N. 10 3 $ co O o GO Alessandra Attanasio, Gli istinti della ragione. Cognizione, motivazioni, azioni, nel "Trattato sulla natura umana" di Hume, pp. 371, €20, BMopolis, Napoli2003 Negli ultimi decenni la filosofia di David Hume ha attirato su di sé un'attenzione sempre crescente, e la bibliografia hu-miana ha ormai raggiunto dimensioni imponenti. Per mettere ordine in questa copiosa produzione sarebbe forse utile cercare di tracciare una tassonomia delle diverse interpretazioni che sono state proposte, raggruppandole per famiglie e affinità. Si distinguerebbero così - per indicare solo alcune suddivisioni più grossolane - le interpretazioni che vedono in Hume anzitutto uno scettico da quelle che mettono in risalto l'aspetto costruttivo del suo pensiero, quelle che lo ritengono soprattutto un critico severo della religione da quelle che si servono del suo supposto scetticismo per fini apologetici. Il libro di Attanasio appartiene senza dubbio al novero di quelli che accentuano il lato costruttivo della filosofia di Hume, considerato come uno "scienziato della natura umana": una linea interpretativa che risale almeno agli scritti di Norman Kemp Smith nella prima metà del Novecento. Ma una volta operata questa scelta, varie opzioni sono ancora disponibili. Nicholas Capaidi, per esempio, ha sottolineato la derivazione newtoniana del progetto di una "scienza della natura umana". Anziché su Newton, Attanasio preferisce puntare sulle scienze cognitive e sull'evoluzionismo di Darwin. Naturalmente in questo caso non può sussistere, per ragioni cronologiche, un rapporto di influenza causale, e Hume sarebbe piuttosto un precursore di molte delle idee centrali delle scienze cognitive e dell'evoluzionismo, che vengono attentamente ricercate dall'autrice all'interno delle sue opere. Guido Bonino stati di cose. Runggaldier e Kanzian cercano per ogni problema di presentare un'ampia serie di soluzioni, mettendone in risalto punti .di forza e difficoltà. (G.B.) Edmund Runggaldier e Christian Kanzian, Problemi fondamentali dell'ontologia analitica, ed. orig. 1998, trad. dal tedesco di Sergio Galvan, pp. 240, € 22,50, Vita e Pensiero, Milano 2003 Dopo Parole, oggetti, eventi di Achille Varzi (Carocci, 2001; cfr. "L'Indice", 2002, n. 6), ecco un secondo volume in italiano - sebbene si tratti in questo caso di una traduzione - dedicato a introdurre i principali temi della metafisica e dell'ontologia quali sono trattati nell'ambito della tradizione analitica. Con un certo ritardo si inizia così a colmare in Italia una lacuna editoriale relativa a queste discipline, piuttosto fiorenti in altri paesi; soprattutto mancavano presentazioni accessibili propedeutiche alla letteratura specialistica, che naturalmente è quasi tutta in lingua inglese. Il libro di Runggaldier e Kanzian svolge bene questo compito, grazie a una suddivisione in tre parti. Nella prima vengono presentati quelli che a parere degli autori sono i principali orientamenti nell'ambito dell'ontologia analitica, o tre modi di fare ontologia: quello naturalistico - che trae origine dall'impostazione del Circolo di Vienna e ha in seguito trovato un importante sostenitore in Willard V.O. Quine -, quello fenomenologico - che guarda a Franz Brentano oltre che a Edmund Husserl - e quello descrittivo - che risale ai lavori di Peter F. Strawson. La necessità di comprendere i rapporti fra queste diverse tradizioni ha richiesto in questa parte una certa attenzione per le vicende storiche che hanno condotto alla loro formazione. La seconda parte è invece dedicata ad alcuni concetti fondamentali dell'ontologia e della metafisica: gli universali, l'esistenza, la modalità (possibilità, attualità, necessità), l'identità e l'individuazione. L'ultima parte tratta infine delle principali categorie in cui gli ontologi usano suddividere la realtà: cose concrete, proprietà, eventi, Max Horkheimer, filosofia e teoria critica, con un saggio di Herbert Marcuse, a cura di Stefano Petrucciani, pp. XXVI-122, € 14, Einaudi, Torino 2003 Questo volume raccoglie le traduzioni italiane di alcuni "passaggi rilevanti" per la comprensione deH'"itinerario teorico" di Max Horkheimer, come spiega in apertura Stefano Petrucciani. Si tratta di tre saggi redatti nel quinquennio 1937-1942: Teoria tradizionale e teoria critica, fondamentale per ia comprensione dell'ideale teorico che animò la "Zeitschrift fur Sozial-forschung"; il successivo dibattito fra l'autore e Marcuse (all'epoca principale interlocutore filosofico di Horkheimer, prima del sodalizio con Theodor W. Adorno), particolarmente incentrato sulla relazione fra la teoria critica e l'eredità