3 L'INDICF ■■dei libri del meseIhì • Oà k O SO CQ O co Le Elites nella storia dell'Italia unita, a cura di Guido Melis, pp. 322, € 18, Cuen, Napoli 2003 Il volume raccoglie gli atti del convegno annuale della Società per gli studi di storia delle istituzioni. tenutosi nel novembre 2000. L'assunto di partenza dei lavori, puntualmente rispecchiato nei contributi raccolti, è stata la considerazione che nella pur assai vasta letteratura storiografica sull'Italia unita lo studio prosopopografico delle élites dirigenti, così come il problema della loro formazione e del loro ricambio, non hanno ricevuto sempre la necessaria attenzione. Da un lato questi approfondimenti sono stati lasciati impropriamente a sociologi e politologi. Da un altro lato, la storiografia sui partiti politici, si è concentrata sul dibattito ideologico intemo alle singole compagini politiche, anziché soffermarsi sui meccanismi di reclutamento delle classi dirigenti. Consapevole di questa lacuna il volume tenta di dare un primo sguardo d'insieme sul problema, i diversi interventi sono distribuiti sulle varie categorie sociali, politiche e amministrative che formano lo scheletro delle élites. La rete predisposta è a maglie piuttosto fitte: professionisti, deputati, giornalisti e letterati, ovviamente; ma anche ufficiali, magistrati, diplomatici, direttori generali. Non manca un intervento sulla massoneria e un altro su un settore spesso trascurato, quello degli scienziati. Interessante anche un contributo relativo ai repertori biografici e professionali, cioè alla raffigurazione contemporanea delie élites. Uno spazio è opportunamente riservato al raffronto comparativo con i principali paesi europei (Francia, Germania, Gran Bretagna). Nell'introduzione il curatore cerca di indicare gli ambiti nei quali sarà opportuno sollecitare ulteriori approfondimenti e promuovere più dettagliate ricerche: stato delle fonti e loro attendibilità; continuità o rottura nei meccanismi di reclutamento; dimensione nazionale o sopranazionale delle élites. Maurizio Griffo Guglielmo Ferrerò, Da Fiume a Roma. Storia di quattro anni, a cura di Piero Plecchia, pp. 125, €9, Stampa Alternativa, Roma 2003 Guglielmo Ferrerò (1871-1942) godette in vita di una notevole popolarità. All'inizio del Novecento i suoi libri di storia romana erano letti da un vasto pubblico.italiano e straniero e i suoi articoli pubblicati sulle principali testate. Convinto interventista democratico all'epoca della Grande guerra, fu poi uno dei primissimi oppositori del fascismo e visse in esilio dal 1930. Dopo la morte è stato a lungo dimenticato. Da alcuni decenni, però, varie sue opere storiche sono state riproposte. Aristocratico per temperamento, e democratico e liberale per scelta, Ferrerò è uno scrittore affascinante, come mostra anche la ristampa di questo libro di commento all'attualità che ricavò da interventi giornalistici scritti fra il 1919 e il 1923. Ferrerò offre una descrizione impietosa e preoccupata della realtà dell'epoca: lo stato devastato nelle sue strutture portanti, la sovversione come unica maniera di lotta politica. E coglie con chiarezza il legame violento e anarchico che lega la spedizione fiumana e la marcia su Roma. Se D'Annunzio aveva tracciato la strada, era stato Mussolini, più abile e manovriero, a condurre in porto l'impresa di impedire una effettiva democratizzazione dello stato. L'opera di Mussolini era letta in parte in continuità con la corruzione parlamentare precedente, in parte come elemento nuovo. La rilettura di queste pagine a distanza di ottant'anni conferma la lungimiranza di Ferrerò e le sue qualità di scrittore. Il curatore accompagna questa ristampa con alcune informazioni sull'autore che, sia pure un po' semplicistiche nei delineare un più complesso orizzonte storico, potranno servire da orientamento al lettore. Meno pertinenti, invece, risultano alcuni accenni all'oggi che chiudono la nota finale (non si capisce, infatti, cosa c'entrino con questa ristampa la crisi del governo Prodi e i successivi sviluppi politici). (M.G.) EDITRICE LAS Piazza Ateneo Salesiano - 00139 ROMA Tel. 06 87290626 - 06 87290445 - Fax 06 87290629 e-mail: las@ups.urbe.it- http://las.ups.urbe.it TERAPIA BREVE E COMPLETA L'approccio multimodale di Arnold A. Lazarus pp. 196-€13,00 KHIRBET FATTIR - BET GEMAL Two Ancient Jewish and Christian Sites in Israel di Andrzej Strus pp. 560 + 3 maps - € 40,00 WELFARE SOCIETY La riforma del Welfare: l'apporto dei Pontefici di Mario Toso 2- ediz. riveduta ed ampliata pp. 624 - € 35,00 DIAGNOSI INTERPERSONALE E TRATTAMENTO DEI DISTURBI