N. 9 Pensiero unico nell'era globale Schizofrenie musulmane di Egi Volterrani Khaled Fouad Allam L'ISLAM GLOBALE pp. 202, € 16, Rizzoli, Milano 2002 L? importante sviluppo del- l'immigrazione da paesi musulmani aveva già fatto crescere in ognuno di noi il bisogno improcrastinabile di conoscere usi e costumi, sto- ria e cultura "dell'altro", e in- vaso scaffali e vetrine delle li- brerie di testi sull'islam e di clas- sici del pensiero islamico. Dopo ITI settembre dell'anno scorso il fenomeno si è moltiplicato e il mercato si è quasi inflazionato, salvato appena dalle ansie e dai timori collettivi. Se non altro, il libro di Fouad Allam è diverso. Non risponde a nessuna delle nostre ansie e del- le nostre paure, ma dopo averlo letto con curiosità sapientemen- te indotta, lo posiamo convinti di saperne molto di più di prima e tuttavia di essere assolutamen- te lontani, sempre più lontani dalla presunzione di dare una ri- sposta alle questioni e ai proble- mi che si accavallano sul tema, e nemmeno di poterne prevedere l'evoluzione. E nozione ormai comune che da più di un secolo la cultura islamica è dilaniata dal confron- to fra tradizione e modernità, ed è sempre più evidente la fatale e patologica attrazione esercitata dalla cultura occidentale sul mondo islamico. Per chi, come me, in quel mondo ha un po' bazzicato, gli aspetti di globaliz- zazione, per lo meno come omo- logazione di consumi, sono da tempo manifesti, vistosi, non tanto nei paesi di accoglienza dell'emigrazione, quanto piutto- sto nei ricchi paesi musulmani dove si concentrano il potere economico e il conformismo tra- dizionalista, gli Emirati del Golfo, l'Iran, Singapore, il Bru- nei, eccetera. Pochi mesi dopo la fine della guerra del Golfo, mi sono ritro- vato per un periodo piuttosto lungo in Kuwait, a ricoprire un ruolo non adatto a me, quello di presidente di un consorzio na- zionale di imprese italiane inte- ressate alla "ricostruzione del Kuwait". Cos'era il Kuwait? Credo che per fare il Kuwait avessero preso una grande quan- tità di petrolio, ci avessero so- vrapposto uno spesso strato di sabbia color sabbia e poi ci aves- sero messo sopra un enorme mi- raggio assolutamente occidenta- le. Occidentale e globale. Anzi, l'impressione che ne ho avuto è che fosse il massimo di globaliz- zazione occidentale e che fosse stranamente collocato in territo- rio islamico. Dei giganteschi giovanottoni obesi, vestiti con svolaz- zanti abiti tradizionali, con sulla testa il classico asciugamano da macellaio bianco e rosso tenuto fermo con cordoncini imbottiti, neri e lucidi, attraversavano l'ampio viale che correva lungo la marina tenendosi affettuosa- mente per il mignolo. Al polso pesanti Rolex di una serie spe- ciale chiamata Gulf, scarpe traforate made in Italy e occhiali Ray-Ban, che allora non erano ancora italiani. Andavano a di- vertirsi nei club con piscina, ri- gorosamente vietati alle donne, dove su piste d'acqua, incanalate in strutture di cemento armato futuribili, avrebbero potuto gio- care, fare gare di velocità con ru- morosi e pestilenziali modellini di motoscafi off-shore. Sul lato opposto della super- strada balneare, dietro ai giardi- ni tropicali irrigati con tutta la poca acqua potabile del Vicino e Medio Oriente, i quartieri della città degli affari, gli alberghi, i palazzi per uffici, i centri com- merciali e i luoghi istituzionali del potere, del denaro e del pe- trolio grondavano acqua con- densata dai condizionatori spin- ti al massimo per assicurare l'i- bernazione degli impiegati, per lo più giordani o palestinesi, e temperature inferiori ai 18° C ai visitatori, riscaldati ogni otto mi- nuti con minuscole tazzine di caffè al cardamomo o bicchieri- ni di tè. Nell'incombenza di Natale, i bambini impellicciati o imbacuc- cati nei loro piumini venivano trascinati a vedere gli abeti visto- samente decorati, esposti nei ne- gozi insieme con i prodotti di più lucente, facile, colorato e im- mediato consumo provenienti dagli States o da altre frange americane come Taiwan, Hong Kong, Tokyo, Detroit, New Delhi, Singapore, Pordenone o Parigi. Ho scoperto poco più tardi che in ghetti periferici si ac- catastavano lavoratori pakistani, yemeniti "e quant'altro", che In primo piano "sponsor". Cioè vivono sulle tangenti lucrate su qualsiasi pas- saggio di denaro e di merci, in entrata e in uscita. Nessuna delle imprese