speculativa costituita dalla grande stagione filosofica dell'idealismo tedesco; e, infine, Ragione e autoconservazione, che del pensiero francofor-tese costituisce un'efficace presentazione sintetica, sia per quanto concerne i temi, sia per quanto riguarda la forma e-spressiva - la "ragione" di cui parla il titolo non essendo di fatto altro che il soggetto di quell'illuminismo (non solo e non anzitutto storico) di cui Horkheimer e Adorno, poco dopo la fine del secondo conflitto mondiale, avrebbero descritto l'inaggirabile dialettica. Donde il movimento di un pensiero che cerca di elaborare uno spazio di riflessione critica capace di svincolarsi senza fratture sia dal determinismo di matrice marxiana, sia dal paradigma weberiano dell'avalutati-vità. Sul piano politico ne va, ovviamente, del rapporto della teoria critica con la prassi economica e sociale. Degno di nota, in filigrana, il rapporto ambivalente nei confronti del criticismo di Kant, considerato da una parte teorico del razionalismo borghese, dall'altra propugnatore di un pensiero capace di rivendicare insieme universalità e autonomia del particolare - e qui la mente corre ai giovanili studi di Horkheimer sulla Critica del Giudizio: "Qualcosa del legame obbiettivo col vivente e non solo con la propria esistenza si è conservato in quella facoltà soggettiva della ragione per cui essa obbedisce agli scopi e al tempo stesso impara, attraverso di essi, anche a sottrarsi a essi". A fronte dell'importanza dei saggi presentati e della bella prefazione del curatore, spiace tanto più osservare che la lettura infligge una teoria (assai poco critica) di refusi tipografici e redazionali, che né il prestigio dell'editore né i 14 euro del prezzo di copertina paiono giustificare. Gianluca Garelli tati al convegno tenutosi a Bologna nel novembre 2000, ma la pubblicazione si inserisce, come specificano i curatori, in un ambizioso progetto di ricerca da parte di una "comunità internazionale di studio e di ricerca altamente interdisciplinare, aperta a rintracciare in molti fenomeni della cultura contemporanea i segni lasciati dalla difficile e labirintica eredità nietzscheana". Indagare il rapporto di Nietzsche con l'eredità dell'Illuminismo significa, intanto, ridimensionare l'interpretazione che vede in lui piuttosto un epigono del romanticismo e il precursore del decadentismo europeo. Ma l'Illuminismo stesso, attraverso Nietzsche, diventa per così dire una categoria metastorica, attraverso i meandri di una razionalità indagata nella sua inesausta lotta con il proprio altro: in questo senso allora Nietzsche ha potuto essere punto di riferimento nell'analisi di quella "dialettica dell'Illuminismo" che (a partire, ovviamente, da Horkheimer e Adorno) percorre senza posa il "discorso filosofico della modernità", collocando la stessa ragione conoscitiva sullo sfondo delle proprie lontane origini religiose (pagane e cristiane), secolarizzate e demitizzate, in un percorso di cui è indispensabile mettere anzitutto in questione la linearità. È quanto si propongono di fare i saggi raccolti nelle quattro parti del volume: Storia e dialettica dell'illuminismo (con contributi di Pestalozzi, Ventu-relli, Crescenzi, Bru-sotti, Gentili, Merlio), Cristianesimo, etica e illuminismo (Penzo, Cacciari, Vercellone, Simon, van Tonge-ren), Nietzsche e la modernità come costellazione storica (Gray, Vivarelli, Muller-Bock, Vozza, Orsucci), Il pensiero di Nietzsche e la modernità come campo di sperimentazione filosofica (Ferraris, Abel, Figal, Gerhardt). Dalle impostazioni dei saggi traspare chiaramente la varietà delle prospettive che attraversano questo nodo teorico del pensiero moderno e che da esso si dipartono. Alle quattro sezioni se ne affianca infine una quinta (Gerike e D'Iorio) dedicata allo Hypernietzsche. Un argomento di grande interesse per chi sia interessato all'applicazione delle tecnologie multimediali allo studio e al commento dei classici della tradizione letteraria e filosofica. (G.G.) Nietzsche Illuminismo Modernità, a cura di Carlo Gentili, Volker Gerhardt e Aldo Venterelli, pp. 378, €39, Olschki, Firenze 2003 Questa miscellanea di studi è dedicata alla memoria di Wolfgang Mùller-Lauter, studioso tedesco scomparso nel 2001, che (insieme a Karl Pestalozzi) assunse dopo la morte di Giorgio Colli e Massimo Montinari il compito di proseguire l'edizione critica delle opere di Nietzsche. Nel volume sono contenuti i materiali presen- del pensiero contemporaneo, dalla filosofia della coscienza alla filosofia del linguaggio. Eppure si tratta di una questione antica quanto la filosofia stessa, a partire da Anassimandro e Parmenide, per