Umanesimo socialista di Roberto Barzanti Giovanni Sedita LA "GIOVANE ITALIA" DI LELIO BASSO prefaz. di Mauro Canali, pp. 110, €7, Ararne, Roma 2006 Giovandosi di una vastissima documentazione di polizia, per la prima volta presa in esame, e del massimo numero disponibile di testi memoriali e di lettere dei perseguitati, Giovanni Sedita scrive, con asciutta puntualità e con piglio narrativo, la storia breve della Giovane Italia, una singolare organizzazione clandestina antifascista, fondata a Torino nel 1927 per iniziativa del (cin-quantatreenne) socialista Alberigo Molinari e del giovane Lelio Basso. In essa s'intreccia una modalità cospiratrice di stampo massonico-risorgi-mentale con un primo tentativo di costruire sistematici rapporti tra ristretti nuclei di personalità perlopiù sensibili all'insegnamento di Gobetti e accomunate da un'ispirazione socialista, repubblicana, liberale. "Se la generazione di Molinari - osserva Sedita - poteva credere all'antifascismo formalizzato in linguaggio mazziniano, la generazione di Lelio Basso, educata dagli anni di 'Rivoluzione liberale' ad una nuova concezione della lotta e ad una realistica stima dei tempi del fascismo, attribuiva pragmaticamente alla società segreta una funzione sinergica di connessione della totalità delle forze democratiche disponibili". Non furono più di duecento -una cinquantina di triadi -gli adepti della nuova carboneria. Animatore carismatico ne fu Lelio Basso, i cui movimenti sono ricostruiti giorno dopo giorno, tra Torino, Genova, dove è stabilita la redazione di "Pietre", Trieste, Roma, Napoli. Prometeo Filodemo, il nome di battaglia del giovane Basso, non riuscì a incontrare, come aveva in programma, Benedetto Croce, dal momento che arrivò a Napoli quando il filosofo stava trascorrendo le vacanze di Pasqua a Meana di Susa e non aspettava alcuna visita. L'episodio ha qualcosa di simbolico. L'ordigno fatto esplodere il 12 aprile 1928 a Milano, in piazzale Giulio Cesare, mentre si svolgeva la visita del re alla Fiera campionaria (non fu il solo attentato di quella primavera), scatenò una repressione furiosa. Tra i più colpiti fu proprio il gruppo milanese della Giovane Italia, ritenuto all'origine dell'azione terroristica. Sarebbe fuorviarne attribuire responsabilità nominative, discutere metodi arrischiati e magari vagliare troppo loquaci confessioni - co- me quella di Mario Vinciguerra - rese alla polizia. A Ponza erano così numerosi, nel 1929, i confinati provenienti dalle file della Giovane Italia, che, "stroncata nei suoi uomini migliori" - secondo la testimonianza di Armando Gavagnin -, confluirono in Giustizia e Libertà. Risulta così avvalorato il ruolo di ponte, certo esile e di ardua tessitura, che svolse il sodalizio istituito a Torino. E scorretto trascegliere nome da nome, perlopiù pensando alla fama successivamente acquisita, ma non sarà superfluo sottolineare che fecero parte di questo coraggioso manipolo uomini come Mario Paggi, Mario Boschi, Piero Zanetti, Emiliano Zazo, Virgilio Dagnino, Santino Caramella, Vittorio Enzo Alfieri, Pio Alberelli, Gino Luzzatto. A Trieste il punto di riferimento fu Ermanno Bartellini, "maestro di umanesimo socialista". Tra gli affiliati il giovane Umberto Segre, indimenticato osservatore della moralità e dei movimenti della politica: incarcerato nel 1929 e condannato a cinque mesi di reclusione, non accettò prudenti infingimenti e continuò a scrivere "lettere compromettenti". -««»(*• Nel bilancio dell'eia B Storia Come il Farinata di Dante di Maurizio Tarantino Sa®*»» iOM sperienza portata ora alla luce, Sedita rievoca la celebre polemica di Giorgio Amendola, che, parallelamente, in quegli stessi anni, si stava adoperando per mettere insieme un gruppo di oppositori di provenienza liberale, con Lelio Basso. Assai rudemente, a metà degli anni settanta, il dirigente comunista rimproverò a Basso di essersi dato, dopo l'uscita dal confino, nel 1931, alla professione di avvocato, abbandonando la cospirazione. Nel suo atto d'accusa Amendola ignorò l'opera antesignana della Giovane Italia e arruolò alla sua linea lo stesso Ugo La Malfa, tutt'altro che estraneo alle idee e all'azione promosse da Basso, e da "Pietre". Fatto è che la Giovane Italia non ha mai trovato adeguato spazio nella geografia dell'antifascismo nascente. Occorrerà approfondire