Letterature Dettagli del vivere di Paola Splendore Anita Desai POLVERE DI DIAMANTE E ALTRI RACCONTI ed. orig. 2002, trai, dall'inglese di Anna Nadotti e Bianca Piazzese, pp. 199, €16,50, Einaudi, Torino 2003 Con Polvere di diamante Anita Desai torna al racconto dopo una lunga assenza - la sua precedente raccolta Giochi al crepuscolo, pubblicata in Italia da e/o, era del 1978 - e lo fa confermando la sua straordinaria capacità di aprire squarci sul privato di persone qualsiasi, sui loro affetti e le loro delusioni, sui piccoli contrattempi del vivere, mettendoci di fronte ora a un banale incidente, ora a un dettaglio visivo o all'emozione di un momento, altrettanti microcosmi di un'esperienza condivisibile. E come nei racconti di Cechov, l'autore che Desai non ha mai fatto mistero di avere eletto a modello supremo, i dettagli contano molto più del quadro di insieme. La novità è che, a differenza della prima raccolta, tutta di ambiente indiano, i racconti di Polvere di diamante moltiplicano gli scenari su scala internazionale per collocarsi tra più mondi: India, Messico, Canada, Inghilterra, paesi in cui l'autrice ha viaggiato e vissuto, e su cui, da outsider, posa uno sguardo curioso e indagatore. Come è apparso evidente dai suoi ultimi romanzi, a partire da Journey to Ithaca (1995, non tradotto in italiano) e Digiunare, divorare (Einaudi, 2001), e dal suo trasferimento negli Stati Uniti, l'incontro fra culture diverse, e in particolare l'intreccio Oriente/Occidente, è la prospettiva da cui Desai ha ora scelto di osservare il mondo. Gli ambienti preferiti sono ancora quelli della piccola e media borghesia, scossa da ansie di modernizzazione ma non sempre all'altezza o desiderosa di cambiamenti. Sono scene di vita familiare e domestica, di un'umanità ferita, di piccole ambizioni, il tutto presentato senza ombra di critica, anzi, per lo più pervaso da un senso di profonda empatia con i personaggi creati. In Sua Altezza, una storia molto indiana, un'anziana coppia prossima a partire per le vacanze e sfuggire al caldo infernale di Delhi è paralizzata dall'arrivo di un a-mico indiano che vive in California. L'ospite inatteso li precipita in un vortice di visite e ricevimenti imponendo loro gravose rinunce cui tuttavia si sottopongono con grazia e affetto. In A cinque ore da Simla un blocco stradale impedisce a una famiglia di raggiungere la AMtTA. OCSA» **eig »» «MAMAMT» casa delle vacanze, non tanto per un ingorgo di traffico, quanto per la decisa presa di posizione di un camionista che pretende scuse e risarcimento da un capraio che gli ha tirato una pietra rompendogli il parabrezza. E come per incanto - da quel deserto di polvere - si materializza una fila di carretti carichi di canna da zucchero, di banane, noccioline, e poi donne, uomini e bambini, come fantasmi, con canestri sul capo colmi di giocattoli, piccoli flauti, aquiloni, marionette, fischietti-di latta... Nella storia che dà il titolo alla raccolta, si condensa in poche pagine un evento drammatico, la perdita di un cane - un fiero bastardino - nero come un diamante agli occhi del padrone, mentre per gli altri è nero come il carbone. La fuga è irresistibile per Diamante che torna sempre più malandato, bastonato, morsicato, fino a quando sembra svanire nel nulla. Vane le ricerche disperate del signor Das che soffre come un amante abbandonato. Quando il cane riappare è sul furgone dell'accalappiacani. Il padrone scatta all'inseguimento, riuscendo a saltare sulla predella e ad aggrapparsi alle sbarre, ma scivola giù e si abbatte al suolo picchiando la testa. La tragedia si compie in pochi secondi. Lo sguardo dell'autrice passa dal corpo immobile del padrone sul selciato alla sofferenza del cane, uggiolante come un condannato a morte. Una storia tutta di esterni, di strade e cortili cui fa da pendent Gli abitanti dei tetti, una storia ambientata sui tetti di Delhi, intorno alle disavventure di una giovane donna che vive con un gatto di cui la padrona di casa non deve sapere e ai problemi cui il clandestino la espone. Ma il vero problema della ragazza