N.3 |dei libri del mese 40 • K> o • IO k so so • IO k O CQ o cq Fuori norma. Scrittrici italiane del Novecento. Vittoria Aganoor, Paola Dri-go, Rosa RosA, Lina Pietra valle, a cura di Barbara Marola, Maria Teresa Munini, Rosa Regio e Barbara Ricci, pp. 260, € 13, Luciana Tufani, Ferrara 2003 Dalla fine degli anni settanta è in corso un sistematico repechage, per lo più a opera di studiose che si riconoscono nei women's studies, di figure e libri dimenticati o sottovalutati; e certa editoria, come la stessa Tufani si è attivata per Marchesa Colombi, ha ripubblicato testi di donne da tempo introvabili sul mercato. Opportuno che i risultati di lavori di riscoperta, rivalutazione e riconsiderazione critica nuova di autrici del passato remoto o più recente siano destinati alla divulgazione. Come questa antologia, che si colloca nella tradizione consolidata da più di un ventennio delle antologie al femminile, e che prende in considerazione quattro personalità letterarie di non grande rinomanza nate tra il 1855 (Aganoor) e il 1887 (Pietravalle). Nel 2000, le stesse curatrici (delle quali ci sarebbe piaciuto leggere al fondo del volume qualche notizia), auspice già allora il Comitato pari opportunità della Provincia di Bolzano, avevano portato a termine un'operazione analoga allestendo un volume su altrettante e più note scrittrici del primo Novecento (Amalia Guglielminetti, Maria Messina, Neera, Ada Negri). Fra quelle proposte ora (e scelte, credo, per relativa concomitanza cronologica, certo non per contiguità geografica, essendo nate le prime due in Veneto, l'ultima in provincia di Brindisi e Rosa Rosà, pseudonimo di Edith von Haynau, a Vienna), alcune non passarono inosservate alla critica coeva, e anche successivamente non furono del tutto dimenticate e attrassero l'attenzione di critici di prima grandezza. Di Aganoor si occupò Benedetto Croce; di Lina Pie-travalle scrissero Emilio Cecchi e Francesco Flora; in tempi più recenti Maria Corti recensì la nuova edizione del romanzo Maria Zef di Paola Drigo, le cui novelle avevano suscitato nel 1913 l'interesse di Bontempelli. Ad arricchire opportunamente la scarna bibliografia della futurista naturalizzata romana Rosa Rosà vanno viceversa segnalazioni di testi degli anni novanta sul sesso estremo e sul cyborg. Utile l'apparato di introduzione alla lettura dei testi; essenziali, anche per oggettiva carenza di notizie, le biografie. Luisa Ricaldone Le eccentriche. Scrittrici del Novecento, a cura di Anna Botta. Monica Farnetti c Giorgio Rimondi, pp. 239, € 20, Tre Lune, Mantova 2003 Mentre la filosofia e la politica possono annoverare studi sull'eccentrico, la letteratura, soprattutto in Italia, ne era sguarnita. Fino alla pubblicazione di questo volume, che raccoglie i ventisei interventi del convegno "Scrittrici eccentriche del Novecento", tenutosi a Firenze nel maggio 2000; un anno prima era uscito Soggetti eccentrici (Feltrinelli) di Teresa De Laure-tis, libro che sta sullo sfondo e dialoga con i saggi relativi alle scrittrici novecentesche. Alla base campeggia l'idea che il progressivo definirsi del "soggetto femminile come Altro" ha liberato energie in grado di fare del "dislocamento e dell'eccentricità le chiavi di volta di un'inedita condizione filosofica ed esistenziale". Alle filosofe e alle letterate eccentriche appartiene l'erranza, tra i saperi e nei generi letterari. Esse hanno sviluppato la figura della nomade (che mette instancabilmente in discussione la propria stabilità e apparte- nenza e che si appropria di saperi vari e insoliti), della meteca ("viaggiatrice in lettura", che cerca di incrociare chi scrìve nello spazio di chi legge), figure che sfuggono alle "certezze ingessate", che sono critiche e autocritiche, che stanno dentro e fuori (il margine, il potere, il canone), che non si fanno "trovare dove la norma prevede che si trovino". Essere fuori dal centro è un altro modo di esserci, non necessariamente impoverito: si è mai pensato al deterioramento dei testi che viceversa si trovano nel canone? Le testimonianze di quattro scrittrici, i tre saggi teorici, l'introduzione e le conclusioni unitamente ai restanti lavori monografici affrontano momenti del Novecento letterario non solo europeo usando la norma di ricercare chi si è sottratta, in modi diversi ma sempre ponendosi da punti di vista decentrati, all'ordine normativo. Facciamo qualche nome senza cadere nell'elenco: le collaboratrici-amiche-amanti di Brecht, Woolf, Else Lasker-Schuler, Yourcenar, Cvetaeva; fra le italiane Amelia Rosselli, Paola Masino, la futurista Benedetta, e ancora Alba de Céspedes, Anna Banti, Margherita Guidacci; e fra le attuali autrici di bestseller, Antonia Byatt. Sono nomi, questi accanto ad altri, intorno