Letterature Potenti e corrotti a Belfast Sangue, disonore e inganno di Elisabetta d'Erme Sfigato di classe di Erika Martelli Eoin McNamee BLUE TANGO ed. orig. 2001, trad. dall'inglese di Norman Gobetti, pp. 276, € 14, Einaudi, Torino 2002 A volte Steel aveva la sen- sazione di essere stato manipolato. Che ogni elemen- to di quelle serate fosse messo a punto in funzione del suo arrivo. La bella ragazza la cui vita stava per essere brutal- mente troncata. Lo stormire delle foglie autunnali, le strade vuote, il rumore dei passi e le ri- sate di una giovane coppia che tornava a casa tardi. Scene di un sentimentalismo subdolo e in- troverso, ricolme di dettagli le- tali. L'odore di terra bagnata nel parco". La citazione è esemplifi- cativa delle scelte formali di Eoin McNamee. Nato nel 1961 a Kilkeel, Co. Down, McNamee è arrivato alla scrittura narrativa dopo una lunga esperienza poe- tica, ed è l'autore di Resurrec- tion Man (Einaudi, 1997), uno tra i romanzi più importanti fi- nora scritti sul conflitto nordir- landese. In Blue Tango, la sua ultima prova letteraria, l'autore ripren- de soluzioni stilistiche già pre- senti nei racconti The Last o/Deeds, Love in History e in Resurrec- tion Man, dove l'uti- lizzo di strutture sin- tagmatiche ellittiche gli aveva permesso di creare una forte ten- sione narrativa, men- tre la sua prosa poeti- ca contribuiva a evo- care i luoghi di una Belfast degradata e violenta. Anche Blue Tango, fi- nalista al Booker Prize 2001, è ambientato a Belfast e dintorni. L'azione si svolge nei primi an- ni cinquanta e ricostruisce la vi- cenda di un delitto realmente accaduto: l'omicidio di Patricia Curran che, all'epoca, fece grande scalpore perché la vitti- ma era figlia di un giudice del- l'alta corte di sua maestà, prote- stante e anglo-irlandese. Patri- cia, giovane, avvenente e anti- conformista, venne uccisa con trentasette coltellate e ritrovata nel parco della ominosa villa di famiglia in circostanze tutt'oggi misteriose. L'indagine fu pilota- ta da subito fuori dell'ambito familiare, e infine venne con- dannato un giovane militare, omosessuale e mitomane. L'operazione di McNamee è ambigua. Il romanzo potrebbe a prima vista apparire come un tentativo di ricostruzione stori- co/sociologica di una epoca: il Nord Irlanda negli anni del do- poguerra, alle prime avvisaglie di uno sperato boom economi- co. Una serie di incongruenze relative all'ambientazione, ai luoghi, alle canzoni, ai giornali citati, smascherano però le vere intenzioni dell'autore, che qui non è interessato a ricostruire minuziosamente, come in Re- surrection Man, un mondo estinto e cancellato attraverso la lettura ossessiva dello strada- rio della Belfast di inizio seco- lo, né a ricreare sapori, odori e atmosfere della città negli anni cinquanta, come ha invece fatto un altro grande scrittore di Bel- fast, Ciaran Carson, in The Star Factory. La dinamica dell'omi- cidio di Patricia Curran inte- ressa McNamee solo in quanto gli fornisce gli elementi per una sofferta riflessione sull'eserci- zio del potere. Per lo scrittore, non è importante capire chi ha ucciso Patricia e per quale mo- tivo, quanto piuttosto perché non è stato possibile scoprire il nome dell'assassino e il suo mo- vente. McNamee presenta al lettore tutti i dati, le testimo- nianze, i documenti che ha rac- colto, portando all'estremo le sue precedenti scelte stilistiche, trasformando una scrittura for- temente evocativa in una sorta di parodia di se stessa. In Blue Tango va dunque in scena un dramma shakespea- riano, dove il potere è tutto in mani maschili,, impersonato da figure meschine come il giudice Lance Curran, giocatore d'az- zardo sull'orlo della bancarot- ta, e il figlio Des- mond, procuratore di stato e fanatico reli- gioso. Ma anche da Sir Richard Pim, capo della polizia, dal com- missario di Scotland Yard John Capstick e dal suo assistente Hawkins. Tutti insie- me impegnati a na- scondere