giungere fino al Nietzsche di Verità e menzogna, capace di riconoscere che la verità ha essenzialmente uno statuto retorico, e infine alla nozione derridiana di. scrittura, e alla proposta decostruttiva. Una storia il cui misconoscimento ha causato più di un fraintendimento nella stessa autocomprensione che la filosofia ha avuto di sé. Si pensi all'estetica di Baumgarten, e alla sua pretesa di distinguere in modo assoluto fra una verità estetica e una verità logica; e, per converso, all'estetica della ricezione di Hans Robert Jauss, che insegna a non separare il testo dai processi della sua produzione e della sua stessa ricezione. Stabilite le coordinate teoriche della sua proposta ermeneutica, Gentili ne propone quindi possibili campi di applicazione: il proemio del poema Sulla natura di Parmenide, quindi il Friedrich Schlegel studioso della lingua e della sapienza indiana, e infine la questione delle origini della tragedia, in un itinerario che si confronta magistralmente, oltre che al solito con Nietzsche, con le interpretazioni di Freud, Vernant, Girard, Kerényi e infine Gadamer, allo scopo di individuare l'impraticabilità di una restrizione del tragico in termini di mero genere letterario. Completano il volume quattro interessanti saggi intorno ad altri esempi di possibile Au-seinandersetzung fra filosofia e letteratura, dedicati rispettivamente a Foucault (Pierpaolo Ascari), all' Empedocle e all'An-tigone di Hòlderlin (Ivano Gorzanelli e Giulia Antinucci), e al Ressentiment nietzscheano (Andrea Spreafico). (G.G.) Carlo Gentili, La filosofia come genere letterario, prefaz■ di Sergio Givone, pp. 225, € 18, Pendragon, Bologna 2003 Osserva Sergio Givone: che la filosofia, in quanto è fra le altre cose un genere letterario, incida sulla sostanza stessa del pensiero è uno degli elementi che fa propendere per "il carattere essenzialmente interpretativo (...) del sapere filosofico". E nel saggio di apertura della raccolta Gentili rilancia ulteriormente: la formula secondo cui la filosofia è un genere letterario sembrerebbe addirittura costituire "il modo attuale di proporsi del problema rappresentato dai rapporti tra filosofia e letteratura". Oggi filosofia e letteratura, per la natura stessa della cosa, "non sono più delimitabili come ambiti autonomi e distinti, retti dalle categorie, rispettivamente, della teoria e della finzione". A insegnarlo sono stati, fra gli altri, l'ultimo Heidegger, Derrida e gli Yale Critics, che hanno per esempio contribuito alla progressiva "scomparsa della divisione categoriale tra letteratura e critica letteraria". Mentre Habermas ha ricondotto questo stato di cose al più generale passaggio, peculiare Pierre Maine de Biran, osservazioni sulle divisioni organiche del cervello, ed. orig. 1984, a cura di Marco Piazza, pp. 109, s.i.p., Olschki, Firenze 2003 L'interesse di questo testo del 1808, mai tradotto prima in italiano, è duplice: da un lato ci introduce nella parte meno conosciuta dell'opera di Maine de Biran, all'intersezione tra interessi filosofici e interessi scientifici, dall'altro aggiunge un tassello alla storia interessantissima della fortuna delle teorie di Franz Joseph Gali, l'anatomista e fisiologo tedesco padre della frenologia, tanto ammirato da Bal-zac. Figlio di un medico e fornito di una notevole preparazione scientifica, Maine de Biran studia le tesi di Gali, che tendono a ricondurre le facoltà dell'intelligenza a sedi separate all'interno del cervello, confrontandole a quelle di altri medici e negandone l'assoluta originalità. Con Gali si confronta poi anche sul problema, molto dibattuto all'epoca, della sede organica delle passioni. La prospettiva in cui si pone Maine de Biran in questo testo, prospettiva che del resto non abbandonerà mai, è quella che considera la conoscenza dell'uomo intellettuale e morale come inscindibile da quella dell'uomo fisico. "Proprio perché l'uomo è un essere misto - commenta nella sua bella introduzione il curatore - deve essere fatto oggetto e degli studi della fisiologia e della psicologia". Compito prioritario del filosofo sarà per Maine de Biran occuparsi dei rapporti tra queste due scienze, sino ad arrivare alla fondazione di una "medicina morale" che avrà come obiettivo il dominio dell'uomo su di sé. Riguardo a questa finalità, la distanza tra Maine de Biran e Gali appare a Marco Piazza minore di quanto non credesse il filosofo francese: al di là delle divergenze scientifiche, entrambi miravano infatti ad "accordare il physique e il mora! e a fornire nel quadro di una science de l'homme una lista attendibile delle facoltà intellettuali e morali". Mariolina Bertini