ai quali si elaborano percorsi che consentono riflessioni sul rapporto tra scrittura femminile, tradizione dei testi ed eredità culturale. (L.R.) tempo - di assumere e condividere le norme di rispetto delle differenze, la pratica dialogica e il pensiero critico. Ottima scuola per le nuove generazioni. (L.R.) Clotilde Barbarulli e Liana Borghi, visioni in/sostenibili. Genere e intercultura, pp. 262, € 14, Cooperativa Universitaria Cagliaritana, Cagliari 2003 Insostenibili sono le testimonianze di conflitto, guerra, violenza; sostenibili le forme di rispetto, solidarietà, forza, creatività. La tensione fra i due estremi ha caratterizzato le discussioni tra le partecipanti, studiose e studenti, al secondo Laboratorio di mediazione interculturale della Società italiana delle letterate (Prato, Villa Fioreili), di cui il volume raccoglie la parte più cospicua dei lavori dell'estate 2002. Si attende la pubblicazione del successivo, dedicato alla complessità. Tutta la cultura è intercultura, e l'interazione tra culture diverse è anche pratica di superamento degli etnocentrismi, "esercizi di trasversalità e glocalizzazione": questo sostengono le autrici (native, migranti, attiviste, intellettuali, letterate, storiche) che con i loro saggi propongono esempi e forme di intercultura al femminile. I percorsi si radunano intorno a cinque nuclei: teorico-metodologico il primo; conflitti; storia e storie; erranza delle parole; raccontare l'emigrazione. Continuamente affiora il discorso sulla guerra e sul conflitto, con modalità e da punti di vista diversi. Come rappresentano le donne lo sradicamento, l'assimilazione, la costruzione di identità, le loro storie d'infanzia; come (e quando) è avvenuto il passaggio dall'essere raccontate al raccontar(si); come si costituisce il proprio sé nelle (auto)biografie; quale il ruolo delle ascoltatrici e delle lettrici nello scrivere di sé. Tra letteratura e narrazione orale, tra lingua delle origini e lingua appresa, tra scrittura, riscrittura e traduzione, tra sradicamento e assimilazione, la parola chiave pare essere proprio tra, la semplice preposizione che costruisce ponti e istituisce relazioni perché - come scrive in apertura Liana Borghi, responsabile del laboratorio - "sulla differenza possiamo costruire affinità". Tra le finalità del laboratorio, che ha cadenza annuale e il titolo generale di "Raccontarsi)", vi è l'intento pedagogico - leggo nel pieghevole illustrativo distribuito a suo La perturbante. "Das Unheimliche" nella scrittura delle donne, a cura di Eleonora Chiti, Monica Farnetti e Uta Treder, pp. 376, € 16,50, Morlacchi, Perugina 2003 Messi a punto dal gruppo fiorentino della Società italiana delle letterate che abitualmente si riunisce allo storico caffè Giubbe rosse, i quindici saggi che compongono il volume perlustrano un terreno finora inesplorato, e nel loro insieme forniscono un efficace modello di interrogazione del reale da parte del soggetto femminile. Nel gioco linguistico interno al termine freudiano tra heimlich (familiare, ma anche segreto) e Heim (casa), si può descrivere il perturbante come qualcosa di familiare che si nasconde in casa e che, venendo alla luce, causa turbamenti. Molto spesso l'inquietante zona oscura, che coincide psicoanaliticamente con l'angoscia di morte, risiede per gli uomini nei "continente nero" della sessualità femminile. Ma quando è una donna a incontrare il perturbante, poiché non può essere vittima del complesso di castrazione, che cosa accade? Come reagisce letterariamente la custode canonica dello spazio domestico quando la tranquillità della sua casa viene turbata dall'irruzione dello strano, dell'insolito, dell'irrazionale, quando nella nursery si apre un varco - come recita il felice titolo di un saggio - il fantasma? Se è una donna a scrivere, deve necessariamente configurare il perturbante in altro modo. Attraverso la lettura di testi tratti dalla letteratura francese, inglese, spagnola, tedesca, russa e italiana tra secondo Settecento e Novecento, la ricca raccolta propone alcune possibili deviazioni dalla definizione classica del perturbante: la rappresentazione di una relazione empatica in luogo del conflitto tra donne e animali, demoni, spiritelli (Anna Maria Ortese); la risposta angosciante ma utile di eroine che escono dal turbine dell'angoscia potenziate nella loro consapevolezza (Annette von Drostè-Hòlshoff); lievi e ironiche interpretazioni del reale (Mary Shelley, Anne Radcliffe); spazi domestici come luoghi dell'utopia e della libertà, dove ii perturbante assume il ruolo di occasione insperata per sperimentare forme nuove di rappresentazione del proprio desiderio (Marina Cvetaeva, Emily Dickinson, Paola Masino). Il percorso legittima la declinazione