DI PERSONALITÀ di Lorna Smith Benjamin pp. 496 - € 30,00 Stato e Libertà. Il carteggio Jabotin-sky-SciAKY ( 1924-1939), a cura di Vincenzo Vinto, postfaz. di Sergio Minerbi, pp. 212, € 25, Rubbettino, Soveria Mannelli (Cz) 2003 Il libro contiene un interessante scambio epistolare tra Vladimir Jabotinsky, leader incontrastato del sionismo revisionista, nonché opposto al filone maggioritario a orientamento laburista, e Isacco Sciaky, teorico italiano del movimento. Lo scambio epistolare è politico e ci aiuta a scavare ì rapporti tra questa sorta di "destra sionista" e il fascismo italiano. Jabotinsky, pur nutrendo un certo rispetto per la figura del duce italiano, non ne amava il culto delia personalità, che invece affascinava molti militanti del sionismo revisionista. Attraverso il carteggio si possono comunque capire i modi con cui i sionisti revisionisti tentarono di stringere legami con l'Italia fascista. L'opera di Sciaky, nel tentare di creare le condizioni per un incontro con Mussolini, continuerà ancora fino al 1937, quando le scelte del regime italiano sembrarono orientarsi verso una politica filoaraba. L'ultimo canale che si cercò di attivare fu quello palestinese, utilizzando il giovane sionista revisionista Zvi Kolitz, autore della prima opera in ebraico su Mussolini. Ciò che muove questi rapporti è il tentativo di giocare su più tavoli, anche al fine di contrastare, con velate minacce, la politica dei britannici in Palestina. Secondo Sciaky, "solo un sionismo svincolato del tutto dalla Gran Bretagna potrebbe ottenere il consenso dell'Italia fascista". In merito al sionismo revisionista esistono del resto due tesi. O Jabotinsky ha cercato di utilizzare l'Italia, o chi per essa, come lobby per premere sulla deludente Gran Bretagna e quindi il revisionismo non è stato fascista, ma un movimento di liberazione di tipo risorgimentale. O il revisionismo, invece, è stato proprio un movimento nazionalista e fascista per la dottrina sociale e per l'interpretazione monistica della nazione. Paolo Di Motoli Il libro nella Shoah. Distruzione e conservazione, ed. orig. 2001, a cura di Jonathan Rose, pp. 325, € 26, Sylvestre Bonnard, Milano 2003 I saggi contenuti in questo volume si propongono, nell'insieme, di mostrare come i libri abbiano rappresentato, da un lato, un elemento concreto del progetto nazista di distruzione degli ebrei e della loro cultura in Europa (ma anche di tutti gli elementi considerati "non tedeschi"), dall'altro uno strumento psicologico e materiale di difesa e di preservazione del proprio mondo intellettuale da parte delle vittime. Inoltre, i diversi interventi vogliono mettere in evidenza come i libri, quelli distrutti e quelli salvati, costituiscano una fonte straordinaria per leggere o rileggere la Shoah e i suoi protagonisti. L'obiettivo del volume è quindi ambizioso e viene raggiunto solo in parte, in ragione dell'estrema diversità dei saggi, che assumono soprattutto il valore di analitiche quanto interessanti e-semplificazioni di problemi più generali. Forse un'introduzione più corposa a-vrebbe fornito maggiore omogeneità all'impianto complessivo, ma al di là di ciò molti sono comunque gli aspetti rilevanti che emergono dai diversi interventi. Tra la quindicina di saggi che appaiono nel libro, vale la pena di segnalarne alcuni. Quello di Leonidas Hill, innanzitutto, che fa il punto quantitativo e qualitativo sulla distruzione operata dai nazisti nei confronti della letteratura "non tedesca", mostrando altresì i diffusi processi di autocensura e di volontaria distruzione di intere biblioteche da parte dei "nemici" di Hitler. L'intervento di David E. Fi-shman ricostruisce invece la storia del salvataggio parziale del patrimonio librario del ghetto di Vilna, mentre Sem C. Setter racconta la vicenda dei libri di maggiore valore storico salvati in Polonia. Rosemary Horowitz, infine, introduce i lettori alla conoscenza dei yizker-bikher, raccolte di ricordi realizzate nel dopoguerra dalle associazioni di immigrati ebrei al fine di ricostruire le vicende delle comunità di provenienza e che costituiscono una fonte importante, e scarsamente utilizzata, per la storia delia Shoah. Bruno Maida a evidenziare l'estrema disinvoltura con cui il mondo editoriale e storiografico considera ancor oggi la fotografia. Francesco Cassata Adolfo Mignemi Lo sguardo e l'immagine. La fotografia come documento storico. pp. 227, €26, Bollati Boringhieri, Torino 2003 In un saggio teso a definire e rivendicare per la fotografia un proprio'autonomo statuto di fonte per il lavoro storiografico, Mignemi