non è tanto il gatto quanto il desiderio di indipendenza che la anima e che la spinge a vivere la sua vita in maniera autonoma in mezzo alla disapprovazione generale. Una dinastia di truffaldini di Susanna Battisti Mordecai Richler SALOMON GURSKY È STATO QUI ed. orig. 1989, trad. dall'inglese di Massimo Birattan, pp. 596, € 19, Adelphi, Milano 2003 I M: "a se questi racconti dan-.no molto bene l'idea di uno sperimentare il mondo -sia pure attraverso una piccola storia individuale -, un mondo altro, dell'incontro e dello scambio fra le culture e i sentimenti, i racconti ambientati fuori dall'India non hanno la stessa incisività, restano più esterni e meno riusciti, come se rappresentassero il tentativo di Desai di allinearsi con la tendenza maggioritaria della narrativa postcoloniale contemporanea di parlare a ogni costo di scenari mobili e frammentari del mondo globalizzato. ■ splendor@uniroma3.it P. Splendore insegna lingua e letteratura inglese all'Università di Roma Tre fan di Mordecai Richler troveranno in Salomon Gursky è stato qui una sorprendente gatta da pelare: pubblicato in inglese nel 1989 e ora in Italia nell'impeccabile traduzione di Massimo Birattari, il romanzo ha una struttura tanto ardita e complessa da esigere lettura attenta e buona memoria. Si tratta di una sorta di epopea moderna che abbraccia ben due secoli di storia, attraversando culture disparate (dalla mitologia Inhuit al Talmud), mentre racconta con realismo cronachistico e visionario al contempo la saga dei Gursky, emigrati nell'Ottocento dalia Russia in Canada, attraverso un favoloso passaggio dello stretto di Bering. Il capostipite Ephraim avrebbe partecipato alla Odori di due mondi di Margherita Giacobino Monica Ali SETTE MARI TREDICI FIUMI ed. orig. 2003, trad. dall'inglese di Lidia Perria pp. 413, € 15, Marco Tropea, Milano 2003 Il titolo originale del romanzo dell'esordiente Monica Ali, Brick Lane, colloca con precisione la vicenda in una strada di Londra che racchiude l'esistenza quotidiana della protagonista, Nazneen, e di tanti altri immigrati come lei. Giovanissima, Nazneen viene spedita in Inghilterra per sposare l'uomo che il padre ha scelto per lei, Chanu. Comincia così la sua vita di docile moglie islamica, sottomessa al marito quarantenne e chiusa in casa, in mezzo a una città di cui non parla la lingua. La sua solitudine è rotta soltanto dai ricordi d'infanzia (il villaggio, una madre morta suicida dopo una vita trascorsa in lacrime a martirizzarsi in una passività portata all'estremo) e dalle lettere che scambia con la sorella Hasina, rimasta in Bangladesh. Fuggita a sedici anni per sposare l'uomo che amava, Hasina è una foglia al vento di quel fato che anche Nazneen sente incombere su di sé, grande messaggio materno: mentre a un'estremità del mondo, oltre mitiche distanze (i sette mari e tredici fiumi del titolo italiano), una sorella è intrappolata in un brutto appartamentino di un quartiere-ghetto, all'altro capo l'altra sorella è trascinata qua e là dalle onde del destino, da moglie a prostituta a serva. La voce dell'una si vorrebbe contrappunto a quella dell'altra, ma in realtà nel tessuto del romanzo la voce di Hasina diventa presto fievole, emanazione quasi fiabesca di quel paese d'origine che è più mitico che reale. Resta in primo piano la vita di Nazneen, muta e attenuata sotto la campana di vetro della sua estraneità: negli anni, Nazneen diventa madre, si affeziona al logorroico, velleitario ma mite Chanu, viene travolta dalla passione per il giovane Karim, ambizioso attivista islamico, e intanto lentamente nell'ombra matura una sua forza - e una sua indipendenza economica con il lavoro di cucitrice a cottimo - che le permetterà, alla fine, di riscattare se stessa e le figlie dal ruolo di semplici pedine di giochi altrui. Il romanzo ha avuto un notevole successo in patria, sintomo forse anche dell'interesse britannico per quella cultura altra che emerge nel Paese, quell'esotismo che vanno cercando i turisti a caccia di sapori d'Oriente tra i ristoranti della recentemente trasformata Brick Lane, e