VILLAGGIO GLOBALE da LONDRA Pierpaolo Antonello L'anonimo giornalista di "The Eco-nomist" che, nel numero del 24 novembre scorso, aveva paragonato il declino economico e politico dell'Italia contemporanea a quello della Serenissima del XVIII secolo, aveva forse appena dato un'occhiata al libro di Jonhatan Keates, The Siege ofVenice (Chatto & Windus), il racconto dell'assedio e della caduta di Venezia da parte degli Asburgo durante l'estate del 1849, a conclusione di una complessa e articolata parabola storica, che parte appunto dalla conquista della Repubblica da parte di Napoleone. Si tratta di una pagina del nostro Risorgimento che, secondo Keates, non ha mai trovato lo spazio che meriterebbe nei libri degli storici italiani che hanno privilegiato altri racconti: dall'assedio di Milano al massacro di civili a Brescia da parte del generale asburgico Haynau. Il libro è strutturato molto convenzionalmente attorno alle contese politiche e alle campagne di guerra che hanno contraddistinto il Risorgimento italiano, ma la sua forza narrativa restituisce vividezza ai personaggi e agli eventi storici del periodo, ricomponendo in dettaglio le ore pili drammatiche di una guerra che ha visto come inaudito campo di battaglia i canali e i palazzi veneziani. E ovvio che la Venezia raccontata da Keats non diventa mai la Venezia oleografica che i suoi lettori an-glossassoni magari si aspetterebbero, ma la Venezia dei veneziani, dei Tommaseo e dei Manin, spogliati anch'essi di qualsiasi orpello di eroismo romantico, e restituiti alla loro precaria esistenza di intellettuali e politici. Keates ha fornito ai lettori inglesi un resoconto storicamente preciso e umanamente vivido di una delle pagine piti importanti della storia italiana. da PARIGI Marco Filoni È ormai una star. Le sue foto campeggiano nei rotocalchi patinati. Aria sorniona; sguardo ostentatamente intelligente e posture molto radical-chic; abbigliamento sempre informale, troppo perfetto per non essere più che ricercato (un cliché: i suoi pullover neri a girocollo altro non sono che il contraltare duemillenario della candida camicia aperta sul dorso stile Bernard Henry-Lévy anni sessanta). Segni particolari: filosofo. Michel Onfray si piace. E piace anche a molti francesi. Da quando, nel 2002, ha fondato l'università popolare di Caen, sono centinaia le persone che affollano le sue lezioni. E come a un concerto rock, questi fan si accalcano in anticipo alle porte dell'anfiteatro Tocqueville per occupare uno dei seicento posti (che non bastano più a contenere tutti gli iscritti). E l'idolo di ragazzine e signore over cinquanta, molto vieille Trance. Osanna la provincia a scapito dei poteri forti parigini, postulato che trova un riscontro nell'idiosincrasia dichiarata verso tutte le forme di potere intellettuale corruttivo del pensiero (ma recita le sue lezioni in diretta sulla parigina "France-Culture", da sempre bastione dell'intellettualismo francese). Non perde occasione per scagliarsi contro gli intellettuali che lui detesta, solo perché la pensano diversamente. Altra sua qualità: è un abilissimo funambolo, che divide le proprie pubblicazioni fra le edizioni Galilée e Fayard (le stesse che danno spazio a quegli intellettuali corrotti di cui sopra) senza per questo perdere il proprio ésprit libre e farsi pervertire dall'industria culturale. Prolifico come pochi (sforna anche due libri l'anno), è uno dei saggisti più mediatici, visto che sempre più numerose sono le sue partecipazioni in televisione e alla radio, così come eccelle nell'uso di internet (nel suo sito, visitatissimo, potrete trovare anche il calendario dei suoi impegni). Comunque Michel Onfray, che ammicca all'anarchismo nel tentativo di fondare un progetto filosofico di etica edonista, è diventato il principale promotore di un anticristianesimo militante con il bestseller, oltre 