„ LINDICE ^■□el libri del uesebi Narratori italiani Inquietudini di un occidentale Viaggio senza partenza di Marcello D'Alessandra Francesco Piccolo ALLEGRO OCCIDENTALE pp. 241, € 14, Feltrinelli, Milano 2003 Immaginate un viaggiatore occidentale, di quelli che hanno il privilegio di volare in business class e di soggiornare nei luoghi più esclusivi e confortevoli, secondo la formula ali inclusive. Un viaggiatore che tutto ciò nonostante abbia conservato intatto uno sguardo candido sulle cose, una sensibilità che potrebbe dirsi da uomo comune. Per di più questo nostro viaggiatore è un osservatore acutissimo, in grado di cogliere tutte le contraddizioni, i paradossi, incontrati lungo la sua rotta verso Oriente - dallo Sri Lanka in Australia, passando per Hong Kong -, e di svelarci il Iato comico, perfino delirante, del mondo nostro globalizzato. Immaginate infine di questo viaggio il racconto - dalla felice verve narrativa - e avrete Allegro occidentale di Francesco Piccolo, insieme, o a scelta: romanzo autobiografico, diario di viaggio, racconto filosofico - l'editore, inserendolo nella collana "I Narratori", ha voluto suggerire un preciso percorso di lettura, che senz'altro può assumersi come il più proprio al libro e al suo autore, narratore di talento. Mr. Piccolo, il nostro simile occidentale alla scoperta del mondo, conquista la nostra simpatia, pagina dopo pagina, per quel suo sguardo appassionato e guardingo: ora è infatti animato dal volenteroso entusiasmo tipico dell'uomo con la valigia, ora si trova a smarrirsi nello scoprire il tranello nel quale è caduto e al quale suo malgrado attivamente partecipa: come quando s'avvede, d'un tratto, di essere non tanto in un luogo esotico, quanto piuttosto nella cartolina stereotipata che quel luogo rappresenta, di quelle che sempre si trovano nelle guide a uso degli occidentali. E il suo sorriso, nella posa per la foto, d'improvviso si gela di sgomento. Il racconto di questo viaggio nelle contraddizioni ha inizio ancora prima di partire, quando l'idea stessa di viaggio è messa in discussione: "Ogni notte prima di partire c'è un momento in cui penso - con tutta la chiarezza che non riesco mai ad avere - che non vorrei partire. Vorrei restare qui sotto le coperte (...) Il problema diventato ormai inesorabile per la mia sincerità nei confronti di me stesso è che io sono uno che non ama viaggiare". E nel rimuginare questi pensieri, il nostro viaggiatore dalla vocazione contraria, arriva infine a pensare di voler essere già tornato. Il problema finale, profondo e nascosto, e l'inquietudine che lo prende appéna il viaggio comincia, è di non essere poi convinto che andando dall'altra parte del mondo egli davvero stia andando dall'altra parte del mondo. Forse, nonostante tutte le apparenze, non si allontanerà mai veramente da casa, anzi, il luogo dell'altra parte del mondo avrà deciso di passare sotto casa sua. E in buona parte, durante il viaggio, scoprirà che sarà proprio così. Come per le ghirlande di fiori ricevute in dono dalle ragazze cingalesi, in segno di benvenuto, appena messo piede in Sri Lanka. Scoprirà poi che la ghirlanda di fiori in quel paese non esiste, se non all'aeroporto, per i turisti, perché è proprio quello che si aspettano. O ancora le danze degli indigeni col costume tradizionale, a piedi nudi sull'asfalto bollente, nelle piazzole di sosta lungo il viaggio alla ricerca dell'esotico, purché sempre in salsa occidentale e con tutti i comfort. Sul pullman, il mondo di fuori è osservato attraverso il finestrino, chiuso, senza possibilità di aprirlo perché c'è l'aria condizionata. Molti, nel frattempo, e al cospetto di paesaggi unici, sono impegnati a inviare sms col cellulare. Tanto poi è il comfort di certi luoghi e servizi