italiane per la ricostru- zione del Kuwait partecipava al consorzio per nobili fini umani- tari, ma semplicemente per go- dere di un periodo di esclusività del mercato garantito da un ac- cordo internazionale mediato dalla Camera di commercio ita- loaraba. Nessuno degli operatori kuwaitiani (o ditte di altri paesi arabi, ma agenti come "di diritto kuwaitiano") era interessato so- prattutto ai prodotti o ai servizi commerciati, quanto piuttosto alle operazioni finanziarie su sca- la internazionale. Non parliamo dei rapporti in- terpersonali — cioè "umani" - tra me e i kuwaitiani. Inesistenti quelli reciproci. Nemmeno ma- nifestazioni convenzionali di cu- riosità. Subite in continuazione da parte mia le manifestazioni di arroganza, le ostentazioni di de- naro, eccetera. Questa realtà documentata e per molti aspetti di difficile comprensione, è ben presente al nostro autore ed è sottesa a tutte le sue riflessioni, togliendo ad es- se molti aspetti di generalità, libe- randole da stereotipi ma renden- dole acute e puntuali. Quindi, per il lettore, le riflessioni di Fouad Allam sono improvvise e interessanti aperture su manife- stazioni contingenti e precisa- mente localizzate, per esempio di movimenti integralisti, ma spesso chiaramente contraddittorie ri- spetto alle caratteristiche assunte altrove da movimenti analoga- mente indirizzati o finalizzati. Ma la globalizzazione è allora anche questo fluttuare sul piane- ta di apparenze simili tra loro, di incerte referenze e di nascoste in- compatibilità. Un bambino mu- sulmano americano è proprio americano anche perché mastica gomma e beve pepsi, ma un bam- bino irakeno destinato alle bom- be intelligenti non è più america- no perché mastica gomma e calza nelle chiese cattoliche alle sei del mattino pregavano in coro i filip- pini e in qualcun'altra negri di confessioni improbabili. Sempre in periferia so che c'erano anche quartieri residenziali per ricchi. Noi stessi avevamo affittato i lo- cali della nostra foresteria in uno di quei quartieri, a prezzi netta- mente superiori di quelli di Pic- cadilly Circus. In molte ville di quei quartieri residenziali, un ampio spazio di cortile era riser- vato alle tende beduine dei pa- renti in visita; perché tutti i kuwaitiani sono di origine nobile e beduina e fanno di mestiere lo Una bibliografia, ahimè - dice lui - non esaustiva; ma certamen- te suggestiva. E innumerevoli so- no le citazioni riportate nelle note che vanno molto al di là della bi- bliografia elencata, di oltre cento titoli, alcuni dei quali davvero in- consueti. I ragionamenti dell'au- tore, infatti, sono confortati da ri- ferimenti e confronti che spazia- no dalla storia all'esegesi dei testi, dalla sociologia politica alla narra- tiva e alla poesia. E pro- prio nella letteratura dei primi anni del secolo scorso si trovano infatti le prime tracce evidenti dell'influenza occiden- tale nella trasformazione delle società islamiche. logore imitazioni di scarpe Adi- das fabbricate in Cina. Sostanzialmente ottimista, al- meno a lungo termine, anche se non esclude che in certe situa- zioni gli integralisti potranno ar- rivare temporaneamente al pote- re, e fiducioso nella ragione che costruirà tra persone di matrici culturali differenti il nuovo lin- guaggio della convivenza pacifi- ca, Fouad Allam ci offre un testo ben argomentato e ricchissimo di dati, di informazioni e di sug- gestioni, e sostenuto da una am- pia bibliografia di volumi per lo più molto recenti. Khaled foua.i -Iterni L'ISLAM GLOBALE Lo scrittore turco Peyami Safa, nel suo racconto Una gio- vane turca fra due amori e due ci- viltà, del 1910, racconta di "una fanciulla che, in preda a sugge- stioni contraddittorie di due ci- viltà, attraversa segretamente una crisi interiore"; e lo scrittore egiziano Muhammad al-Muway- lihi, nel suo La storia di 'Isa B. Hisham, del 1906, descrive le ambiguità e il malessere delle so- cietà egiziana del tempo come ri- sultato del processo di occiden- talizzazione: "Non distinguono il vero dal falso, il buono dal cor- rotto, accettano tutto in blocco, pensando di trovare felicità e be- nessere (...) Tagliate le loro radi- ci culturali, brancolano nel buio e rimangono nella menzogna. Si accontentano di una evanescen- te vernice di civiltà occidentale, e accettano la dominazione stra- niera che considerano un fatto compiuto e un'opportunità di prospettive