la verità, a evitare con ogni mez- zo la scoperta del colpevole. U- na verità troppo scomoda, trop- po legata alle esistenze margi- nali ed eccentriche delle due fi- gure femminili delia disastrata famiglia Curran: Patricia, la vit- tima, forse ninfomane forse solo piena di voglia di vivere, e Doris, sua madre, tormenta- ta da crisi depressive, dall'in- felicità e dalla pazzia. "L'ulti- ma cosa che (...) vide fu la scrofa che lo guardava, la testa ridotta alla grondante masche- ra furiosa di un antico dramma familiare di sangue, disonore e inganno". ■ ElisabettaDerme@msn.com Le nostre e-mail direzione@Iindice. 19 l.it redazione@lindice. 19 l.it uffìciostampa@lindice. 191.it abbonamenti@lindice.191.it Philippe Jaenada IL CAMMELLO SELVATICO ed. orig. 1997, trad. dal francese di Yasmina Melaouah, pp. 363, € 16,53, Feltrinelli, Milano 2002 Jaenada, trentacinque anni, è al suo terzo romanzo, e già il mondo delle lettere francesi non sa più fare a meno di lui: scri- ve romanzi interattivi su "L'Express", come Stephen King negli Stati Uniti, mentre teatro e cinema se la spassano a riscrivere i suoi testi {Le chameau è diventato un lungometrag- gio di Lue Pagès). Il cammello selvatico è il suo capolavoro: appena uscito, gli valse 0 premio Café Flore per la promessa letteraria dell'anno e gli onori della ribalta. Eppure solo pochi mesi prima Jaenada era uno studente spiantato qual- siasi, in rotta col mondo, deciso a scrivere sol- tanto per restare a galla. Fino a quando Juillard, scopritore di talenti del calibro di Perec (come Jaenada appassionato di fitte trame secondarie), non ne nota il carisma. Ecco allora II cammello. Fate conto zio Paperoga a fianco di Lee Van Cleef, diretto da Sergio Leone: questo è Halward Sanz, traduttore sfigato di romanzi da edicola, ma sfigato di classe, con un monolocale, una gat- ta apprensiva, un radiatore in panne e una sorel- la che si fa rimorchiare dai malavitosi marsigliesi. Fialward, pronto a farsi rompere i denti da teppi- sti d'occasione per salvare la collanina d'oro di un vecchio rimbecillito. Halward, che, pestato senza ragione da una sensuale agente di polizia, cerca di aiutarla a capire le ragioni segrete della sua ag- gressività. Halward: l'ultimo cetriolino in fondo al barattolo, dimenticato tra i semi di senape. È un romanzo, questo di Jaenada, per appren- disti maghi-della-vita: seguendo fedelmente il buon Halward si troveranno in mano il manuale dei perfetto sciupafemmine, quello che si sveglia sbronzo nel letto di una divina di cui non sa nul- la, e scopre che è sagittario come lui. Ma la divi- na astrologica non è ancora nulla di fronte a Poi- lux Lesiak, la donna della sua vita, il miracolo se- greto del mondo, incrociata per caso, una notte, fuggendo da un manipolo di poliziotti. Pollux, zuppa d'acqua e di lacrime, col suo piccolo sga- bello zoppo come arma di difesa dal mondo: è lei che Halward deve ritrovare a tutti i costi, lei, il suo destino. Pollux: che cosa sono in confronto a lei le divine dal fondoschiena statuario? Ora ri- schiando di morire dal ridere, ora piangendo co- me fontane, i lettori di Jaenada partecipano con passione alia ricerca di questa inafferrabile Ange- lica, fiduciosi che nella vita per le cose importan- ti c'è sempre una seconda possibilità. Un solo punto debole: Jaenada ha anche una passione infida per la tirata didascalica. È un afo- rista da cabaret, tipo scuola di successo: ci fa ri- dere sotto i baffi, ci insegna a non credergli; tran- ne che alla fine, quando si fa troppo serio, e affi- da quella che vorrebbe essere la morale del ro- manzo all'insegnamento di un cammello austra- liano. Il mondo crudele ti passa sopra come uno schiacciasassi? E tu anticipalo, dichiarati sconfit- to e la sua retorica bellica perderà ogni efficacia. Il tutto suona come una misera strategia da op- posizione parlamentare, come una consolazione derisoria. Quel che è vero è che, alla fine, mentre