offerti -aeroporti grandi come città, ad esempio - che le parti intermedie del viaggio finiscono per essere quelle più affascinanti e attese, la visita al paese straniero può così apparire un inutile momento noioso, col disturbo, oltretutto, di dover vedere la parte povera - che orrore! L'ultimo dei tanti paradossi incontrati lungo il viaggio è il caso del sub nella barriera corallina australiana, il quale racconta, pieno di malinconia, che in quei luoghi tanta è la bellezza che la fantasia - così dice -gli si sta restringendo, al punto da non riuscire quasi più a conversare. ■ marcedale@tiscalinet.it M. D'Alessandra è insegnante Pagare dazio di Maria Vittoria Vittori Vladimiro Bottone MOZART IN VIAGGIO PER NAPOLI pp. 216, € 13, Avagliano, Cava de' Tirreni (Sa) 2003 Vienna, esterno notte: il Parco del Prater si va lentamente svuotando; nell'aria gli ultimi fiacchi richiami degli imbonitori; un uomo d'aspetto malandato, che dovrebbe tornare a casa ma non ne ha voglia, finisce per cadere nella trappola di un richiamo più suadente degli altri, quello di un illusionista. Ma se quest'uomo malandato "a cui i trentacinque anni sono caduti, di colpo, addosso" risponde al nome di Wolfgang Amadeus Mozart e l'illusionista è Antonio Gamiani, non di caso si tratta, bensì di appuntamento col destino. Perché sarà proprio Gamiani, compilatore di oroscopi, medium, indovino e anche "ipnotizzatore esperto di fluidi mesmerici", a raccontare la storia: per conto del suo illustre paziente, risucchiato dal gorgo ipnotico e rimandato in un luminoso paradi- so terrestre perduto vent'anni prima. Inizia così, in un ambiguo quanto seduttivo gioco di riflessi, il nuovo romanzo di Vladimiro Bottone in cui ancora una volta è Napoli il fondale - lacero ma dai colori incomparabilmente sontuosi - della rappresentazione. Nel romanzo d'esordio, L'ospite della vita (Avagliano, 1999) era in un oscuro teatrino napoletano che Leopardi s'imbatteva in un suo parodistico alter ego; in Rebis (Avagliano, 2002) tutto ruotava intomo alla corte napoletana del principe alchimista Raimondo Di Sangro; e ora, è davanti a una chiesa barocca nel cuore della città che il tredicenne Mozart, fortunosamente arrivato a destinazione dopo un lungo viaggio condiviso con l'asfissiante Leo-pold e occasionali compagni d'avventura (dame, cavalieri e abati), vede per la prima volta Teresa, intrepida fanciulla che danza sul bordo di un cornicione. Se davvero Napoli - parola del grande Gamiani, cittadino del mondo ma di nascita partenopea - è "la grande dogana in cui tutti devono pagare dazio", sarà l'incantevole, spavalda Teresa la figura delegata a esigerlo da Mozart. Ma di quale dazio si tratta? E un termine di casa nelle storie raccontate da Vladimiro Bottone, storie che risultano felicemente anomale nel nostro panorama letterario, in virtù della loro natura composita, ancorata da un lato a un passato storico brulicante di illustri nomi di poeti, principi e artisti, dall'altro attraversata da un filo di alta tensione tipicamente contemporanea, che annoda espressionisticamente il linguaggio e induce i ben noti personaggi a vertiginose inquisizioni su se stessi. E dunque, in questa prospettiva, il dazio si configura come un pedaggio da pagare, al termine di indagini o di appuntamenti con il destino, per poter cogliere almeno un barlume della propria verità interiore, di ciò che si è veramente. Ma è qualcosa che il tredicenne Mozart, metà dio (nella musica) e metà querulo bambinetto (nella vita) non sa e non può pagare se non nell'inconsapevole forma di un'attrazione verso Teresa. Non può nemmeno immaginare, divinamente immaturo com'è, la reale natura della posta in gioco e quanto sia circondato da invidie, da odio, da una selva di sentimenti oscuri