N.3 Idei libri del mese 45 Roberto Farneti, Il canone moderno. filosofia politica e genealogia, pp. 318, € 24, Bollati Boringhieri, Torino 2003 Nei corsi di filosofia politica, il Leviathan di Thomas Hobbes è un "punto di partenza". Imprescindibile fondazione razionale dello "Stato moderno". Secondo alcuni, o-pera seminale del liberalismo. Il libro di Roberto Farneti è interamente dedicato alla problematizzazione di tale presupposto. Il tema è di indubbia rilevanza. Ma nelle scelte linguistiche e nell'argomentare, l'autore non rinuncia a certe "mode" filosofiche. Per la verità, oggi anche un po' datate. L'idea di fondo, comunque, è che il Leviathan sia diventato "l'incunabolo del canone moderno, il suo libro di testo, il capitolo iniziale della Denkbibel del pensiero politico moderno". In questa operazione, però, avverte Farneti, qualcosa sfugge. Un quid, nella versione recepta, nella ortho-dox view, non si lascia afferrare. Lo studioso ricorre, pertanto, alla "genealogia" intesa come "revisione dei saperi divenuti progressivamente centrali nella conversazione filosofica". Come metodo per svelare opacità e interruzioni "che vengono sapientemente coperte dal sistema". Come analisi che strappi la coscienza "dall'abbraccio delle sequenze latenti in cui era felicemente gettata", in altri termini, l'idea è di non ignorare ciò che del Leviathan è irriducibile allo stato razionale. Quel residuo che è costituito, secondo Farneti, dal "mito". Hobbes scelse un simbolo teologico, il leviatano, che fosse capace di evocare immediatamente la sua provenienza ebraico-cristiana. Ma i suoi nemici teologici dell'epoca, che insistettero sulla "elementare e animale mostruosità" del leviatano, diedero espressione a un'immagine mitica ripugnante, in grado di fare passare in secondo piano il significato teorico del testo. Il Leviathan, modello filosofico della costruzione politica razionale, "antimitica", non riesce a sottrarsi, dunque, alla "più radicale mitologizzazione". Un aspetto che, osserva Farneti, colse anche Cari Schmitt, riconoscendo in Hobbes il manifestarsi dell'origine irrazionale della ragione moderna. Giovanni Borgognone nuoce a qualcuno, ma anche perché l'ordine sociale è fondato sul fatto che ogni retri-buz'one deve corrispondere, in linea di principio, a una certa prestazione. L'oggettività di una valutazione dipende cioè dalla possibilità dì "costruire una catena argomentativa composta da maglie che stiano insieme nel modo più forte possibile". (G.B.) Raymond Boudon. sentimenti di giustizia, ed. orig. 1977-1999, trad. dal francese di Daniela Piana, pp. 174, €11, il Mulino, Bologna 2003 Come si spiegano i sentimenti di giustizia? La questione diventa più che mai rilevante nel mondo dopo l'11 settembre 2001. Prima la Realpolitik rappresentava la regola d'oro delle relazioni internazionali. Ora è sempre più pressante l'esigenza di una politica mondiale in cui la dimensione della giustizia sia presa in considerazione. I saggi di Boudon raccolti nel volume riescono ad affrontare organicamente il tema. Prendono le mosse dai modelli di spiegazione del comportamento dell'homo sociologicus che l'autore definisce, forse un po' sommariamente, "irrazionali", ovvero quelli che ricercano le "forze" che dominano il soggetto e che sfuggono al suo controllo. Tali modelli soffrono di "sociocentrismo" e dipendono, secondo il sociologo francese, dalla diffusa influenza di Marx e di Freud, letti parzialmente (la teoria marxiana dell'ideologia e le metafore freudiane fisiciste). Spiegare il comportamento dell'attore sociale, invece, dovrebbe significare quasi sempre stabilirne le "buone ragioni". Pur mettendo in luce i limiti dell'apriorismo di John Rawls, Boudon, efficacemente, propone una spiegazione dei sentimenti di giustizia alternativa al culturalismo e al relativismo. Dà rilievo alla weberiana "razionalità assiologia", intendendola come un tipo particolare di razionalità cognitiva e non riducendola a una prospettiva strumentalista-consequenziali-sta. I sentimenti di giustizia hanno delle ragioni e non possono essere ricondotti solo a considerazioni circa le conseguenze. Un furto è negativo non meramente perché Shmuel N. Eisenstadt, paradossi della democrazia. Verso democrazie illiberali?, ed. orig. 1999, trad. dall'inglese di Luca Verzi-chelli, pp. 140, €11,50, ilMulino, Bologna 2003 A Eisenstadt si deve una teoria della "regolazione politico-istituzionale" secondo cui l'ordine sociale è un "processo" e gli "equilibri" sono sempre transitori. Gli stessi valori fondativi, questa è la caratteristica dell'oggi, secondo Eisenstadt, sono in continuo movimento. Già nel suo celebre lavoro del '90, Civiltà comparate (Li-guori), lo studioso impostò in tale prospettiva la spiegazione del processo di modernizzazione. Il potere politico moderno, da lui spiegato innestando sulla sociologia