Letterature Attraverso finestrini polarizzati Un futuro ormai obsoleto di Mara Dompé Don DeLillo COSMOPOLIS ed. orig. 2003, trad. dall'inglese di Silvia Pareschi, pp. 184, € 16, Einaudi, Torino 2003 Don DeLillo LA STANZA BIANCA ed. orig. 1986, trad. dall'inglese di Alessandra Serra, pp. 60, €8, Einaudi, Torino 2003 New York, un giorno di a-prile dell'anno 2000. L'ultramiliardario Eric Parker è, a soli ventotto anni, al culmine della propria fortuna personale e finanziaria, da lui stesso edificata sulla base di ardite speculazioni. Irresistibilmente attratto da un istinto di autodistruzione, il giovane Parker intraprende una consapevole discesa agli inferi che in venti-quattr'ore lo porterà alla rovina e alla morte. E questo, in poche righe, Cosmopolis, l'ultimo romanzo di Don DeLillo, il tredicesimo, dopo opere-monumento della cultura contemporanea americana come Rumore bianco, Libra, Underworld. Un romanzo breve, se rapportato agli standard abituali dello scrittore, che ha diviso la critica internazionale, ma che ha registrato soprattutto pareri negativi, perplessità diffusa e anche qualche autorevole bocciatura. Un romanzo che non convince del tutto. Motore della peregrinazione newyorkese di Eric Parker è la ricerca della bottega di un barbiere nella degradata Hell's Kitchen, il quartiere delle sue origini. A partire dall'uscita dal suo lussuoso appartamento fino al tragico epilogo in un fatiscente edificio abbandonato, è tutto un susseguirsi di vicende e incontri improbabili. Il viaggio avviene a bordo di una limousine bianca, che filtra e attutisce attraverso i vetri dei finestrini polarizzati il caos della metropoli. Quasi una camera di decompressione, dove Eric riceve, in successive entrate in scena, una serie di personaggi che sono poco più che comparse: l'esperto di tecnologia, l'analista valutario, il medico personale, la consulente finanziaria. La limousine è una sorta di universo ordinatore, dove Eric regna di fronte a file di monitor e display sintonizzati sui canali finanziari, schermi al plasma piatti di varie fogge e dimensioni, che raccolgono lo scorrere ininterrotto di informazioni, dati, simboli numerici e diagrammi figurativi dal mondo dei mercati. Ma accanto all'ipnotico flusso di sim-• boli numerici, altri schermi proiettano la vita - le immagini delle spycam e delle telecamere di sicurezza o quelle del monitor cardiaco che ingigantisce sul video il movimento pulsante del cuore -, vita che ha perso la sua qualità reale per acquistarne una digitale, computerizzata. Mentre Eric assiste al crollo dello yen e del proprio capitale ("si sentiva misteriosamente purificato nel vedere i prezzi precipitare in una caduta lasciva"), intorno a lui si affastellano episodi: incontri sessuali con la moglie, con l'amante fissa e con quella occasionale, pranzi, dialoghi vuoti ed estenuanti, la partecipazione al fastoso funerale di un rap-per, una manifestazione no glo-bal con tanto di azione dimostrativa di un uomo che si dà fuoco, un techno-rave tra le macerie di un teatro abbandonato, le riprese di una scena di massa su un set cinematografico, l'omicidio della propria guardia del corpo, il taglio dei capelli. Accanto ai motivi ricorrenti del fascino/paura della morte e dell'invasione di caos e macerie, l'idea fissa di Eric: quella della sostanza "temporale" delle parole. Il protagonista di Cosmopolis riflette di continuo sulle parole datate, superate, antiquate che cedono questa loro caratteristica anche agli oggetti che nominano: "Sapeva che quegli apparecchi erano già cimeli. Erano strutture degenerate. Forse la pistola non ancora. Ma la parola stessa era ormai perduta in una nebbia fluttuante". Eric si dibatte tra un presente-futuro e un futuro ormai obsoleto, dove la "tecnologia (...) sembrava già lenta, opprimente", dove la parola che si ha a disposizione è "un termine antiquato, carico della propria memoria storica". Altrettanto claustrofobico, eppure molto affascinante, La stanza bianca, pièce teatrale del 1986, creata nel corso di un laboratorio del Sundance Institu-te. Pubblicata da Einaudi con qualche settimana di anticipo sul romanzo, The Day Room è un allucinante gioco di specchi, un aggiornato Dottor Caligari che si dipana tra la stanza di un ospedale e quella di un motel, ma che potrebbero essere la stessa "stanza bianca" di un reparto psichiatrico. ■ Beat borgesiano Un posto dove sentirsi al sicuro Da Provincetown, con infinito amore di Camilla Valletti Michael Cunningham DOVE LA TERRA FINISCE ed. orig. 2002, trad. dall'inglese di Ivan Cotroneo, pp. 166, € 13, Bompiani, Milano 2003 Cc 'ome si fa a descrivere i •'luoghi della propria anima? In questa sorta di guida turistica, modellata proprio secondo il più classico degli impianti - alfabeto dei luoghi, mappe, suggerimenti, elenco dei visitatori noti -, Michael Cunningham ci scorta attraverso la scoperta del suo luogo d'elezione, Provincetown. Provincetown è una modesta città di mare posta all'estremità di Cape Cod, "è un bar-biglio alla fine dell'uncino, una asserzione geologica fragile e bassa che una volta era tenuta VI ichae Cunningham Dove la terra finisce $ ss»®. di Luca Scarlini Richard Brautigan LA CASA DEI LIBRI ed. orig. 1966, trad. dall'inglese di Pier Francesco Paolini, pp. 199, € 10, Marcos y Marcos, Milano 2003 Mi arcos y Marcos, impegnata nella pub-Lblicazione delle opere di Richard Brautigan, dopo il lavoro più celebre e quasi proverbiale, Pesca