In primo piano Una divisione - spesso strumentale - tende a spaccare la nostra storia politica in una cesura profonda fra Prima e Seconda repubblica. La diversità di metodo, di cultura, di progettualità, anche di senso dello stato (e non solo di stile), tra i due tempi possono trovare un percorso interessante di lettura crìtica, componendo unitariamente le biografie di due statisti come De Gasperi e La Malfa con la gestione problematica del governo Berlusconi e delle possibili alternative. La politica come dovere di Gian Carlo Jocteau Alfredo Canavero ALCIDE DE GASPERI Cristiano, democratico, europeo pp. 134, € 10, Rubbettino, Soneria Mannelli (Cz) 2003 La biografia degasperiana di Canavero si segnala per la sua veste agile ed essenziale, pur giovandosi di un'adeguata base documentaria che include i discorsi e gli scritti dello statista democristiano, i documenti parlamentari e ministeriali, la memorialistica, la storiografia e, per gli anni della giovinezza, della prima guerra mondiale e del fascismo, le carte dell'archivio De Gasperi. Il sottotitolo del volume esplicita le tesi, interpretative di fondo, che concernono il radicamento religioso dell'impegno politico del personaggio, la sua ferma adesione alla democrazia, la sua capacità di radicarvi, in anni difficili, il mondo cattolico, il delicato equilibrio che mantenne tra fedeltà alla chiesa e autonomia della politica e, infine, il precoce e convinto europeismo. Ne risulta un ritratto incondizionatamente positivo e delineato con toni fortemente simpatetici, in cui la sinteticità della narrazione, pur non priva di vigilanza critica, lascia talvolta sullo sfondo la complessità dei problemi, dei dilemmi e delle situazioni che accompagnarono i tempi e le scelte operate. I primi capitoli, dedicati alla giovinezza e agli anni della militanza nel Trentino, appaiono particolarmente efficaci nel tratteggiare un modo di concepire la politica e i suoi contenuti che si riveleranno costitutivi e persistenti, pur nel radicale mutare delle situazioni. De Gasperi intende sin dall'inizio l'attività politica come un effetto e un prolungamento della sua militanza nell'associazionismo cattolico. Ventitreenne, nel 1904, entra nella direzione della neocostituita Unione politica popolare del Trentino. Influenzato dalle aperture e dagli interessi sociali del vescovo Endrici, a cui lo lega un rapporto protondo e duraturo, si interessa in chiave antisociali- Le nostre e-mail direzione@lindice.191.it redazione@Iindice.191.it uffìciostampa@lindice. 19 l.it abbonamenti@lindice.191.it sta di questioni sindacali e si batte contro il Volksbund tirolese, protestante e filogermanico, per la nazionalità trentina cattolica e italiana ("Prima cattolici e poi italiani", scrisse nel 1902). Su queste posizioni fa il suo ingresso in parlamento nel 1907, alle prime elezioni tenute a suffragio universale maschile. Un cristianesimo sociale che si situa sul terreno laico della democrazia politica e un legame con la patria che risulta estraneo al nazionalismo aggressivo del primo Novecento, e che si colloca piuttosto nell'orizzonte sovranazionale dell'impero asburgico, si definiscono pertanto sin da allora come motivi caratterizzanti dell'azione degasperiana, sicché la guerra e il dopoguerra, segnati dalle accuse di scarso patriottismo e dalle battaglie per l'autonomia del Trentino, appaiono pienamente coerenti con queste premesse. Dopo le pagine dedicate all'esperienza nel Partito popolare e agli anni della scelta antifascista e della segregazione politica, la seconda parte del volume è dedicata all'ultimo periodo della vita di De Gasperi, che abbraccia l'arco poco più che decennale in cui egli, tra la fondazione della Democrazia cristiana e la morte, intervenuta nell'agosto del 1954, fu protagonista