Un'orgia
di parole
di Danilo Manera
Javier Marias IL TUO VOLTO DOMANI 1. Febbre e lancia
ed. orig. 2002, trad. dallo spagnolo di Glauco Felici, pp. 374, €18,80, Einaudi, Forino 2003
Javier Marias è uno degli scrittori spagnoli più noti e ammirati in patria e fuori, vincitore di numerosi premi, tradotto in oltre trenta lingue e osannato dagli studiosi. Su di lui esiste un'ampia bibliografia e un vasto materiale in rete (a cominciare dal sito ufficiale www.javierma-rias.es). Con questo volume affronta il suo progetto narrativo più ambizioso, un romanzo diviso in due puntate perché sfiora il migliaio di pagine. I critici spagnoli hanno gridato entusiasti al capolavoro. Per Santos Sanz Villanueva su "El Mundo" è un romanzo classico e moderno, denso e ameno, il più ricco e riuscito di Marias, che Rafael Conte su "El Pais" compara a Cervantes e Proust. Un coro così stentoreo e compatto intimidisce ogni dissenso. Ma conforta che su queste colonne abbiano manifestato alcune perplessità Maria Nicola (cfr. "L'Indice", 1999, n. 5) e Valeria Scorpioni Coggiola (cfr. "L'Indice", 2000, n. 6 e 2002, n. 3). Comunque, questo spezzone non può essere letto come indipendente, per cui recensirlo ha un senso relativo: sono note sommarie su un testo incompleto.
Ritroviamo nel Tuo volto domani la voce narrante di Tutte le anime (1989; 1999), che riceve il nome di Jacques (o Jai-me o Jacobo o Jack o Diego o Yago) Deza e torna in Inghilterra, dov'era stato anni prima lettore all'università di Oxford. Adesso lavora presso la Bbc, per rimanere lontano dalla ex moglie Luisa e dal figlioletto, in una sorta di convalescenza sentimentale. L'azione si svolge in un fine settimana a Oxford, dove Deza va a trovare Sir Peter Wheeler, eminente ispanista in pensione. Sabato sera, Deza incontra Mr Tupra, che mette alla prova le sue abilità (e poi lo ingaggerà come "traduttore o interprete delle persone, dei loro comportamenti e reazioni, delle loro inclinazioni e caratteri"). Durante la notte, spinto da alcune rivelazioni di Wheeler, fruga nella sua biblioteca sulle tracce del leader trotzkista Andrés Nin, assassinato dagli stalinisti durante la guerra civile spagnola. Ciò lo porta a riflettere sulla sorte di suo padre, diffamato e denunciato alla polizia franchista da un amico intimo. E su quella di suo zio materno Alfonso, giustiziato dai miliziani di una ceka (nel libro è inserita la sua foto). Nella biblioteca Deza trova anche al-
cuni classici del genere poliziesco e spionistico, nonché una misteriosa goccia di sangue su una rampa della scala.
Il mattino della domenica, Wheeler parla di sé: si scopre che è fratello del docente di letteratura inglese Toby Rylands di Tutte le anime e che entrambi hanno lavorato per i servizi segreti militari britannici. Toby scorgeva in Deza il dono di captare i tratti sostanziali delle persone, "spesso inavvertiti, ignorati da loro stessi". Perciò Wheeler l'ha segnalato a Tupra per il suo ufficio di "anticipatori di storie". L'idea di tale gruppo di spie dai rari poteri di penetrazione psicologica nacque a seguito della campagna, condotta durante la seconda guerra mondiale, contro le chiacchiere imprudenti che informano il nemico e provocano perdite (cartelli e volantini raccolti da Wheeler vengono riprodotti nel libro). Se alcuni accolsero l'invito al mutismo, altri parlarono molto di più, sentendo l'ebbrezza di un inaspettato peso delle loro parole. I servizi segreti pensarono di sfruttare questo effetto collaterale dell'iniziativa: lasciar parlare e ascoltare alla ricerca del profilo essenziale occulto delle persone e quindi del loro possibile utilizzo. Deza, che scrive dal presente (ci sono riferimenti alle Torri gemelle e al tentato golpe contro Chàvez in Venezuela), non sa bene cosa ne facciano dei suoi "pa-
reri o impressioni o rapporti"; si limita a interpretare gli individui, a volte fungendo anche da traduttore dallo spagnolo, altre volte solo da videocassette (prendendo coscienza della quantità di occasioni in cui la gente viene filmata a sua insaputa). La sera, poi, Deza spia il vicino di fronte
che balla infervorato _
davanti alle finestre con varie partner. In una notte piovosa intercetta così l'arrivo di una donna, che al citofono gli dice "Sono io", chiedendo di sabre un momento. Deza la riconosce, e qui si ferma il testo.