250.000 copie vendute in Francia, Trattato di ateologia (da noi presso l'editore Fazi). Qui Onfray, autoproclamatosi "nietzscheano di sinistra", indica l'edonismo come stadio ultimo di una civilizzazione del piacere e del godimento, e si scaglia violentemente contro le tre grandi religioni monoteiste in ragione del loro odio per gli uomini (e soprattutto per le donne), del loro culto della morte e del loro fine totalitario. A di- stanza di qualche mese, appare ora in libreria L'anti-traité. d'athéologie di Matthieu Baumier (Presses de la Renaissance). L'autore affronta il sistema di Onfray e, punto per punto, lo contesta e argomenta le tesi contrarie. Baumier pretende di smontare le posizioni di Onfray avvalendosi della Bibbia, e lo fa, a volte con ironia, senza scendere mai sul terreno della polemica. Va detto che il punto di vista di Baumier è quello di un cristiano, anzi di un cattolico e giudeofilo di destra. Ciò non toglie che, a differenza di Onfray, il quale attaccando i monoteismi fa un po' di pasticcio mescolando grossolanamente e in maniera superficiale le tematiche a favore delle proprie argomentazioni, Baumier discute di filosofia e teologia a un certo livello, e nonostante che le sue tesi non siano condivise da chi scrive, bisogna riconoscerne l'onestà intellettuale. Non lo stesso per Onfray: accusando indistintamente i cristiani di tutti i mali, il suo libro non rientra nella pratica intellettuale comune (quella cioè che verifica le fonti, pone argomenti coerenti e punta a proporre una lettura del reale), ma si muove piuttosto a livello di demagogia militante. E un peccato. Non tutto quello che Onfray scrive è da buttar via. Alcuni suoi libri, come per esempio Esthétique du pòle nord, sono istruttivi e divertenti. E allora scriva e ci faccia divertire: il ruolo del filosofo è però tutt'altro. da BUENOS AIRES Francesca Ambrogetti In questi tempi di magra per la narrativa in Argentina, dove da alcuni anni regna indiscussa la saggistica, uno degli autori citati come l'eccezione che conferma la regola è Federico Andahazi. La prima edizione del suo ultimo romanzo La ciu-dad. de los herejes ha venduto trentamila copie in dieci giorni e la seconda sta andando a ruba in questo periodo di vacanze estive nell'emisfero australe. L'autore è rimasto fedele al filone del romanzo storico, che gli ha dato grandi soddisfazioni da quando, nel 1997, ha vinto con El anatomista il premio della Fondazione Fortabat. Pubblicizzato dagli editori come "il libro più polemico dell'anno", La ciudad de los herejes è ambientato in una regione della Francia medievale dove il potere politico e quello ecclesiastico si scontrano in una lotta che mostra il volto più oscuro della natura umana. La protagonista è la figlia di un nobile malvagio e ambizioso che vuole utilizzare il culto del Santo sudario per alimentare la sua sete di potere. La giovane, che vive una tormentata storia d'amore con un monaco, si oppone ai piani del padre e decide di organizzare una rivolta religiosa. Con un gruppo di ribelli riesce a fondare una nuova città, tanto perfetta quanto effimera, dove libertà, amore e sesso possano convivere senza ostacoli. Uno dei pregi del romanzo è l'accurata ricostruzione del momento storico, nel cui contesto la vicenda viene narrata con un ritmo agile e moderno. Una scelta che già si era rivelata vincente con El Secreto de los Tlamencos, altro grande successo di Andahazi, che prima di dedicarsi alla letteratura ha studiato psicologia. In precedenza l'autore aveva pubblicato Errante en la sombra, in cui per la prima volta si racconta una storia moderna su un cantante di tango, e Ma-pas del fin del mundo, un'esperienza inedita alla quale hanno collaborato i lettori del "Clarin"di Buenos Aires. Il primo caso di un romanzo collettivo pubblicato in Argentina da un quotidiano. Babele. Osservatorio