Storia La vita di un fondatore del Pei Una fedeltà assoluta di Aldo Agosti Bruno Grieco UN PARTITO NON STALINISTA Pei 1936: "Appello ai fratelli in camicia nera" pp. 343, €17, Marsilio, Venezia 2004 Ruggero Grieco è un personaggio importante nella storia del Pei. Tra i fondatori del partito, legatissimo a Bordiga fino al 1924, fu per un certo periodo, dopo che Togliatti venne richiamato a Mosca per preparare il VII Congresso del Comintem e per lavorare successivamente nel segretariato come vice di Di-mitrov, il segretario effettivo del partito, assumendo la responsabilità del centro estero a Parigi. Alla fine degli anni trenta finì per essere la vittima principale del clima di ossessiva vigilanza e di diffuso sospetto che inquinò gravemente il Pei e portò anche allo scioglimento del suo comitato centrale a opera dell'Internazionale. Gli venne rimproverato, fra l'altro, di non essersi allineato con sufficiente prontezza e decisione alla svolta conseguente al Patto Molotov-Ribbentrop, che in effetti contraddiceva clamorosamente la linea di dialogo con le altre forze dell'opposizione antifascista che Grieco aveva con tenacia perseguito dopo il 1934, sia pure senza riuscire sempre a conciliarla efficacemente con l'appello alla "rinconciliazione nazionale", esteso ai "fratelli in camicia nera", che aveva contraddistinto la sua politica nel 1936. A Mosca durante la guerra fu uno dei redattori principali di Radio Mosca: tornò in Italia nell'autunno del 1944, ma non riprese più un ruolo pari a quello che aveva svolto nel passato, anche se fu membro del comitato centrale e della direzione fino alla fine della sua vita, assumendo una forte responsabilità nella politica agraria del Pei. Fu stroncato ancor giovane nel 1955 da un malore durante un comizio, non diversamente da quanto accadde due anni più tardi a Giuseppe Di Vittorio, un dirigente a cui per molti aspetti assomigliava. Il libro scritto da uno dei suoi tre figli, Bruno, nato nel 1922, già, e a lungo, giornalista di "Paese sera" e dell'"Unità", non è una vera e propria biografia del padre, ma una ricostruzione della sua vita avventurosa incentrata in gran parte sugli anni trenta. Le pagine più febei e più interessanti sono quelle dei ricordi personali e famigliari (del- Un partito non . stalinista tv '/>: «Àfg&Me (lattiti la madre Ines, dei fratelli e della seconda moglie di Grieco, la russa Lila Ochocinskaya) negli anni dell'esilio tra Parigi e Mosca: pagine che rendono l'asprezza e la difficoltà di una vita di stenti e di sacrifici, ma anche il calore solidale della comunità degli emigrati comunisti. Assai meno convincenti sono invece le pagine che, nella pur comprensibile ansia di rendere giustizia a Grieco e ai suoi indiscutibili meriti politici, oltre che alla sua innegabile carica di simpatia umana, vorrebbero delineare il suo percorso nella chiave di un chimerico progetto di "partito non stalinista". Nulla vi è infatti di nuovo a sorreggerle rispetto alle ricostruzioni della storiografia sul Pei (in cui si tiene conto di fatto, e in modo non sempre obiettivo, dei soli lavori di Spriano). Anche la documentazione rintracciata a Mosca si riduce a due autobiografie redatte da Grieco per la sezione quadri nel 1932 e nel 1940, che sono sì sintomatiche del clima che regnava nel Comintern "stalinizzato", ma non conten- gono novità rilevanti. Poco credibile, e comunque non dimostrata, è la presunta difesa che Grieco avrebbe fatto di Tasca, quando questi fu espulso dal Pei per essersi opposto alla "svolta" del 1929-30; alquanto enfatizzata l'originalità della riscoperta della democrazia, che fu in realtà, nel suo impasto di tatticismo e di autentica revisione, patrimonio comune di tutto il partito; abbastanza ingenua, infine, la glorificazione della linea dell'"appello ai fratelli in camicia nera", che fu lanciato nel 1936, di cui si sottovaluta non solo la scarsa efficacia pratica, ma l'effetto assai negativo provocato tra gli alleati antifascisti. Soprattutto lascia perplessi l'ossessivo accanimento contro Togliatti, che è raffigurato dall'inizio alla fine come il vero vilain de la comédie, riutilizzando, ben al di là dei demeriti e delle sue obiettive responsabilità, i consueti stilemi sul suo perfido cinismo. Certo, Togliatti non lesinò in diverse occasioni le sue critiche a Grieco; ma dagli stessi documenti ritrovati dall'autore a Mosca emerge come, lungi dall'essere responsabile di una "delazione" nei suoi confronti, ne abbia comunque