centrale delle vicende italiane. Di questa fase si evidenziano alcuni aspetti cruciali, quali la svolta centrista del 1947, il legame con gli Stati Uniti, l'emarginazione di Dossetti, i rapporti col "quarto partito" degli industriali, la decisa opzione europeista, la costante attenzione per la politica estera e le relazioni talvolta non facili col Vaticano. In particolare, a proposito dell'allontanamento delle sinistre dal governo, in contrasto con quanti vi hanno scorto il risultato di una mera acquiescenza alle direttive americane, Canavero insiste sul ruolo attivo esercitato autonomamente da De Gasperi. Lo testimonierebbero i colloqui intervenuti in quei mesi con l'ambasciatore Dunn e all'interno del partito, nei quali lo statista trentino enfatizzò l'urgenza degli aiuti economici all'Italia, drammatizzando nel contempo il rischio di un governo di estrema sinistra come unica alternativa possibile all'opzione centrista: "O si fa adesso o non si fa più -avrebbe detto a Piccioni -: questa è l'occasione". Nei capitoli e nelle pagine finali torna insistente il tema del travaglio di De Gasperi, nel segno di un'azione politica inscindibilmente connessa con la dimensione etica e con quella religiosa e intesa anzitutto come missione e come dovere da compiere: un motivo che evoca una statura morale e una temperie storica e culturale che inducono a riflettere. ■ giancarlo.jocteau@unito.it G.C. Jocteau insegna storia contemporanea all'Università di Torino Antifascista in carcere di Francesco Cassata Alcide De Gasperi LETTERE DALLA PRIGIONE (1927-1928) pp. 173, €15, Marietti, Genova-Milano 2003 Maria Romana De Gasperi MIO CARO PADRE pp. 194, € 15, Marietti, Genova-Milano 2003 Ripubblicato da Marietti in occasione del cinquantesimo anniversario della morte, l'epistolario degasperiano dal carcere fascista andrebbe letto sullo sfondo della situazione politica trentina negli anni 1926-1928, descritta, fra gli altri, da Igino Giordani, Stefano Jacini, Giuseppe Spataro: la redazione del "Nuovo Trentino" devastata dalle squadre fasciste, le sedi delle associazioni cattoliche e dei circoli assalite e occupate. Nella prima metà del dicembre 1926 si rende persino necessario un colloquio fra Mussolini da un lato, e il prefetto e il vescovo dall'altro, per circoscrivere l'azione delle camicie nere contro le organizzazioni cattoliche. Nel contesto generale s'inserisce poi la specifica vicenda biografica di De Gasperi, già sottoposto nel 1926 a un clima di rigida limitazione di libertà e di movimento, da cui scaturisce l'episodio del marzo 1927: il viaggio iniziato a Roma, con destinazione Trieste, e interrotto a Firenze. Lungi dal rappresentare una fuga, probabilmente la scelta di Trieste costituiva - secondo i biografi - l'ultimo, estremo tentativo, prima di pensare seriamente all'esilio. Ma tanto bastò perché il fascismo decidesse, nel maggio dello stesso anno, di tramutare l'arresto in condanna, malgrado l'assenza di qualunque elemento di prova. Le lettere registrano la disperazione di quel momento e la sofferenza provocata, più che dalla pena, dal-l'"oltraggio alla giustizia". Nel carcere di Regina Coeli e successivamente nella clinica, De Gasperi legge i salmi biblici, ma anche Dante, Gioberti, Balzac, Dostoevskij. Se solitudine e silenzio costituiscono il "monologo" soffocante per un uomo che vive di politica, non mancano tuttavia i momenti di ironia e di divertimento. De Gasperi si guarda, ad esempio, rammendare nella sua cella, con scarso successo: "Tuo marito per ricucire una bretella strappata incontrò tali difficoltà che mai affari di Stato". O deride i carabinieri di guardia alla porta della sua camera: "Quando vado alla ritirata mi seguono in plotone". Costantemente ripetuta è l'immagine della casa, della moglie, delle