Riassumere un libro di Marias è tuttavia un'impresa disperata quanto vana. Marias è uno scrittore da pezzi di bravura (e infatti il più bel compendio della sua arte è l'antologia E/ hombre quepareaa no querer nada, a cura di Elide Pittarello, Espasa Calpe, 1996) che dà il meglio di sé in una divagazione o in ima chicca lapidaria. Certe caratteristiche della prosa e dell'ispirazione di Marias si riconoscono in questo romanzo e faranno la gioia dei suoi estimatori: il predominio del pensiero sull'immaginazione, con l'attività mentale che si fa azione narrativa; l'ibridazione di materiali autentici e fittizi e l'ambiguo rapporto autobiografico tra autore reale e narratore; un ordine ar-
Solitudini a Cuba
bitrario delle sequenze che fa da controcanto al gioco maniacale con la cronologia, con rimandi continui a certi punti fissi nel tempo; i pochissimi e convenzionali esterni rispetto agli sterminati interni; le minuziose descrizioni e i dialoghi straripanti dalle colte architetture settecentesche;
la percezione della realtà come poliedrica e inafferrabile e pertanto non spiegabile né spiegata; l'ossatura metanarrativa che fa riaffiorare ovunque la questione del parlare/scrivere e del loro contrario, il silenzio.
La trama avanza però come raggomitolandosi o incespicando nel buio, alcuni spunti intriganti restano irrisolti (ad esempio, la storia solo abbozzata di Andrés Nin, o l'enigma della goccia di sangue) e vengono subito risommersi da elementi secondari e sfilacciati, fulminee vampate che si spengono sfrigo-
di Barbara Destefanis
Pedro Juan Gutiérrez CARNE DI CANE
ed. orig. 2003, trad. dallo spagnolo di Giovanni Barone e Mirta Vignatti, pp.149, € 14, e/o, Roma 2003
Quando, cinque anni fa, la Trilogia sporca dell'Avana (1998; e/o, 1998) veniva pubblicata in Italia, Pedro Juan Gutiérrez poteva forse apparire come uno scrittore fugace, destinato a esaurirsi in quell'unica opera traboccante di vita e di energia seppur vincolata a una materia putrida, corporea e decadente. I titoli si sarebbero invece susseguiti a un ritmo vertiginoso, finendo per configurare un "universo Gutiérrez", delimitato e inconfondibile. I due romanzi successivi - Il re dell'Avana (1999; e/o, 1999) e Animai tropical (2000; e/o, 2001) - avrebbero rivelato un autore capace di sottrarsi a una scrittura ancora troppo cronachistica e in grado di trascendere la realtà in finzione.
El insaciable hombre arana (Editorial Anagra-ma, Barcelona 2002) e Carne di cane - coronato dal Premio narrativa Sud del mondo 2003 - segnano invece un ritorno verso lo stile iperreali-stico e documentale dell'esordio: privi di un serrato intreccio, si limitano a offrire una serie di quadri - tenuti insieme dal ripresentarsi di uno stesso protagonista nonché alter ego dell'autore - della vita a Cuba, all'inizio dell'attuale millennio. Tuttavia, l'aspetto referenziale, così importante nella Trilogia, assume in queste opere una nuova dimensione, più rarefatta e sottile. Pedro Juan, protagonista e narratore di quattro dei titoli che integrano questo Ciclo de Centro Haba-na ora concluso, ci era allora apparso come uno
dei tanti personaggi derelitti, descritti dall'autore mentre escogitano trovate rocambolesche per sopravvivere a stento in un'isola martoriata da fame e povertà. In Carne di cane, invece, questa figura narrativa si afferma appieno come individuo - immerso ma nel contempo distante dalla folla di jineteras, affamati, truffatori e turisti - e si elegge a portavoce di una filosofia amara e pessimistica. L'aspetto epico e picaresco della prima opera - di un'epicità parodica e rablesia-na - viene così sostituito da un individualismo sempre più marcato. Lo scenario non è più quello caotico e coloratissimo dell'Avana, bensì i suoi dintorni più desolati, il mare e le spiagge di Guanabo. Le fughe a ritmo di rum, marijuana, sesso e balli seducenti e osceni, che avevano inebriato il fruitore delle prime opere - prestandole a letture superficiali ed esotiche, facili ad assecondare luoghi comuni e clichés generalizzati sul mondo caraibico - sopravvivono ormai solo come rimedi occasionali per sottrarsi alle angustie della quotidianità.