weberiana e sulla teoria delle élites elementi della sociologia delle religioni e della conoscenza, si presenta essenzialmente come "processuale". Nel volume del '99, ora tradotto dal Mulino, le stesse tesi vengono rielaborate e riproposte. Il nodo centrale del discorso è rappresentato da alcune diadi certamente un po' schematiche. Quella tra concezioni "totalizzanti" e "pluralistiche" del programma culturale della modernità. Tra "controllo" e "autonomia". "Disciplina" e "libertà". Analogamente, nel programma politico, viene isolata la generica tensione fra tendenze "giacobine" e "pluralistiche". Le prime prodotte dalla fede nella possibilità di trasformare la società attraverso un'azione politica totalizzante. Le seconde, invece, pur aperte all'approccio costruttivista, dirette all'accettazione della società "nella sua forma concreta e mutevole". La conclusione del ragionamento di Eisenstadt, non proprio sorprendente, ma di indubbia rilevanza, concerne gli effetti dell'incorporazione delle domande e dei temi della protesta. Un paradosso delle moderne democrazie è che "l'apertura, la varietà e la mutabilità degli obiettivi, che alimentano le cause di instabilità potenziale, possono, sotto determinate condizioni, generare nuotfe opportunità di trasformazione e garantire la continuità dei regimi stessi". (G.B.) Le costituzioni anglosassoni e l'europa. Riflessi e dibattito tra '800 e '900, a cura di Eugenio Capozzi, pp. 238, € 18, Rubbettino, Soveria Mannelli (Cz) 2003 Il volume raccoglie nove contributi a una giornata di studi svoltasi nel 2001 presso l'Istituto universitario suor Orsola Benincasa. L'obiettivo è di illustrare alcune fasi significative del dibattito europeo sulle costituzioni anglosassoni. Risulta evidente una contrapposizione tra un orientamento ideologico anglofilo e uno anglofobo. Il dualismo emerge, in modo particolare, nella Francia dell'età della Restaurazione. A tal proposito, Maurizio Griffo mette in luce, da un lato, la pluralità delle posizioni favorevoli al modello inglese (Constant, Guizot, Tocqueville), dall'altro lato l'univocità dell'opposizione a esso proveniente dai rappresentanti dell'ideologia repubblicana e democratico-ra-dicale. Gaetano Quagiiariello si occupa poi del periodo del Secondo impero, quando, nel corso degli anni sessanta, rinacque un "partito inglese", influente al tempo della crisi istituzionale del 1870. Dopo il 1945, per ovvie ragioni di importanza geopolitica, le discussioni europee sui modelli costituzionali spostarono frequentemente l'obiettivo dell'analisi comparativa sul modello americano. Il volume, a tal proposito, si sofferma sulle idee dì Cari J. Friedrich circa il processo di integrazione europea. Nelle riflessioni dello studioso tedesco, secondo l'interpretazione proposta da Mario Comba, confluiscono istanze federaliste americane e altre, invece, più "europee", incentrate sull'importanza dell'autorità statuale e, dunque, di un processo costituente vero e proprio che ha come prospettiva il superamento degli stati-nazione. (G.B.) Luciano Angelino. Le forme dell'europa. Spinelli o della federazione, prefaz. di Tommaso Padoa-Schioppa, pp. 280, € 28, Il Melangolo, Genova 2003 Fare la storia del processo dell'integrazione europea significa ricostruire la circolarità esistente fra il funzionalismo di Mon-net, il federalismo spinelliano e il metodo intergovernativo di ascendenza gollista. Dall'ibridazione di queste tre "forme" nonostante la loro perdurante opposizione, sono nate, nella realtà, le istituzioni dell'attuale Unione europea. Su questo quadro d'insieme si sofferma ora Angelino, assumendo a punto privilegiato di osservazione la figura di Altiero Spinelli, di cui, pur senza scriverne una biografia, ricostruisce l'esperienza politica e intellettuale a partire dagli anni della militanza comunista e della redazione del Manifesto di Ventotene. Seguendo la vicenda biografica di quello che è senza dubbio il più conosciuto rappresentante del federalismo europeo, Angelino - una vita professionale trascorsa alla commissione europea - può illuminare gli snodi principali del processo di integrazione, cui, a diverso titolo, come "politico rivoluzionario", o come "consigliere del principe", Spinelli prese parte. In questo modo è possibile dimostrare come dalla nascita della Ceca al tentativo operato in prima persona da Spinelli di elevare il parlamento europeo a vera e propria assemblea costituente nel 1984, dal fallimento della Comunità europea di difesa all'istituzione della Comunità economica europea, dalle frustrazioni eu-ropeiste della Francia gollista agli allargamenti successivi conosciuti dalla Comunità negli anni settanta e ottanta, i progressi sulla strada dell'unificazione degli spazi europei siano in larga parte da imputare proprio all'esistenza di una interazione dialettica fra le diverse "forme