alle trote in America e il curioso simil-noir Sognando Babilonia, manda in libreria la ristampa di The Ahortion, che resta l'opera maggiore dello scrittore americano, già pubblicata nel 1976 da Rizzoli con un titolo assai più puntuale, L'aborto. Una storia romantica. I luoghi del romanzo rivisitano i consueti itinerari beatnik tra San Francisco e Tijuana, ma rivedendo il tutto nell'ottica del riferimento ai miti culturali, attraverso il filtro di una cospicua dose di ironia. Nel cuore del racconto c'è infatti una curiosissima biblioteca in cui si raccolgono e si conservano solo volumi non pubblicati né pubblicabili, che gli autori vengono a tutte le ore a consegnare al protagonista, che vive in questo ambiente magico e scombinato insieme alla sua compagna Vida. L'itinerario è quindi in primo luogo cartografia dell'immaginario in uno spazio ristretto e sempre più ingombro di volumi dedicati a ogni argomento dello scibile, finché la necessità di un aborto costringe i due a un viaggio "fisico" e picaresco che riscrive la loro relazione con lo spazio e con il tempo. Il mondo parallelo dei testi immaginari (cui è dedicato il recentissimo repertorio Mirabiblia di Pao- I NL lo Albani e Paolo Della Bella (Mito da Zanichelli) è senz'altro l'elemento di maggior fascino (con momenti assolutamente esilaranti, come testimonia l'incantevole capitolo Ventitré, strutturato come una lista spassosissima) e ospita anche l'autore, che si presenta con un'opera dal titolo Alce, destinata a rimanere misteriosa, commentando: "è solo un altro libro". Il testo, peraltro, secondo l'indicazione del sottotitolo originale, è puntualmente un historical romance, ossia un "romanzo storico d'amore", nel senso che censisce modalità di creazione e racconto tipiche della controcultura statunitense del periodo (con modalità simili a quelle che l'incantevole Donald Barthelme, recentemente riproposto al pubblico italiano dopo anni di disattenzione, metteva in gioco pochi anni prima con le "figurine" della contemporaneità nel suo gioiello Atti innaturali, pratiche innominabili). Secondo un perfetto galateo beat, il viaggio non lascerà nessuno indenne e il protagonista sarà costretto a lasciare la biblioteca borgesiana, mandato via da una direttrice autoritaria che lo ritiene incapace e lo riconsegna quindi alla real life, dopo tre anni vissuti in quella dimensione parallela. Dall'isolamento nel luogo paradossale il percorso approda quindi prevedibilmente a Berkeley e alla dimensione collettiva del possibile rinnovamento politico e culturale, che avrebbe dovuto garantire all'immaginazione quel potere che all'epoca si considerava imminente. La macchina narrativa si chiude con un fermo immagine pressoché perfetto: con Vida che lavora in un topless bar e l'altro che si balocca con sogni da eroe, siglando una delle testimonianze maggiori di un periodo felice della letteratu- ra statunitense. insieme dalle radici degli alberi". Lì approda un Cunnigham agli esordi della sua carriera di scrittore, un uomo che non ha ancora compiuto trent'anni ma che ha la coscienza nettissima di trovarsi a un punto morto. Non riesce a scrivere, vive di quel poco che gli rende la borsa di studio e si lascia affondare da una grave forma di teledipendenza. Provincetown è lì per salvarlo. Con la sua falsa immobilità, con la sua fama di refugium peccatorum, la Peyton Place della trasgressione raccoglie un uomo e gli offre la sicurezza della • parola casa. Con infinito amore, lo scrittore, abbracciando consapevolmente uno dei suoi registri più sentimentali, ne descrive la vita, i costumi, i locali, e soprattutto gli abitanti. Davvero riusciti i quadri di alcune delle spiagge più frequentate, con i loro segreti sussurri, il loro richiamo erotico, la falsa quiete di una giornata di sole. Godibilissima la descrizione di come in modo diverso e secondo diversi cerimoniali gay e lesbiche vivano il mare. "È considerata una verità assoluta a Provincetown che i gay vanno in spiaggia con lo Speedo e l'asciugamano, e che invece le lesbiche portano con sé tutto ciò che riescono a portare (...) È più probabile, rispetto agli uomini, che le donne della sezione femminile siano impegnate a lanciarsi palloni e frisbee in riva al mare. E più probabile che stiano lì a nuotare con i loro cani. È più probabile che abbiano bambini (..,) La parte femminile della spiaggia è un tumulto di bambini, di tutte le razze, e ce ne sono di più di anno in anno". Generoso, amabile padrone di casa, Cunningham ricostruisce un'idea di società riconciliata. Provincetown è quasi l'utopia che si avvera, un luogo dove è possibile che sopravvivano le famiglie allargate, i gay terminali, i trans in fuga da San Francisco, lesbiche solitarie, artisti e vecchie coppie di cinofili. Questa democrazia a oltranza ci fa respirare un'aria un po' fuori moda ma, nello scrittore, è la forma della sua propria riconciliazione. Lo strappo ancora non sanato presente in Una casa alla fine del mondo (1990; Bompiani, 2001; di recente ripubblicato in edizione economica), il suo romanzo d'esordio, dove si trovano gli stessi temi della ricerca di una casa definitiva, di una famiglia scelta, di un rapporto d'amore, ha qui, a Provincetown, se non la soluzione, una concreta possibilità. Un posto dove poter morire sentendosi al sicuro: "Le strade di Provincetown non sono in alcun modo minacciose, almeno per le persone a cui piace l'intera gamma delle passioni umane".