,, L'INDICE BIdei libri del meseH Narratori italiani Corpo di donna con ossa o senza di Mario Barenghi Marosia Castaldi DAVA FINE ALLA TREMENDA NOTTE pp. 398, € 18, Feltrinelli, Milano 2004 In prima approssimazione, l'eroe dell'ultimo libro di Marosia Castaldi è il pittore fiammingo Hans Memling, che lascia casa e famiglia a Bruges per intraprendere un lungo viaggio: dapprima in Sicilia, poi in Spagna, in Germania, e infine, dopo un effimero ritorno nelle Fiandre, nell'estremo Nord d'Europa, all'isola di Mageroy. Nel corso delle sue peregrinazioni mette mano a una serie di quadri, che vorrebbero compendiare simbolicamente le sofferenze incontrate; si trova invece, senza sua volontà, a legare a sé i personaggi nei quali si è imbattuto, che, formata una singolare derelitta schiera di infelici - la cosiddetta Compagnia d'Europa - finiranno per seguirlo fino all'apocalittica conclusione, al limite dei Mar Glaciale Artico. Questo non basta, tuttavia, per farsi un'idea adeguata di un romanzo nel quale lo sviluppo della trama ha un'importanza relativa. A imporsi non è tanto un'azione, quanto un'atmosfera, un'ossessione, una maniera di raccontare. Dava fine alla tremenda notte è suddiviso in cinque lunghi capitoli, che corrispondono a sequenze narrative distinte. Entro ogni capitolo, il racconto procede per segmenti o spezzoni, nei quali prendono la parola, a turno, svariati personaggi; ciò fa sì che la vicenda di volta in volta narrata sia rievocata ripetutamente, da diverse prospettive. Se a ciò si aggiunge il fatto che ogni episodio ruota intorno a pochi cruciali avvenimenti, sui quali ciascun personaggio seguita ad arrovellarsi, s'intende come il libro si presenti nell'insieme come una serie di blocchi, o gorghi, o vortici: quasi stazioni di una via crucis al termine della quale è davvero difficile immaginarsi una resurrezione qual si voglia. Ciò detto, non siamo però ancora al punto principale. Questo romanzo, infatti, più ancora dei precedenti dell'autrice, è sostanzialmente un libro sul corpo femminile e sulla maternità. Una lunga, accanita disquisizione sul- Le nostre e-mail direzione@lindice.191.it redazione@lindice. 191 .it ufficiostampa@lindice. 191 .it abbonamenti@lindice. 191 .it la condizione corporea della donna, sulla sua dimensione di apertura reale e simbolica, fisiologica e patologica, in una varietà di situazioni che rinviano sempre alle due costanti della violenza e del sacrificio. Una dolente melopea sui temi della femminilità violata e invasa, della maternità come destino e oblazione, della procreazione e della morte; e, insieme, un libro sull'infanzia offesa, profanata, mutilata. Sintomatica la ricorrenza degli aggettivi "slabbrata" e "scheletrico": quasi un emblema delle sofferenze inflitte ai più deboli, delle vite spezzate di chi reca fin dalla nascita un marchio fatale di patimento. In una desolata piana della Sicilia un muratore edifica, da solo, una cattedrale, seguitando l'opera del padre defunto. Della famiglia, isolata dal consorzio civile, fanno parte anche una madre e una sorella. Fra questi personaggi sono avvenuti tutti gli incesti possibili; la sorella, demente, è stata posseduta e stuprata da innumerevoli maschi di passaggio, ha partorito e abortito una quantità indeterminata di volte, mentre lì presso, sotto terra, nelle zolfare, si consumano le poche energie di bambini malnutriti, sfruttati, violentati. In Spagna, a Burgos, una donna ha partorito due gemelle senz'ossa; il padre ha raccolto frammenti di ferro e ossa di bambini morti, con i quaii un chirurgo è riuscito a costruire un'impalcatura per il corpo di una sola delle due; l'altra - è la madre stessa, sfinita, a richiederlo - viene lasciata morire. Spina di ferro (come tutti la chiamano), cresce, venendo periodicamente riaperta dal chirurgo che inserisce via via 0 materiale necessario a sorreggerla; si sposa con un pittore, si dedica lei stessa alla pittura, e diventerà madre a sua volta, portando sempre con sé come un'ombra o una stola la pelle della sorellina morta. In realtà i confini tra morte e vita sono quanto mai labili: i morti hanno un'esistenza