dell'Europa". Una circolarità virtuosa che senza il contributo spinelliano avrebbe certo mancato di produrre tutti i suoi positivi effetti. Cesare Panizza curato da Lucarelli, in cui sono raccolti gli interventi di studiosi di nazionalità diverse, così come nel libro di Cantaro. Mentre per gli autori della Polis europea la natura sui generis delle istituzioni europee può essere letta come un originale e fortunato adattamento al processo di globalizzazione, a cui guardare per comprendere le trasformazioni della politica contemporanea, Cantaro scorge tuttavia in essa il segno dell'intrinseca debolezza politica della costruzione europea. Una debolezza che nasce dall'illusione, comune tanto ai sostenitori del metodo intergovernativo quanto a quello del metodo comunitario, di poter edificare l'Europa pur in assenza di un popolo e di uno stato europei, cioè di un fondamento sociale, culturale e istituzionale di legittimazione. Nella pretesa di sostituire il diritto alla politica, di legittimare le istituzioni europee solo in base ai valori che esse dovrebbero incarnare, e ai diritti che esse dovrebbero garantire, il minimalismo politico avrebbe si sarebbe intrecciato con il massimalismo giuridico, sostanziando quell'Ideologìa europea" che per Cantaro rischia di trasformare l'Europa in uno spazio giuridico ed economico privo di una reale soggettività politica. (C.P.) o • fO La Polis europea. L'unione oltre l'euro, a cura di Sonia Lucarelli, pp. 379, € 20, Aste-rios, Trieste 2003 Antonio Cantaro, Europa sovrana. La costituzione dell'Unione tra guerra e diritti, prefaz. di Pietro Barcellona, pp. 168, € 14, Dedalo, Bari 2003 Come per il passato, fattori endogeni (euro e allargamento a est) ed esogeni (gli squilibri di un sistema delle relazioni internazionali unipolare) hanno impresso un'ulteriore accelerazione al processo d'integrazione, imponendo all'Europa di completare la sua peculiare architettura i-stituzionale e precisando l'identità politica e culturale dell'Unione europea. Per questa ragione la natura delle attuali istituzioni europee, e soprattutto la loro possibile evoluzione futura, sono oggi più che mai oggetto di dibattito. È questo ii tema affrontato nel libro Massimiliano Melilli, europa in fondo a destra. Veccfii e nuovi fascismi, pp. 141, € 13, DeriveApprodi, Roma 2003 Gli avvenimenti francesi del 2002, con i cospicui consensi raccolti da Le Pen alle presidenziali e l'attentato a Chirac compiuto da un estremista di destra, hanno portato alla ribalta una questione politica di grande rilievo e relativa alle ricadute dell'immigrazione sugli equilibri politici dei paesi europei. Con la conseguente ascesa dell'estrema destra in seno ai rispettivi sistemi democratici. Alcuni "manager dell'intolleranza", scrive Massimiliano Melilli, giovane giornalista dell"'Unità" e di altre testate, gestiscono con pericolosa spregiudicatezza il senso di precarietà caratteristico dell'oggi e cavalcano la crisi della politica. Il British National Party, l'editore tedesco Gerhard Frey con la sua Dvu, i vari Haider e Le Pen, e i capì del belga Vlaams Blok, così come gli skinheads russi, incarnano tutti per Melilli, chi più chi meno, "la coscienza ipocrita e tormentata di quest'Europa che svolta sempre più a destra". Senza dubbio parlare di neofascismo è una forzatura/soprattutto quando si vede poi che i modelli dei seguaci di Pim Fortuyn e di Le Pen sono rispettivamente Reagan e la Thatcher, e quando si rileva un certo attaccamento all'idea di libertà. Quanto agli Stati Uniti, cui è opportunamente dedicata la parte finale del volume, l'autore rileva che dal novembre del 2000 è là in atto una svolta autoritaria di ormai palmare evidenza, a dispetto deil'ancor diffuso ossequio formale per le istituzioni repubblicane. Il volume risulta così di grande attualità, sebbene presenti qualche incongrua approssimazione, come quando si accomunano all'interno della stessa galassia i più pericolosi estremisti, Aznar e il Forum democratico ungherese. Daniele Rocca £ o EQUITARE per piacere, per studio e per bellezza ■ , teL e fax 0577 758150 infoiBequitare.com www.equitare.it LAURA HILLENBRAND Seubiscuit. Un mito senza tempo ISBN 88-88266-24-0 pp. xxiv, 520; B 25.00 II libro che ha ispirato il film di Gary Ross candidato a sette premi Oscar. Un libro «straordinario... memorabile... avvincente» (Tlie Washington Post), «una storia incredibile» (The Economisti, che «fa vivere il dramma, la bellezza, il fascino e la brutalità delle corse dei cavalli» {Usa Today) e che «tutti dovrebbero leggere» (Corriere della Sera), «così ben documentato da da metter voglia di dire che fa per l'ippica statunitense quello che Melville fece per la caccia alle balene» {La Stampa). «Storia e sport oltre il mondo dell'ippica. Un libro bello, coinvolgente anche per chi è estraneo alle corse dei cavalli» (TG 3 - Libri).