Narratori italiani Intreccio di scritture di Alberto Bertoni Laura Barile IL RESTO MANCA Storie mediterranee pp. 216, € 13 Aragno, Torino 2003 Il resto manca è in primo luogo un'opera sperimentale, per quanto riguarda l'impianto formale; suddivisa in nove parti, essa infatti accoglie e felicemente intreccia scrittura narrativa in senso stretto (fra racconto di viaggio e autobiografia: l'io narrante si dichiara come "Aura", con tutti i possibili echi che il nome fa risuonare); scrittura poetica (Gli anni irripetibili e la versione da Emily Dickinson Mio cuore, in clausola: ma le poetesse suicide Antonia Pozzi e Amelia Rosselli vi sono direttamente rappresentate, mentre il titolo viene da una poesia - richiamata per intero -di un autore ancora troppo dimenticato come Bartolo Cattafi); e scrittura critico-saggistica, nel capitolo dedicato allo Sguardo di Orfeo: una lettura, che - composto per ultimo - diviene coscienza autoriflessiva dell'intero libro. Tale pluralità strutturale coinvolge anche l'ordine linguistico, per gli inserti vistosi di altri idiomi sul fondo italiano ma anche per la varietà intonativa che è propria ad esempio dei dialoghi, e quello dell'ambientazione spa-zio-temporale, perché qui si attraversa il cuore pulsante e negativo del Novecento ma, soprattutto, ci si muove entro l'intero territorio europeo e mediterraneo, a partire dalla decisiva propaggine di Alessandria d'Egitto. Alessandria, anzi, è proprio la prima meta del viaggio testuale, in quanto riunifica la dimensione memoriale (tra la biblioteca antica e quella appena inaugurata, sullo sfondo inabissato del porto sepolto), quella letteraria (ove Kavafis è comunque presente più di Ungaretti) e quella del leitmotiv tematico introdotto dal bellissimo capitolo introduttivo, non a caso eponimo: quella diaspora ebraica che coinvolge l'albero genealogico dell'io narrante, fino a diramazioni a lei vicinissime, e che si consuma sullo sfondo del trauma primario del Novecento occidentale, la Shoah. Se a questa semplice descrizione esteriore si aggiunge l'annotazione che Laura Barile autrice/ personaggio non rinuncia affatto a mettere in campo la sua esperienza di lettrice non tanto onnivora quanto davvero capace di stupore "dialogico" (che poi coincide con il suo mestiere di critico e di insegnante di straordinaria sensibilità e competenza tecnica nell'auscultare e nel postillare le risonanze più segrete della parola poetica), si potrebbe quasi temere che II resto manca sia la solita evasione del critico annoiato dagli obbligati gerghi professionali, tutti di secondo grado, tutti per iniziati e tutù astrattivi. Invece, al contrario, a Laura Barile è riuscito (dopo il già positivo Oportet, del '97) il piccolo miracolo laico di comporre un libro struggente, comunicativo e leggero al livello più alto, quasi sempre arreso e immediato pur non facendo nulla per dissimulare o contraffare la voce e la memoria specializzata ed emotiva dell'adepta di Montale e di Sereni. Degli Xenia, ad esempio, viene completamente destrutturata e risignificata l'elegia luttuosa e fondata su piccoli oggetti inutili o su libri preziosi invasi dalla melma, come conferma la pagina felice dove si compie l'intero inventario della borsetta di Aura. Mentre Sereni viene addirittura fatto apparire nelle vesti di un angelo/fantasma, benché il suo timbro profondo risuoni piuttosto nell'impagabile capacità di parificare a ogni livello rappresentativo parole, storie, percezioni dei vivi e dei morti. Il resto manca, insomma, è un grande libro di Erps e Thanatos, quando la storia (con la lettera minuscola o maiuscola) si è compiuta, il viaggio del pellegrino tende a coincidere con quello del turista e alla letteratura (ma anche alla musica, che nel libro riveste un ruolo non poco importante) tocca di ricreare in impalpabile ma forte tessitura e soprattutto in voce di nuovo intelligibile o (per dirla con Delfini) di nuovo umana le ceneri