più che fantasmatica, così come i vivi appaiono spesso ridotti a lemuri o relitti. Del resto, l'intera narrazione si svolge in un regime di collasso o avvitamento temporale, per cui l'opposizione fra il prima e il poi conta meno dell'aggirarsi delle coscienze attorno ai nodi del loro destino (come i due fratellini tedeschi, abbandonati dalla madre, che campano presso una città i cui abitanti sono dediti a scavare fosse): tant'è che un intero capitolo, il quarto, ha un'ambientazione contemporanea, mentre nell'ultimo prende la parola la moglie di Memling, la quale racconta per lettera tutta la sua vita al marito lontano, la nascita della figlia pochi mesi dopo la sua partenza, la malattia che costerà alla bambina l'amputazione delle mani e dei piedi, e, dopo molti anni, l'inopinata visita di un pittore cieco, in cui lei non saprà ravvisare le fattezze del marito (miserando Ulisse, che condurrà tutti i compagni all'ultimo naufragio). Il gusto letterario di Castaldi può ricordare certi aspetti dell'opera di una delle maggiori scrittrici del secondo Novecento, Anna Maria Ortese: la fiducia nella narrazione di ampio respiro, l'oscillazione fra un realismo sensibile alle istanze sociali e una fantasia dalle forti accensioni visionarie, il gusto della ridondanza, le simbologie, la stessa opzione per una strategia compositiva che fa a meno sia di un narratore onnisciente o ben informato, sia di un punto di vista coerente o unitario. Ma la tetra cupezza dell'atmosfera, l'ossessione per il sesso, l'oltranza nella rappresentazione dello strazio dei corpi fanno pensare piuttosto al Moresco dei Canti del caos: con la differenza che mentre in Moresco penetrazioni ed efferatezze hanno un che di gratuitamente parossistico, di programmaticamente intimidatorio, in Castaldi si avverte un patimento reale, immune da sadismi letterari. E tuttavia occorre aggiungere che il compito qui richiesto al lettore è arduo, e non sempre ben remunerato. Parecchie pagine, specie nella storia spagnola, sono impressionanti; alcune invenzioni, davvero degne di memoria. Ma cimentarsi con questa misura narrativa (s'intende, in un'opera che non punta sull'intreccio, né sull'articolazione ideologica) è quanto meno incauto: sulla tenuta della scrittura grava il peso di una imagery ossessivamente tormentosa, in più d'un tratto francamente pletorica. Anche se d'ora in poi non ci sarà facile sfuggire alla suggestione che il rosso manto delle madonne di Memling sia, in realtà, la veste di sangue inflitta all'altra metà del mondo. ■ mario.barenghi®tiscalinet.ìt M. Barenghi insegna letteratura italiana contemporanea all'Università di Milano Bicocca Quando c'è il boss di Vincenzo Aiello Massimo Cacciapuoti L'UBBIDIENZA pp. 149, € 12,50, Rizzoli, Milano 2004 Seconda prova narrativa per il trentaquattrenne napoletano Massimo Cacciapuoti, che con il suo primo romanzo, Pater familias (1998), aveva suscitato l'interesse del mondo del cinema. Dal suo romanzo il regista Francesco Paterno ha tratto un bel film che ha riscosso grande successo al Festival di Berlino del 2003 e che la rivista "Va-riety" ha selezionato tra gli otto migliori esordi europei dell'anno. L'ubbidienza - questo il titolo del secondo romanzo - si palesa subito al gusto del lettore come un prodotto che avrà lo stesso destino di celluloide, ma dal punto di vista letterario è un buon esempio di quella tradizione di giovani, e meno giovani, scrittori indigeni che ha parlato di Napoli irredimibile, chiusa com'è nella morsa autoreferenziale e mortale di una ferrea logica di clan, soldi, tradimento, morte. Gli equivalenti letterari sono il Giuseppe Ferrandi-no di Pericle il nero (Adelphi, 1998), la Valeria Parrella di Mosca + balena (minimum fax, 2003) ed anche, pur nella prevalenza del linguaggio giuridico-verbalistico, Legami di sangue dell'avvocato Elena Coccia, edito dall'Ancora del mediterraneo (2003). Al centro della storia, Leonardo (Leo), un ragazzo che non ha voluto approfittare di una cartolibre- ria che i familiari gli avevano dato in dote per campare e che ha scelto la musica e una "gioventù inutile abbandonata agli