Quei bagni di umanità e di sregolatezze nelle vie affollate della capitale cubana sono sostituiti dalla contemplazione nostalgica e riflessiva di un individuo solitario. Ogni racconto di Carne di cane è la cronaca di un incontro, destinato sempre al fallimento, che conferma e sancisce tragicamente la solitudine esistenziale dell'uomo. L'atmosfera è rarefatta e monocroma; il tono cinico, duro, rassegnato. Il Pedro Juan beffardo e gioiosamente crudele delle prime pagine, variopinte e giocose, chiude quindi il sipario su una tonalità grigia e malinconica: quasi che quel registro scanzonato non si addicesse più a uno scrittore un po' invecchiato e reso consapevole dal relativo agio materiale ora conseguito che il malessere non è solo quello di un'isola affamata ma di tutta un'umanità alla deriva.
landò nel gelo di interminabili chiose e dubbi lasciati in sospeso, fino al colpo di scena finale oltremodo posticcio.
Questa poetica è scoperta e cosciente: un discorso laborioso e aggrovigliato, che sfugge a ogni coesione, sembra l'unica risposta possibile alla dichiarata inutilità e insieme inevitabilità del parlare ("Tacere, tacere è la grande aspirazione che nessuno compie, nemmeno dopo morto, e io tanto meno"). Wheeler è esplicito: "Troppo materiale nebbioso e affastellato e insieme molto sparpagliato, troppo per un ragguaglio, anche se soltanto tiel pensiero. (...) La vita non è raccontabile, e risulta straordinario che gli uomini abbiano dedicato tutti i secoli di cui siamo a conoscenza a questo (...). E un'impresa condannata a priori, fallita, e che forse ci porta meno piacere che danno".
E lo stile di Marias, peculiaris-simo, concettuale e "ipnotico", vuol forse rappresentare l'incertezza dovuta alle "infinite cose che cadono sotto l'angolo cieco dell'occhio" e la generale sostituibilità di ogni articolo con un altro all'interno dell'inventario umano. Ma in questo libro, l'accumulazione può diventare affaticante. Ci si ritrova invischiati in una specie di saga del sinonimo, in una spossante esaustività da catasto, in un'orgia dell'endiadi e dell'enumerazione, in uno sforzo caparbio di esaurire aree lessicali, in un'accanita casistica di disgiuntive inclusive.
Alcune idee di Febbre e lancia sono seducenti. Probabilmente l'autore le svilupperà a dovere nella seconda parte. Questa prima parte data alle stampe, però, è purtroppo composta di pezzi mal proporzionati, anche nel ritmo. L'ipertrofia dell'io narrante e delle sue ossessioni, priva del correttivo ironico presente in altre opere di Marias, rischia di degenerare a ogni passo in una gelatina in cui si emulsionano personaggi, sensazioni e considerazioni, con l'ipnosi pericolosamente vicina alla narcosi e la filosofia alla pignoleria. Il costante ritardare lo sviluppo, che sortiva effetti significativi in Domani nella battaglia pensa a me (1994; 1998), qui, invece di creare tensione, consuma l'interesse del lettore, non di rado incagliato in un narrare ridondante e ripetitivo. 11 punto chiave del romanzo ci riguarda: com'è possibile che non si riesca a co gliere il "volto domani" delle persone, permettendo loro di tradirci? E coglie nel segno il paradosso di un Deza che a suo modo produce delazioni, anche se proiettate nel futuro. Diamo dunque a 11 tuo volto domani, che per ora sembra tradirci, l'opportunità di recuperarci nella seconda parte. "Nessuno è l'ultimo in nessun posto, qualcuno attraversa più tardi sempre", scrive Marias. Aspettiamo.	■
danilo.manera@unimi.i t
D. Manera insegna letteratura spagnola contemporanea all'Università di Milano