figlie: "Mi pare di vedervi, di sentirvi quasi ad ogni curva della salita in montagna, e il mio senso è così acuto da sentire il rigoglio dell'erba matura o più in basso il profumo del fieno che secca". Accolto come una prova della Provvidenza, il carcere diviene, nell'esperienza degasperiana, un ulteriore motivo di maturazione del proprio antifascismo: "Se soffrendo dignitosamente e virilmente darò buon esempio, se portando il peso che pur tocca a tanti meno sorretti da forze morali, porterò più in alto anche la fama della nostra idea, non è vero che tale servizio sarà utile?". L9idea di una fede che diviene nutrimento di una militanza antifascista, in un intreccio insolubile di spiritualità e politica, è anche alla base della lunga lettera con cui Maria Romana si rivolge al padre, ripercorrendone le principali tappe biografiche, dai movimenti irredentisti alla battaglia per l'unione europea. Un viaggio nella memoria, un itinerarium mentis che va essenzialmente interpretato in quanto tale, senza che il lettore debba aspettarsi da esso un'analisi critica o storiografica. Spesso non un politico emerge, infatti, da queste pagine, quanto piuttosto una sorta di exem-plum cristiano. ■ francescocassata@hotmail.com F. Cassata è dottorando in storia contemporanea all'Università di Torino Raddrizzare la democrazia di Paolo Soddu Ugo La Malfa SCRITTI 1953-1958 a cura di Giancarlo Tartaglia, introd. di Riero Craveri, pp. XLIII-921, 2 voli, s.i.p., Fondazione Ugo La Malfa, Roma 2003 Lorenzo Mechi L'EUROPA DI UGO LA MALFA la via italiana alla modernizzazione (1942-1979) prefaz. di Antonio Varsori, pp. 228, €21, FrancoAngeli, Milano 2003 A quindici anni dal primo volume mon-dadoriano, che copriva l'attività pubblicistica di Ugo La Malfa dal 1925 al 1953, questa raccolta degli scritti si concentra sul quinquennio corrispondente alla seconda legislatura repubblicana. Anche l'intensa attività giornalistica - svolta, oltre che sulla "Voce repubblicana", sui principali fogli della sinistra laica, "Il Mondo", "L'Europeo", "L'Espresso", "Nord e Sud" - così come la produzione saggistica, sono spie del fatto che La Malfa, specie negli anni cinquanta, fu minoranza tra le minoranze. La Malfa fu anche, tra coloro che avevano sostenuto il centrismo, il primo a comprendere che le elezioni del 7 giugno 1953 ne avevano decretato la morte. E avviò una riflessione sulle ragioni di quell'esaurimento, che andava ben oltre il narcisistico "destino cinico e baro" invocato da Saragat. Da una parte la "convinzione illuministica" - scrisse proprio così - che fosse sufficiente il riformismo dall'alto, cioè l'azione dei governi De Gasperi, per trasformare il paese, e dall'altra il rapporto ineguale tra laici e De, i cui riflessi avevano investito il carattere della democrazia italiana, la laicità dello stato, la politica costituzionale, erano stati per La Malfa i fattori che avevano irreparabilmente indebolito il quadripartito. Nel 1948, la scelta di una "zoppa democrazia" di fronte alla "minaccia di una spietata dittatura" era stata a suo avviso inevitabile e produttrice di frutti. Dopo il 1953 occorreva costruire un'effettiva democrazia. Nella prima parte della seconda legislatura egli ricercò, in solitudine, un'alternativa all'alleanza centrista, intravista nell'unità dei liberali di sinistra, il futuro Partito radicale prepannel-liano, dei repubblicani e dei socialdemocratici. La Malfa colse fin dalla campagna elettorale del 1953 la nuova dislocazione del Psi, ma fino al 1955 privilegiò una sorta di alternativa laica - il "nucleo di democratici di sinistra laica e laburista" - che si concentrasse su una scelta programmatica tutta protesa ad accogliere la via democratica alle riforme e si preoccupasse di affrontare la sfida posta dai partiti di massa.