sulla proliferazione semantica Benessere, s.m. La parola assume un significato peculiare a partire dalla deriva percorsa dall'equivalente termine inglese welfare, attratto nel XX secolo dalla forza di gravità del paesaggio economico in trasformazione. È del 1920, infatti, la pubblicazione di The Economics of Welfare da parte dell'economista britannico Arthur Cecil Pigou (1877-1959), allievo di Alfred Marshall, caposcuola dell'orientamento "neoclassico". Con Pigou, il cui libro è tradotto in italiano nel 1934, la "triste scienza" si occupa appunto del benessere e postula che quest'ultimo dipende non dal reddito ricevuto, ma dal reddito consumato. I ricchi, pur accedendo a consumi "vistosi", consumano del resto una parte proporzionalmente minore del loro reddito rispetto ai poveri. Trasferendo allora parti di risorse dai primi ai secondi, senza manomettere l'economia di mercato (l'unica in grado di produrre le risorse stesse), si accresce il volume del consumo totale e quindi il benessere generale. Sono lo stato e il fisco che possono conseguire tale fine, intervenendo sul lavoro e sulla durata del lavoro, fissando (se è il caso) un giusto salario, e controllando altresì i monopoli (o addirittura facendo dello stato stesso il gestore di quei monopoli che accumulano ricchezza a danno dei consumi e squilibrano il mercato). Un passo ulteriore, volto a dare al benessere-welfare un'identità semantica sul versante sociale, viene compiuto vent'anni dopo il libro di Pigou. Nel 1941, in piena guerra, l'arcivescovo anglicano di York William Tempie (1881-1944) scrive, nel volume Citizen & Churchman, che al "Power-State" (lo stato-potenza) di tipo fascista, e comunque autoritario, comportante una crisi di civiltà e il dominio degli sfruttatori, occorre contrapporre il "Welfare-State" (lo stato del benessere). Dal 1942 al 1944 Tempie è arcivescovo di Canterbury e le sue idee hanno una notevole influenza. Lo stato - sostiene Tempie - è un servo e uno strumento di Dio "for the preservation ofjustice and for the promotion of human we/fare". Del 1942 è poi il celebre "Beveridge Report", dal nome del suo autore (di tendenza liberale), che traccia le linee essenziali di una protezione sociale rivolta a tutta la popolazione. Del 21 marzo 1943 è l'altrettanto celebre discorso alla nazione del conservatore Churchill, discorso in cui viene promessa, per il dopoguerra, l'eliminazione della disoccupazione e la previdenza sociale per tutti "dalla culla alla tomba". Spesso, infine, in questo periodo, il welfare democratico viene indicato come l'antidoto contro il war-fare nazifascista. Sono dunque i "neoclassici", i cristiani, i liberali, e i conservatori, a individuare, in sintonia con l'evoluzione del capitalismo, le prospettive dell 'economia prima, e dello stato poi, del benessere. Sono soprattutto i socialisti, ma anche i liberali (i roo-seveltiani negli Stati Uniti) e i cristiano-democratici (in Germania e in Italia), a mettere in pratica tali prospettive. I socialdemocratici svedesi, d'altra parte, conoscono un periodo ininterrotto di potere politico dal 1932 al 1976, e i laburisti inglesi, primo partito della sinistra a ottenere ciò, hanno la maggioranza assoluta in parlamento dal 1945 al 1951. La sanità, la scuola, e le pensioni, sono irreversibilmente al centro del riformismo politico-sociale in atto. In Italia, più che di "stato del benessere", si discute, negli anni del "boom", di "società del benessere". Thatcher e Rea-gan, poi, negli anni ottanta, aiutano - forse! - i capitalisti, ma danneggiano l'assetto sistemico del capitalismo, come oggi, in presenza di una nuova crisi di civiltà, ben si vede. Ed è vano associare al "benessere", come comunemente si fa, non più il termine welfare, ma il termine fitness, palestrata foglia di fico che nasconde le vergogne del malessere. Bruno Bongiovanni