amici" (Guglielmo Pearce). Leo viene in contatto, per una storia di pizzo legata alla sua attività commerciale, con un camorrista locale, Don Ferdinando, che lo aiuta locandogli un'abitazione a canone irrisorio. Non ne è ancora cosciente, ma questo sarà il primo passo per essere costretto a ubbidire e a subire le richieste del padrino. Quando infatti trova un impiego di postino a Falcara, il boss lo convince con profferte di vario tipo - sessuali, di denaro, di provvigioni alimentari - a essere il piccione viaggiatore di un carico di droga nell'isola. Tra avvenimenti rocamboleschi nella loro apparente paradossalità, Leo rimane invischiato in questa rete di obbligazioni non formali, ma di pronta esecuzione. E il risultato di chi ha avuto come radice del suo equilibrio più la paura che la fiducia nei propri mezzi. Ora, mentre capisce la genesi della sua distruzione e si sente terremotato nell'anima, il protagonista si consegna totalmente al disegno criminoso di 'o bambinello. "Mi sentivo disastrato nell'anima. Tutto ciò che facevo non aveva senso. Ero io stesso il prodotto di un capriccio. Almeno, pensavo, l'avessi fatto per orgoglio. Un uomo deve avere valore per contare qualcosa, per essere degno di vivere. Io invece ero una nullità, una schifezza umana buona unicamente a sottomettersi alla volontà altrui". Quasi le stesse parole che gli dice Cristiana, la sua compagna di fuga dalla Napoli madre schifosa e dolente, dopo che Leo è costretto a tradire il suo mandante criminoso per l'intervento gambizzante di un clan avverso. Ma è troppo tardi: chi non ubbidisce paga; pacta sunt servando... ■ V. Aiello è giornalista L'irrecuperabile storia di Giorgio Bertone In aprile Luciana Stegagno Picchio ha recensito Tristano muore (Feltrinelli, 2004), il libro testamentario di Tabucchi, racconto di un secolo e di una vita intessuto dal morente Tristano per un ascoltatore che scrive, uno scrittore. Ora s'aggiunge la voce di Giorgio Bertone. Dall'invenzione della Storia all'attrattiva delle cose ultime: l'amore, la morte, la paura, la scrittura. Temi enormi. Se qualcuno vorrà ancora intervenire, lo pubblicheremo volentieri in questo spazio. A Tabucchi si addice la mise en abime. Chi testimonia per il testimone? (Paul Celan). Centomila testimoni uno alle spalle dell'altro. Ovvero nessuno. Vita e letteratura si intrecciano? Certo; qui precisamente si specchiano nella declinazione di voce (corpo vitale) e scrittura (voce fossile). Al Tabucchi patito di Las meninas - quadro che è anche un rapporto fra ritratto e autoritratto -, si addice una mise en abime in cui gli specchi non siano simmetrici, ma devianti o rovescianti. A cominciare dalla vicenda, non del tutto appurata dai frettolosi recensori. Qui c'è appena lo spazio per osservare le ulteriori riflessioni speculari: ritratto e autoritratto si rinviano, così come biografia e autobiografia, realtà ro- manzata (eroica) e realtà (dei "fatti"), con l'apporto, state accorti, del paratesto (compreso il ringraziamento non di rito). Aggiungi che alla categoria dei Fatti pertengono anche i Sogni e i Ricordi ("l'importante è quello che lui [Tristano] immaginò per tutta la vita, a tal punto che è diventato un suo ricordo"). Realtà, sogni e ricordi si riflettono nello specchio memoriale e fanno saltare l'asse cronologico: "la storia è una nostra invenzione (...) solo un'ipotesi". Struttura narrativa e assunto narratologico sono dunque i cavalli che tirano la carrozza: non solo la progressione verso la verità (il senso, l'identità) non coincide con la linearità temporale, con un prima e un dopo, con una catena di cause ed effetti, ma la verità medesima e il resto è affidata all'invenzione dell'andirivieni persino casuale del tempo memoriale. Per trovare paragoni in opere imparagonabili si raccomandano i film Elephant e 21 grammi (quando la storia è un'invenzione combinatoria è la Storia a saltare). Per dire: il montaggio è tutto. Ciò che può apparire alla prima lettura il top del virtuosismo del grande autore del Gioco del rovescio sarà invece anche l'estremo investimento in una tecnica narrativa a cui sola è demandata ■ ■ swSMW