del vissuto. ■ albertobertl@libero.it A. Bertoni insegna letteratura italiana contemporanea all'Università di Bologna Uno sguardo neutrale con gusto di paradosso Cento metri e cinque minuti di Giovanni Choukhadarian Luigi Grazioli LAMPI ORIZZONTALI pp. 183, €10,30, Greco e Greco, Milano, 2003 La scrittura di Luigi Grazioli, giunto con questi Lampi orizzontali (finito di stampare nel gennaio 2004) al suo primo romanzo, rivela una precisione e una profondità dello sguardo inesorabili. Le innumerevoli storie raccontate nel libro riguardano persone comuni, quando non propriamente banali. Non c'è d'altronde nessun fatto, nessun evento che non rientri nella quotidianità più ordinaria: la ragazza che, su una panchina, aspetta il fidanzato; un tale con la caviglia indolenzita; un altro signore che la moglie finirà per considerare alla stregua di un soprammobile. Tutti sono fissati "nello spazio di cento metri e cinque minuti", fra una piazza e un parco, mentre per caso s'incrociano. Questo è l'universo che Grazioli guarda, conosce e racconta. Ogni vita è indagata non soltanto nella sua misera condizione presente ma anche in quella futura. Spesse volte, la voce narrante condensa in mezza pagina intere esistenze e le mette, anche tipograficamente, fra parentesi. Non c'è, in questo atteggiamento, nessuna pretesa di giudizio. Grazioli non finge di partecipare alle miserie umane. Più ancora, il narratore sfugge al comodo trucchetto del patetismo lirico, della comprensione rivolta indistintamente a tutto e tutti. C'è però, sia negli intrecci che a volte si sovrappongono, si sfiorano, ma non s'incontrano veramente mai, sia soprattutto nella parola di Grazioli, un fortissimo senso di moralità. La prima e più forte sensazione di lettura è proprio quella di un testo necessario, non contingente né occasionale: nella misura in cui, almeno, non è contingente né occasionale l'esistenza Le stesse vite di Grazioli, all'apparenza così poco significanti, sono cariche di una tensione spesso quasi insostenibile e di sicuro dolorosa. Dev'essere forse quella che deriva dalla consapevolezza che, su questa Sotterfugi per una felicità tardiva di Leandro Piantini Valerio Aiolli FUORI TEMPO pp. 247, € 15, Rizzoli, Milano 2004 TI fiorentino Valerio Aiolli, con Fuori tem-JLpo, è arrivato al suo quarto romanzo. I libri precedenti erano Io e mio fratello (e/o, 1999), Luce profuga (e/o, 2001) e A rotta di collo (e/o, 2002; cfr. "L'Indice", 2002, n. 11. I personaggi di Fuori tempo brillano di simpatia umana, sono persone comuni e vivono a Firenze. Al centro della storia troviamo due anziani, Carlo Del Pozzo ed Emma Fabiani, che si incontrano e si amano. Lui, docente di storia dell'arte, di modesto prestigio accademico, è un vedovo, chiuso nel dolore e negli studi. Lei, che insegna lettere nelle scuole, è vivace ed esuberante, ha due figlie grandi e vari nipoti, ed è stata abbandonata dal marito avvocato che le ha preferito la giovane segretaria. I nostri eroi si incontrano, simpatizzano e vorrebbero convivere, ma l'opposizione che trovano in famiglia li costringe malinconicamente a ricredersi. Il marito di Emma, abbandonato dalla convivente, ritorna al talamo coniugale, con la connivenza delle figlie. E anche la sorella e il figlio di Carlo lo fanno sentire in colpa per il suo amore "fuori tempo". Ma il lieto fine si riaffaccia in extremis all'orizzonte del romanzo. I due anziani e acciaccati fidanzati, che si vogliono bene davvero, non si danno per vinti, e trovano un astuto sotterfugio per vivere in pace il loro amore. Se non compreranno più il bel letto matrimoniale che avevano adocchiato, si accontentano di una roulotte per poter fare, finalmente, l'amore in barba ai loro familiari, coronando la loro sacrosanta aspirazione a essere, anche se tardoni, amanti felici. Non ci sono drammi, ma molta tenerezza e ironia, nel ben congegnato romanzo di Aiolli. Sul filo di un umorismo elegante e sornione, ci