di cui la stessa Ali sottolinea ironicamente gli aspetti fasulli. Anche dai fornelli di Nazneen si leva un accattivante odore di spezie, e lei appare in bilico tra due mondi, e quindi capace di cogliere in entrambi aspetti ormai invisibili a chi ci è dentro; ma il suo sguardo, pur dotato di un'acutezza stupita che fa di lei un'ingenua filosofa delle piccole cose, raramente si spinge più in là della sua finestra. Sono le figlie non ancora adolescenti a portarle l'Inghilterra in casa, e sono ancora le figlie il movente che le dà forza per maturare un finale in chiave femminista che appare, forse, un po' troppo trionfale - a meno che non sia da intendersi come ironica la battuta finale dell'amica Razia: "Siamo in Inghilterra, puoi fare tutto quello che vuoi". Ma il libro avvince, a mio parere, per quelli che forse, da un altro punto di vista, potrebbero essere i suoi stessi limiti: il lento, voyeuristico sguardo sul tempo recluso di una donna, quel dispiegarsi della quotidianità nel suo peso ora lieve ora terribile, quel penetrare dentro una solitudine che si presume tanto più inviolata perché racchiusa sotto un sari anziché sotto un tailleur. spedizione a Nord Ovest di Lord Franklin, ma tutto ciò che accade nel racconto potrebbe anche non essere accaduto. Di certo si sa soltanto che questa dinastia di ebrei truffaldini, ben degna del ghigno "politicamente scorretto" di Richler, ha costruito, a forza di imbrogli spettacolari, l'impero finanziario più imponente che il Canada letterario abbia mai conosciuto. L'impianto del romanzo si ricollega alla tradizione narrativa del XIX secolo anche per la minuziosa descrizione di ampi spaccati sociali, per la fotografica resa visiva di persone, ambienti e costumi, per la capacità di tessere trame multiple e di inserirle in vasti affreschi storici. Ma la struttura narrativa rimane assolutamente moderna ed è talmente bizzarra da assomigliare solo a se stessa. La trama è come un puzzle che il narratore costruisce incastrando tasselli di storie in modo casuale. L'asse temporale è squinternato perché i fili del racconto si intrecciano seguendo spesso una logica capovolta che antepone il dopo al prima, l'effetto alla causa. Il modo di raccontare del narratore segue il caotico indagare di Moses Berger sul mistero della vita e della morte di Salomon Gursky, moderno Ebreo errante, sfuggente e proteiforme come un dio pagano. Moses assembla fonti e documenti alla rinfusa per scrivere la biografia di Salomon, apparentemente scomparso in un incidente aereo ordito dal fratello Bernard. Ma Salomon muore più volte, o forse mai, e assume diverse sembianze e false identità. Baro e benefattore, è come circondato da un'aura di satanismo e di santità. Ha partecipato alla Lunga Marcia di Mao, è stato complice dell'attentato a Hitler, è stato implicato nello scandalo Watergate: le sue imprese reali o presunte sembrano illimitate e tali le fa sembrare Moses, che è un "detective" inaffidabile e confusionario. Il lettore viene costretto nella sua stessa difficile posizione: quella di ricostruire i fatti e di cercare la verità. Un compito avvincente perché la varietà dei modi narrativi (dal mito all'epos, dal romanzo picaresco alla detective story), e il camaleontismo del linguaggio (dal tono epico al registro triviale) trasformano il percorso in un travolgente viaggio dell'immaginario che fa chiudere un occhio sulle falle della macchina narrativa. L'esuberanza affabulatoria va infatti a discapito dell'equilibrio formale e spesso assume il carattere di ridondanza; lo sviluppo dei plot manca di linearità e di chiarezza, anche perché tra una fase di una vicenda e l'altra possono intercorrere anche duecento pagine. Questa volta Richler ha strafatto davvero, ma in modo sempre geniale. Il suo sarcasmo irriverente, le sue colte riflessioni spesso lasciano spazio a visioni oniriche, come se fosse rapito o forse anche ossessionato dal fascino irresistibile del suo eroe ubiquo e immortale, che si trasforma e si rigenera come la scrittura stessa. ■ susybatSlibero.it S; Battisti insegna letteratura inglese