Halward torna in volo a Parigi dai suoi vecchi amici, noi restiamo orfani inconsolabili della pic- cola Pollux Lesiak. Davanti alia scomparsa di lei, inutile improvvisarsi cammelli moralisti. Tra Hadar Olof di Francesco Rognoni Torgny Lindgren MIELE ed. orig. 1995, trad. dallo svedese di Carmen Giorgetti Cima, pp. 164, € 13, Giano, Milano 2002 Gie Torgny Lindgren 1938) sia uno dei più grandi narratori europei di questi ultimi vent'anni lo sa- pevamo dal possente eppure lieve affresco biblico di Betsa- bea (1984; Iperborea, 1988), dai luoghi ancestrali di una Svezia arcaica e contadina del Sentiero del serpente sulla roccia (1982; Il Quadrante, 1987), dal magnifico libro di racconti La bellezza di Merab (1983; Iperbo- rea, 1990) e anche dal fantasioso divertimento contemporaneo di Per Amore della verità (1991; Iperborea, 1997). Miele, però, è un'altra faccen- da, una conferma e un salto di qualità: una di quelle opere ne- cessarie e definitive, che nella lo- ro mirabile concentrazione e ag- ghiacciante simmetria - nella forma impeccabile, insomma - contengono tutta una vita di gioie e sofferenze irriducibili a un ordine, ancora immediate, tangibili, guizzanti. Un breve ro- manzo, o novella, che ha l'essen- zialità esemplare dell'apologo: dove ogni dettaglio è riconosci- bile nella sua portata simbolica, e tuttavia conserva gelosamente la propria concretezza, come un sapore (la dolcezza del miele di calabrone, il salato della carne di maiale) che non si può descrive- re, può essere provato solo fisi- camente, sentito con la lingua, il palato, nella forza o spossatezza che gradualmente s'impadroni- sce del corpo. Ambientato in un remoto vil- laggio del nord della Svezia, do- ve la nevicata di una notte può isolare un borgo per giorni e giorni, il libro racconta dell'osti- lità di due fratelli, Hadar e Olof, ora entrambi vecchi e malati, che vivono soli in due casette vicine, non si incontrano e non si parla- no mai, ma si spiano a vicenda, l'uno in attesa della morte del- l'altro. Un'oscura scrittrice (non conosceremo mai il suo nome), impegnata in un malpagato giro di conferenze sulla vita dei santi, si trova a pernottare presso Ha- dar e, bloccata dalla neve, resta nella sua casa, e visita la casa di Olof, diventando l'infermiera e la confidente dei due, scopren- done i segreti e acquistando ella stessa ima sempre più adamanti- na personalità: la paradossale e quasi selvatica indipendenza - quella pietà non sentimentale e forse scostante - che (come inse- gna la vita dei santi) ci si conqui- sta solo nel servire gli altri. Nella vita dei due fratelli c'è stata Minna, una donna albina, e un ragazzo, figlio forse di Ha- dar, forse di Olaf: sembra che tutto sia già passato, ma molte cose devono ancora succedere. Sulla trama preferirei non dire altro: Miele è un libro che non si lascia smettere, e benché la sua profondità psicologica e la sua risonanza mitica siano straordi- narie, vanno rispettati anche il puro piacere e — in certe pagine molto forti - l'estremo disgusto del racconto. Diciamo invece del feroce senso dell'umorismo di cui sembra dotato soprattut- to Hadar, in lucido ma affabile colloquio col cancro che lo sta consumando ("Da una parte il dolore lo sfiancava a tal punto che avrebbe voluto dormire in eterno, dall'altra lo teneva sve- glio. I primi tempi da morto avrebbe solo riposato, poi si sa- rebbe visto"). E di certi improv- visi squarci di vertiginosa deli- catezza, sempre in bilico sull'a- bisso grottesco (come quando la scrittrice recupera la bambola di legno con cui Hadar dormiva da bambino). Mi si permetta infine di segna- lare la pagina di insostenibile ten- sione narrativa e gnoseologica in cui il ragazzo, restato intrappola- to sotto un lago ghiacciato, "fe- rendosi le nocche e la nuca e la schiena contro la crosta di ghiac- cio, ruvida e tagliente sul lato in- feriore, aveva cercato di ritrovare la strada verso il buco". ■ rognonif©libero.it