passa davanti agli occhi l'esistenza di gente comune che chiede poco alla vita, un minimo di sicurezza e, se è possibile, di felicità. Sono tutte brave persone, circonfuse da un'aurea mediocritas, prive di illusioni e di grandi ideali ma molto attaccate ai legami e ai riti familiari. Sono molto uniti e con le orecchie tese, quando si tratta di controllare i minimi spostamenti di umore e di affetti che riguardano la famiglia, il clan, la tribù. Da qualche anno le nostre televisioni sfornano a getto continuo fiction familiari e familistiche. A me l'accorta scrittura di FUORI TEMPO sembra proprio una sceneggiatura già pronta per un film di successo. Insomma non siamo lontani dal mondo di Leonardo Pierac-cioni, senza nulla togliere alla sapienza di Aiolli, che usa con abilità aggiornate tecniche nar-ratologiche. Sono i personaggi stessi a raccontare le vicende del romanzo, in capitoletti in cui un po' riassumono in terza persona un po' sono essi stessi i locutori. Aiolli rende bene le atmosfere familiari: tic linguistici, conflittualità, meccanismi di attacco e di difesa ecc. Ma quello che avvince il lettore è l'amore "fuori tempo" dei due vecchietti. E forse questo romanzo ha tutti i requisiti per piacere a molti lettori. terra, non è data soluzione ai dubbi dell'uomo. Forse però non è neppure questa la spiegazione, perché grande merito di Grazioli è anche quello di essere un narratore di reticenze, di non detti intrisi di senso e significato. In questa direzione, Lampi o-rizzontali è un libro del tutto fuori moda. Se la moda letteraria del momento è infatti, con tutti gli equivoci terminologici del caso, il postmoderno, questo è il libro meno postmoderno che possa darsi. Grazioli ha una fiducia cieca nella letteratura e nella possibilità di raccontare storie, non importa quanto rispettose delle cosiddette unità aristoteliche. Luigi Grazioli è un vocato alla scrittura, niente di quel che mette in pagina è lì per caso, tutto invece nasce da una consapevolezza ontologica che dev'essere, a pieno titolo, anche dolorosa. Se questo non fosse un linguaggio ignoto a Grazioli, si vorrebbe quasi dire che, nei suoi libri, c'è la speranza che la letteratura possa salvare il mondo. Ma intanto, i personaggi di Lampi orizzontali comunicano una sensazione di ineluttabilità degli eventi. Niente di quanto capita ai tanti attori in scena sembra fortuito, ma niente ha una spiegazione plausibile. Dopo di che, non c'è nel libro nessuna ricerca di un'eventuale plurivocità. Si direbbe che all'antica categoria ba-chtiniana Grazioli non creda, privilegiando invece un'inconsueta attenzione alla sintassi, che è tenuta in costante bilico fra il rigore formale più classico e libertà inaudite e spiazzanti. Luigi Grazioli non propone tesi e per questo motivo può anche riuscire irritante. E' però proprio la neutralità della visione che costringe alla lettura e ne costituisce la forza più profonda. D'altro canto, tutto il libro è pervaso da una sorta di levità stranita, che si fa a tratti anche comica. Più che di comicità, si dovrebbe però parlare di gusto del paradosso. Questa dimensione, e forse non soltanto questa, consente di avvicinare i libri di Grazioli a quelli, oggi affatto dimenticati, di Germano Lombardi. Lombardi, che aderì giovanissimo al Gruppo 63 ma, unico fra tanti, non ne trasse alcun vantaggio in termini di collocazione sociale e riscontro economico, aveva di Grazioli la descrizione esatta: ma era poi legato in maniera molto evidente ■aA'école du regard, dalle cui prassi Grazioli è molto lontano. Sia in Lombardi al suo tempo, sia oggi in Grazioli c'è la capacità, ormai rarissima, di ferire con la scrittura. Lombardi sfuggiva il dolore con lo spirito di pi-caro che ha animato tutta la sua vita, oltre che la sua opera. Luigi Grazioli beve fino all'ultimo l'amaro calice e produce, con Lampi orizzontali, un libro destinato a restare. ■ ohannesc@libero.it G. Choukhadarian è giornalista