al femminile del termine neutro Unheimliches, secondo il pertinente neologismo scelto per il titolo. (L.R.) Rossella Vezzoli, Negli occhi dell'altro, pp. 103, e 12, Seb 27, Torino 2003 Per il suo primo romanzo Rossella Vezzoli ha costruito una struttura complicata, con molta letterarietà e un certo intellettualismo. A fondamento della laboriosa fabbrica e'è l'aggancio a una realtà plausibile nella professione di Francesca, psicoanalista. Fra psicoanalisi e narrazione, si sa, lo scambio è previsto e programmato. Ma qual è il tramite per cui i pazienti producono racconti, dov'è che si vedono riflessi (e riletti), se non negli occhi dell'analista, gli occhi dell'altro? E quest'altro non avrà a sua volta (dietro lo specchio degli occhi) i suoi fantasmi personali? E allargando l'idea del riflesso e del doppio, per scrivere non è forse necessario "vedere la vita con gli occhi di un altro"? Dappertutto, negli occhi che incrociamo, possiamo leggere storie narrabili. Così, a caso, nella sala d'attesa di Francesca si trovano un giorno Pietro e Micol. Pietro di mestiere è pilota di un Cessna: ma lui si vede nel West, si fa chiamare Billy e ha in mente una musica che non può essere realmente suonata né ascoltata. Micol invece è pronta a identificarsi con Virginia Woolf e a raccontarne l'Orlando, ma lo racconta a modo suo. Billy resta nel romanzo un personaggio secondario, anche se gli spetta la parte movimentata dell'avventura con pistola e della fuga in aereo con Francesca e Micol dal Messico al Tibet in cerca di esotismi. Invece è dominante Micol, che, staccandosi dalla camminata londinese di Woolf, conduce il lettore assieme a Orlando nei vagabondaggi senza strade dell'avventura cavalleresca. La materia principale, la sostanza immaginosa di questo libro digressivo è in un medioevo fantastico, dove s'aggirano figure che presuppongono la tradizione storica e letteraria ora però assorbita nell'elegante scrittura del gusto postmoderno. Da fra Dolcino a Jeanne d'Are, da Arnaut Daniel, l'arduo provenzale, al Gran Khan. L'intreccio di tante peripezie è punteggiato con tocchi sentenziosi e qua e là femminili consigli di morale spicciola, un po' televisiva. Vedi Francesca, p. 82: "solo vivendo insieme ci si può comprendere". Rossella Vezzoli, nata nel 1969, cresciuta negli Stati Uniti, residente in Torino, ha studi storici e una laurea in letteratura nordamericana. Lidia De Federicis Tina Anselmi, Zia, cos'È la resistenza?, pp. 77, € 10, Man ni, Lecce 2003 In una collana per i più giovani diretta da Giuseppe Fiori esce questo libriccino, che intreccia paragrafi e documenti d'informazione storica con il racconto di una memoria femminile. L'informazione riguarda, assieme ai fatti novecenteschi, il loro alone concettuale, che si estende fino a noi ma con lo slittamento dei significati (perdurando inalterati i significanti). Sono molte le parole babeliche, da democrazia a resistenza, che ritrovano un contesto in quegli anni, 1943-45. Ottima la definizione di stato etico, ricondotta a una fonte certa, l'articolo primo della dottrina del fascismo che si studiava a scuola (e che tutti forse dovremmo ripassarci per capire di che cosa oggi stiamo parlando). La struttura narrativa, che incornicia l'insieme, s'affida alla forma dell'intervista immaginaria fra Tina e una nipote adolescente. Il tenue pretesto inventivo ha il vantaggio di far scorrere mescolati enormi eventi e vita quotidiana in una specie di semplice antropologia del paese ancora contadino: "Un giorno (...) con bonarietà mi aveva detto di andare in sala professori a frugare nelle tasche della sua giacca: dove trovai del pane e un pezzo di polenta" (così il professore di latino all'allieva che è rimasta digiuna). Tina Anselmi, nata nel 1927 a Castelfranco Veneto da famiglia antifascista, era allieva dell'Istituto magistrale di Bassano del Grappa. Aveva compiuto appena sedici anni quando, dopo averne discusso nelle riunioni dell'Azione cattolica, diventò staffetta partigiana, in una brigata autonoma, senza smettere però la scuola. Girava in bici con gomme rabberciate e portava avvisi o armi. "C'era un pizzico d'incoscienza, ma c'era soprattutto la convinta fiducia in quello che facevamo". Il suo racconto ha una morale esplicita che non esclude la complessità, bensì l'ambiguità. Meglio per chi è giovane la durezza di una sfida, "in un momento in cui era necessario schierarti". E quindi, "siamo stati per certi aspetti fortunati, perché la realtà ci aveva costretti a decidere". Il testo è accompagnato da un notevole repertorio fotografico non esornativo. Due gruppi di partigiane di Montefiori-no mostrano ragazze in calzoni e altre in sottana con i calzetti corti. Facce d'epoca, corpi e capelli del neorealismo. (L.D.F.)