la questione, perché non si riesce a capire, neppure dopo aver letto le conclusioni di questa attentissima ricerca, se all'origine ci sia una vera e propria ignoranza, una non esplicita critica per le forme di aggregazione e intervento adottate o una sottaciuta acrimonia concorrenziale e, magari, una qualche dose di antisocialismo, insieme alla rivendicazione di un primato che non ammette attenuazioni o compresenze. Ermanno Bartellini sintetizzò la convergenza di opinioni tra lui e Basso, subito dopo il loro primo colloquio: per entrambi 0 problema dell'adesione al Partito comunista non si poneva. L'obiettivo doveva essere piuttosto "quello di un rinnovamento politico e culturale del socialismo, lasciando da parte i vecchi lea-ders che ci pareva non avessero ormai più nulla da dire". ■ roberto.barzanti@tin.it R. Barzanti è stato sindaco di Siena ed europarlamentare Pei, Pds e Ds Giovanni Gentile e Giuseppe Prezzolini CARTEGGIO 1908-1940 a cura di Alessandra Tarquini, pp. LXXII-238, €38, Edizioni di Storia e Letteratura -Biblioteca Cantonale Archivio Prezzolini, Roma-Lugano 2006 Le 214 lettere, quasi mai banali, che Giuseppe Prezzolini e Giovanni Gentile si scambiarono nell'arco di poco più di un trentennio, non compongono un carteggio di quelli che si offrono al lettore pronti per essere consumati. Che sia forse la presenza incombente di Croce, o forse la scabrosità del carattere di Gentile e la "natura facile e irritabile" di Prezzolini (così la definì Renato Serra in un memorabile profilo), oppure l'inconciliabilità tra la durezza dei concetti gen-tiliani e la rapida e felice acutezza delle riflessioni di Prezzo-lini; sia quel che sia, il fatto è che riesce assai difficile leggere questo carteggio tenendone fermi i temi e le linee di pensiero. Temi, come quello del fascismo o del rapporto con Croce, che si presentano solo per accenni; linee che, come quella dell'idealismo militante, quando pare di essere riusciti ad afferrarle, prontamente sfuggono alla comprensione. E va dato perciò ampio merito alla curatrice di aver generosamente fornito l'introduzione e l'apparato di note degli elementi fondamentali del contesto, e di averne introdotti con sottile discernimento altri più laterali. Tra questi piace segnalare la ripresa, a sostegno e chiarimento della tesi sul carattere "esistenziale" dell'adesione di Prezzolini alla filosofia dello spirito, del suggestivo accostamento, proposto non senza cautele da Niccolò Zapponi, tra Freud e Croce, nel nome di un'"adesione a un principio di realtà" capace di "illuminare la giusta via dell'equilibrio interiore" (cfr. Il tempo della "Voce", in II partito politico nella Bella Epoque, Giuffré, 1990). Anche i temi centrali del carteggio, la riforma della scuola e l'educazione religiosa, non sfuggono a questa sensazione di imprendibilità. E anche per questi è necessario appoggiarsi sul contesto, provvidamente delineato nell'introduzione, e su una robusta esegesi dei testi di contorno al carteggio (tra questi un inedito scritto gentiliano intitolato II mio anticlericalismo, pubblicato in appendice con gli altrettanto inediti appunti scritti da Prezzolini nel 1972 per una conferenza su Gentile e la "Voce"). Nel carteggio la questione è aperta da Prezzolini il 30 aprile 1909, con la richiesta a Gentile di un articolo per il numero unico della "Voce" (27 maggio) sulla Riforma della scuola. L'articolo fu pubblicato nella prima pagina del numero precedente (20 maggio), perché giudicato da Prezzolini discordante con la tonalità "tecnica" del numero unico; nell'ottobre dello stesso anno Gentile inviò poi alla "Voce" un commento al VII congresso della Federazione nazionale insegnanti scuole medie. Nel ringraziare il filosofo per l'articolo, Prezzolini ripropose una critica già espressa altrove alla prospettiva gentiliana di una scuola improntata alla classicità greco-latina, sostenendo, al di là del paradosso comunque non insignificante ("la scuola veramente classica o umana, come lei vorrebbe, dovrebbe essere anche sanscritista, anzi allargarsi alla cultura ebraica, che ha, nella formazione dello spirito nostro, per via del cristianesimo, tanta importanza"), la necessità di una scuola che esprimesse un senso "moderno" e "tedesco" di cultura. La replica di Gentile, giocata sulla contrapposizione tra un individuo che "quando viene al mondo (...) non sa nulla di nulla" e una "umanità concreta" che è "il solo nutrimento vitale per l'individuo che ne vuol respirare l'aria", mette in luce tutto lo sfasamento tra il piano "pragmatico" espresso con finezza ma alla buona da Prezzolini, e quello aspramente "concettuale" ribadito da Gentile. Uno sfasamento che emerge ancora più chiaramente nel confronto che i due ebbero l'anno successivo sul tema dell'educazione religiosa. Prezzolini, che attende la nascita del primo figlio, e conosce Gentile come critico severo della scuola "laica" e fermo sostenitore dell'insegnamento della religione cattolica alle scuole elementari, espone all'amico filosofo i suoi dubbi: "Dare a un prete il figliolo mi repugna, e io non mi sento di parlargli di religione (...) Se la mente del fanciullo è naturalmente mitologica, come le teorie sue sostengon giustamente (...) tutto quel che gli dirò assumerà colore mitologico (...) anche quando io (come del resto vorrei fare) non aiuti questa tendenza (...) facendogli veder nella storia qualche cosa di continuo, d'eterno, di sacro (...) credo che sia uno dei compiti dell'uomo moderno di lavorare a questa 'mitologia' pregna di filosofia che permetta di operare sulle future generazioni, per educarle umane nel senso più alto e non più cattoliche e cristiane". La risposta di Gentile si fa attendere, ma giunge poi nella forma di una lunga prolusione Le nostre e-mail direzione@lindice.191.it redazione@lindice.com ufficiostampa@lindice.net abbonamenti@lindice.com (seguita da un ulteriore scambio di lettere), con due punti fermi: la religiosità materna, che "dev'essere la base (...) perché essa è virtualmente la religione della casa, del primo ambiente, in cui si umanizza lo spirito infantile". E, quando questa manchi, si affidi pure, malgrado la ripugnanza, il figlio a un prete, perché "purtroppo nessuno di noi può farne a meno". Il secondo punto fermo del ragionamento gentiliano, resistente alle accorate obiezioni prezzoliniane ("No, caro Gentile, il mondo è mutato. Non siamo cattolici, e lo spirito non ha passato per nulla dei secoli. Perché dobbiamo privare i nostri figli del cammino già fatto? (...) Ostacoli pratici e ostacoli spirituali si oppongono all'educazione religiosa. Io vedo con essa introdursi nelle famiglie l'abitudine alla falsità (...) e quel ch'è più grave, vedo ostacolato il cammino dello spirito, che ha diritto di non ripetersi, che vuole andare avanti e creare nuovi uomini"), ci riporta a quello sfasamento già intravisto a proposito della riforma della scuola. Il fatto è che nella concezione di Gentile non è proprio concepibile il problema dei valori della civiltà e di una lotta per affermarne alcuni contro altri: "Il mito si trasforma, perché lo spirito (pensiero) si viene trasformando (e progredendo); ma il mito non muore come non muore nulla". Di lì a pochi anni, passata per Prezzolini la breve stagione della "Voce", che "incominciò crociana e in un certo senso finì gentiliana", e dell'idealismo militante, conclusa la guerra che li vide entrambi interventisti, il rapporto epistolare tra il filosofo "ufficiale" del regime e lo scettico ma fermo oppositore andò attenuandosi. Ma un'eco del tema religioso che li aveva uniti trent'anni prima, nella visione speranzosa (con o senza catechismo in mano) del futuro dei propri figli, risuonò per certo nella mente di Prezzolini con un rintocco ben più cupo (e con la gelida immagine della morte "con il rosario in mano") all'annunzio della fine tragica del filosofo, così da dettargli nel diario parole che, in questa prospettiva, non possono parere distaccate, come paiono alla curatrice, la quale, sorprendendosene, opportunamente le pone però a chiusura dell'introduzione: "È una morte che gli darà un'aureola. Ammiravo l'uomo, la mente, il carattere. Molto simile al Farinata di Dante. E c'era da aspettarsi qualche cosa di simile. Non poteva ignorare di essersi messo in una posizione di lotta che poteva portarlo al trionfo o alla vendetta. Morendo per mano di sicari ha evitato le noie e l'umiliazione di un processo. Mi dicono che Mussolini è molto ammalato, e spero che non muoia con il rosario in mano. Gentile, almeno, non è morto così". ■ tarantino@iis.it M. Tarantino è responsabile scientifico della rete delle biblioteche digitali della Campania