e malefici. È solo vent'anni dopo, da una grande distanza di tempo e di spazio, sdraiato su un lettino di un baraccone da fiera del Prater viennese, che s'apre nel gorgo nero dell'ipnosi una finestrella di luce che gli rischiara i sensi e la vista interiore. E con lui anche i lettori, guidati dalla regia del burattinaio Gamiani e dalFàncor più sapiente regia di chi lo fa muovere, accedono al significato più profondo di questa vicenda di iniziazione. Non solo ai turbamenti d'amore la piccola Teresa, misteriosa creatura di frontiera, ha iniziato il giovane semidio Mozart, ma anche ai misteri della vita e al mistero più grande di tutti, la morte. Un mistero con cui familiarizzare piano piano, inavvertitamente, delibando quello che è stato l'ultimo regalo di Teresa: una fiaschetta colma di dolcissimo veleno. ■ Vite in poche righe di Vincenzo Aiello Cesare Fiumi CUORI A BARRE Storie perdute del nostro tempo pp. 190, € 12, Casagrande, Bellinzona 2003 Cesare Fiumi è un inviato speciale del "Corriere della sera" che da qualche anno tiene su "Sette", il magazine del quotidiano, la rubrica "Brevi in cronaca", che raccoglie le storie perdute del nostro tempo; quelle storie, "della grandezza di un insetto che scivolano via d'un fiato, nel mattinale delle tragedie e delle comicità, delle stranezze e dei dolori. Storie stipate in poche righe che avresti voglia di liberare dalla loro taglia stretta, da quel taglio freddo e burocratico, così da raccontarle fino in fondo". C'è bisogno di uno sguardo rasoterra per cogliere queste marginalità di chi "con un suo codice personale, emotivo, etico, si ribella ai codici impressi da altri alla propria esistenza. Cuori a barre, appunto". Che cosa dicono queste banali normalità, tragiche e feconde che siano? Raccontano - che già è un atto d'amore - di un tempo in cui una faglia generazionale si è interposta fra giovani (spesso molto giovani) e vecchi (neppure tanto vecchi) che non comunicano più tra loro. "Come se un ictus delle conoscenze prima ancora che delle coscienze, stesse frantumando -terremotandola giorno per giorno - una società che ci era familiare". Sì, leggendo queste brevi di cronaca che in realtà sono dei piccoli reportage narrativi - altro frumento al covone di chi pensa con lo scrivente che questa sia la vera forma del dire romanzesco di questo tempo surmoderno fatto di non luoghi - si pensa alla definizione dell'istituto familiare che emerge dagli Indifferenti di Moravia data pochi giorni fa da Enzo Siciliano sulla "Repubblica": come luogo di "nevralgie di violenze senza radici". Quindi anche la vicenda di Omar ed Erika - breve in cronaca più mediaticamente famosa - viene a essere spiegata con la luce della realtà che costa sempre qualcosa senza ricorrere a indagini sociologiche (Paolo Crepet) o a esperimenti narrativi individualistici. I vari reportage poi sono raccolti-raggrumati secondo titoli che richiamano situazioni tipo, e accanto a Bestie si possono incontrare anche denominazioni speranzose come Gesti, dove in situazioni limite appaiono travasi di coscienza e di compassione che cristianamente danno senso. "Perché ci sono vite che sono corde tese di coerenza, così alte che a guardarle dal basso, dalla superficie del nostro superficiali-smo, producono vertigini". Ben vengano queste vertigini che sono delle clausole di salvaguardia ai casi che non rientrano in alcun dettato giuridico singolo o sistematico e che ci restituiscono oltre a queste storie perdute anche sentimenti, valori, etiche che in questo tempo di at the cash desk credevamo irrimediabilmente perdute e che danno speranza come i francobolli di Cero-netti, farfalle indirizzate agli amici che affrancano cartoline che sono sogni fioriti. FRANCESCO PICCOLO ALLÉGRO OCCIDENTALE