individua la maggiore difficoltà nella mancanza di un approccio "culturale" alla fonte fotografica. Secondo l'autore, è infatti soprattutto dall'assunzione delle forme e delle specificità, nonché dei limiti e delle possibilità, del linguaggio fotografico, che dipende l'effettivo ingresso della fotografia nella "cassetta degli strumenti" dello storico dell'età contemporanea. Riconoscere la fotografia come fonte vuol dire, innanzitutto, affrontare il problema dell'uso della documentazione visiva, rispettando i suoi caratteri specifici (tecnici, culturali e documentali) e tenendo conto dei processi di produzione e di fruizione dell'immagine. In secondo luogo, un corretto rapporto dello storico con la fonte si deve esplicare, secondo Mignemi, nel miglioramento degli archivi visivi, nella salvaguardia dei beni documentali individuati, nel rifiuto di patteggiare l'uso scientifico delle immagini con le esigenze decorative dell'edizione. Perché non capiti più che un libro su Auschwitz sia illustrato con immagini scattate in un altro campo di concentramento: un esempio fra i molti elencati in questo saggio, i campi di sterminio nazisti. storia, memoria, storiografia, a cura di Giovanna D'Amico e Brunello Mantelli, pp. 271, €21,50, FrancoAngeli, Milano 2003 Il volume collettaneo offre un'efficace panoramica, non limitata all'Italia, dei differenti approcci all'analisi dell'universo con-centrazionario nazista. Il nucleo più importante della raccolta di saggi è rappresentato dalla dimensione storica e storiografica, con i contributi di Enzo Collotti sullo stato attuale degli studi, di Mantelli sulla questione del lavoro coatto, di Bruno Maida sulla situazione dei bambini nei lager, di Kurt Pàtzold sul dibattito relativo ai campi di sterminio in Germania dopo l'unificazione, e di Hans-Heinrich Wilhelm sulla storiografia riguardante il fronte orientale negli anni 1941-45. Un'ulteriore serie di interventi affronta invece la dimensione simbolica della deportazione e delia Shoah: dalle riflessioni di Enzo Traverso sul significato di Auschwitz a quelle di Alberto Cavaglion sul rapporto fra scrittura letteraria e racconto concentrazionario, fino allo studio di Annette Wieviorka sulla memoria della deportazione e del genocidio nella Francia del secondo dopoguerra. Sulle diverse forme di trasmissione della memoria si soffermano non a caso gli altri interventi: Anna Bravo e Daniele Jalla per ia memorialistica, Alberto Lovatto per le fonti orali e Marco Co-slovich per l'atto processuale. Chiude la rassegna un saggio di Francesco Germinario sulla scuola negazionista italiana e i suoi vari tentativi di contestare l'evidenza fattuale dello sterminio di massa. (F.C.) Richard J. Evans, negare le atrocità di Hitler. Processare Inving e i negazioni- sti, ed. orig. 2002, trad. dall'inglese di Pino Salerno, pp. 334, € 19,90, Sapere 2000, Milano 2003 Con un'introduzione di Valentina Pisanty, semiologa che da tempo si dedica all'indagine sui costrutti semantici e logici del ne-gazionismo, esce anche in edizione italiana l acribioso e intenso resoconto di Richard Evans (che insegna storia moderna a Cambridge ed è studioso della Germania contemporanea) sul processo intentato da David Irving contro Deborah Lipstadt. La querelle che si poneva all'origine del contenzioso era stata originata dal tentativo, per parte del primo, di ottenere un risarcimento in sede giudiziale dalla seconda, in ragione di alcune affermazioni che gli erano risultate offensive e denigratorie. Nella sostanza, l'intendimento del libellista londinese era di ottenere una forte attenzione mediatica a favore della "causa" del negazionismo, vale a dire della tesi che sostiene inesistito lo sterminio nazista degli ebrei. Operazione peraltro poi fallita, in ragione della stessa sentenza, risultatagli avversa. Evans, testimone della difesa, chiamato in causa in qualità di perito in grado di fornire un parere indipendente nel merito delle questioni sollevate dinanzi alla corte di Londra, si adopera per più di trecento pagine a confutare asserzioni e motivazioni addotte da Irving. Il testo ha una triplice struttura, costituita da livelli tra di loro distinti, ma anche costantemente intersecati: vi è infatti una dimensione più strettamente narrativa, dove si dà conto dell'evoluzione delle ricerche sui negazionisti e sulla vicenda processuale; un elemento metodologico, con il quale si mettono a nudo le procedure di falsificazione adottate da Irving; infine, una riflessione sulle interconnessioni tra storiografia e giustizia, sia penale e civile che morale. Claudio Vercelli