seppure in maniera carsica, tutto il Novecento, la presente raccolta, come afferma Riccardo Bellofiore, si pone l'obiettivo di "tornare al metodo e allo stile intellettuale di Marx, e alle sue domande teoriche", sulla scia del convegno I marxismi italiani del Novecento. Bilanci, prospettive, sfide, tenutosi a Bergamo il 18 novembre 2005 in occasione della pubblicazione della Storia dei marxismi in Italia di Cristina Corradi (manifestolibri, 2005; cfr. "L'Indice", 2006, n. 2). Un primo dato che emerge è innanzitutto il destino al quale andò incontro il pensiero di Marx in Italia, anomalo rispetto a quanto avvenne, ad esempio, in Francia o in Germania. Profondamente segnato dal dualismo di matrice crociana tra "scienze della natura" e "scienze dello spirito" e dal predominio dello storicismo e dello hegelismo, come ben sottolinea Maria Turchetto, il marxismo fu letto in un primo momento in chiave positivistica ed evoluzionistica, per divenire solo in una seconda fase, analizzata da Rosario Patalano, una dottrina autonoma, sotto la spinta perlopiù di contingenze politiche più che di motivazioni culturali e teoriche. Un ulteriore aspetto della ricezione di Marx in Italia fu la sua scarsa incidenza nell'ambito dell'economia politica e la sostanziale disattenzione verso il Capitale, che, secondo le analisi di Turchetto, di Roberto Finelli, di Stefano Perri e di Giorgio Gat-tei, rappresenterebbe la cifra decisiva dei marxismi dell'età repubblicana. Altro nodo cruciale fu la problematicità del rapporto tra Marx e Hegel, che diede vita a soluzioni eterogenee, oltre che a una vivace querelle negli ambienti intellettuali (si pensi a Cesare Luporini e Galvano Della Volpe), come mostrano Roberto Fineschi e Raffaele Sbardella. Uno degli snodi fondamentali del volume, che privilegia nel complesso le vicende a cavallo tra anni sessanta e settanta, a partire dal densissimo contributo di Adelino Zanini sui fondamenti filosofici della riflessione operaistica di quel periodo, è costituito dalla questione della "crisi del marxismo", che Cristina Corradi imputa al conformismo intellettuale e all'opportunismo politico della sinistra italiana, mentre, al contrario, Vittorio Rieser collega alla crisi dello stalinismo e allo sviluppo del capitalismo italiano. ■