favorevoli (...) Li se- duce coprirsi del lustro già pre- parato dalla civiltà degli occi- dentali, senza sforzo né imbaraz- zo (...) Con ciò il campo d'azio- ne degli occidentali ha preso ai loro occhi vaste dimensioni, e nella convinzione che gli occi- dentali si trovino a un livello su- periore al loro, si chinano e si umiliano, così gli occidentali prendono 0 sopravvento e con- fermano la loro egemonia". Il rapporto del mondo musul- mano con l'Occidente è dunque da allora, e forse da prima, dalla spedizione napoleonica in Egit- to, un insieme contraddittorio di attrazione e rigetto. E "la globa- lizzazione non appare improvvi- samente con la new economy o con le più recenti tecnologie: è il risultato di una lunga concatena- zione di eventi, di ciò che po- tremmo chiamare il lavoro della storia sulla storia". Le radici della trasformazione moderna, di cui sono ricordate le prime tracce letterarie, sono poi riesaminate attraverso l'in- fluenza della filosofia moderna europea - da Heidegger a Berg- son, da Spengler a Guénon, da Evola a Foucault - sui nuovi fi- losofi orientali, e analizzate nei primi movimenti islamisti orga- nizzati tra il 1920 e il 1930 con intenzioni dichiarate di riforma e di rinnovamento, anche se ma- gari intesi al ritorno alle "fonda- menta" dell'islam. Da allora i movimenti islami- sti si caratterizzano sempre più anche come organizzazioni sociopolitiche, che in realtà mi- rano a pervenire al potere con qualsiasi mezzo, dalle elezioni al- le strategie eversive. Ma la pro- spettiva preconizzata del potere islamico si incontra e si combina corrompendosi con i nuovi feno- meni di massa: la scolarizzazione generalizzata, la promiscuità nel- le scuole, la televisione e la pub- blicità, il turismo popolare e or- ganizzato, l'esodo rurale e l'ur- banizzazione selvaggia, e l'in- gresso, seppur timido, della donna nel mondo pro- duttivo. I risultati sono diffe- renti e contraddittori in paesi di popolazione islamica ma di diverso regime. Ci sono infatti paesi più o meno de- mocratici, laici o di- chiaratamente islamici, monarchie feudali, e- mirati e dittature mili- tari che alle medesime stimola- zioni della storia, dell'economia o della cultura reagiscono in modo dissimile, con strategie contrastanti; e in netto contra- sto, in particolare, con le teorie panislamiste, di stato islamico mondiale, manifestate e diffuse contro i nazionalismi islamici in- torno alla metà del secolo scorso dal filosofo indiano Mawdudi. Quest'ultimo è tra l'altro il fon- datore della Jama'a islamiyya, che nei confronti di Ali Butto, quando assunse il potere in Pakistan, proclamò: "Finché sa- remo in vita, nessuno oserà ap- plicare in questo paese un siste- ma di governo che non sia quel- lo dell'Islam". Tranne che in Afghanistan, con il governo ormai sconfitto dei talebani, i movimenti islami- ci radicali non sono riusciti in nessun paese musulmano ad af- fermarsi al potere. Il rapporto tra i vari movimenti nazionali e l'ideologia panislamica ha "in- tensità variabili", le prospettive nazionali sono spesso tra loro inconciliabili. La complessità dell'attuale situazione "postisla- mista" impone di chiarire il ruolo della religione nell'arcipe- lago delle società nazionali mu- sulmane. "La rivendicazione della cen- tralità del sapere religioso nei confronti di tutti gli altri saperi non solo si oppone alla moder- nizzazione in corso, ma contri- buisce ad avviare il rovesciamen- to totale di ciò che può definirsi civiltà e cultura nell'Islam". L'intellettuale militante dell'i- slam contemporaneo utilizza "lo stesso linguaggio, gli stessi miti e gli stessi simboli da Giacarta a Casablanca fino a Marsiglia. Si tratta di un processo di globaliz- zazione tuttora in corso, dell'ela- borazione di un vero e proprio pensiero unico, da cui traspare il drammatico complesso di infe- riorità del mondo musulmano nei confronti dell'Occidente". L'approfondita analisi con- dotta da Fouad Allam a trecen- tosessanta gradi sull'islam dell'e- ra globale non ci prospetta solu- zioni o probabili panorami di composizione escatologica. Ci lascia le nostre perplessità e preoccupazioni, confermate da nuovi elementi di conoscenza. Ci lascia "nella schizofrenia del- l'era globale", dove l'agitazione di una grande parte dell'umanità alla ricerca di una rinnovata de- finizione di sé "rivendica qual- cosa di extrapolitico". ■