attestato, anche nei momenti più critici, la "fedeltà assoluta" al partito e all'Internazionale. ■ aldo.agosti@unito.it A. Agosti insegna storia contemporanea all'Università di Torino Stabile instabilità Bilancio su scala locale di Giovanni Gozzini ALLA RICERCA DELLA SIMMETRIA Il Pei a Torino 1945-1991 a cura di Bruno Maida pp. 646, € 35, Rosenberg & Sellier, Torino 2004 u: Tn volume importante, che segna una svolta negli studi di storia politica locale, questo, curato da Maida, e realizzato da molti giovani studiosi. Perché? Perché consuma l'esaurimento di due approcci tradizionali: quello del "pantografo", per cui la storia della periferia ricalca per corrispondenze o deviazioni la storia del centro, e quello "microstorico", per cui la politica è solo contenitore residuale di reticoli e appartenenze comunitarie tradizionali di quartiere o di villaggio. La novità, riassunta dalla "simmetria" del titolo, è la ricerca dei modi in cui un partito interagisce con l'ambiente circostante cercando di farvi funzionare i propri poteri di indirizzo e di nomina, la pro- di Daniele Rocca Per lettori navigati www.lindice.com Simone Bertolino RIFONDAZIONE COMUNISTA Storia e organizzazione pp. 379, €25, il Mulino, Bologna 2004 Nell'attuale realtà politica italiana, contraddistinta dal laborioso rodaggio del bipolarismo, Rifondazione comunista non può essere giudicata un partito di second'or-dine: decisivo è infatti il suo ruolo, soprattutto per la capacità di rastrellare consensi all'interno della società civile e fra le mille anime di quello che oggi viene ormai comunemente chiamato, con termine certo improprio, ma efficace, il Movimento. Dopo una serie di volumi dedicati dalla collana del Mulino "Partiti e sistemi di partito in Italia" alle varie facce dell'arena politica nazionale, l'accurato studio di Simone Bertolino incrocia con esemplare acribia testimonianze, grafici e comparazioni al fine di illustrare genesi, evoluzione e struttura del Prc. Secondo l'autore, nel complesso spicca, quale fattore di debolezza nel partito in esame, una scarsa unità interna. Da qui proverrebbe la difficoltà a trasmettere un'immagine coesa di sé e della propria leadership, malgrado la scissione dai cossuttiani. Peraltro l'handicap, sembra dire Bertolino, se ha radici lontane, non manca di presentare sviluppi almeno in parte positivi. Come già emergeva con la massima chiarezza nel documentario La cosa di Nanni Moretti (1990), o nei libri di Ignazi e Ferrerò, usciti tra 1992 e 1994, durante la fase decisiva, quella in cui le assemblee di base discussero la transizione dal Pei al Pds, il primo gruppo di Rifondazio- RiiMKÉi/jonr ne, povero di quadri del vecchio Pei, venne a comporsi di cossuttiani, ingraiani, ex di Democrazia proletaria ed elementi della sinistra studentesca, all'insegna, scrive Bertolino, di una marcata "disomogeneità" (nonostante i dissidi, Garavini difese però con successo l'originaria denominazione del partito, che doveva evidenziare una spinta innovatrice rispetto a logori reticolati ideologici). Anche per questo, fin dagli inizi, nell'apparato organizzativo del Prc si registrò un'accentuata deprofessio-nalizzazione, quella stessa, si noti bene, che negli ultimi anni gli ha permesso un assiduo e proficuo contatto con molteplici settori della società civile: Rifondazione ha dunque fatto di necessità virtù. Così, nel rapido giro di un lustro il Prc assurse a risultati lusinghieri. Fu in particolare dal 1996 che intese rendersi "partito antagonista di massa", capace di raccogliere la schiacciante eredità del Pei per adattarla a nuove esigenze. Facendo però registrare anche un debole apporto femminile e una linea politica spesso settaria. Come negare che le cattive relazioni con la Cgil, ancor più dei dissidi con i gruppi politici del centrosinistra, siano controproducenti per la sua immagine? Ma il Prc non teme le mosse a sorpresa, e lo ha dimostrato al tempo della sfiducia a Prodi, una scelta che per Bertolino fu l'esito di lotte interne volte al controllo del "potere organizzativo" nel partito. Qui, Bertinotti risulta fra gli innovatori: decisi, questi ultimi, a far fruttare l'alto potenziale costituito da un mondo new global che necessita di radicarsi nel territorio, ma anche a favorire sia lo snellimento degli organismi centrali, sia il rafforzamento di quelli regionali, al fine di garantire dinamismo al partito, pur nel contesto di una "stabile instabilità" qual è quella della sinistra post Pei. pria organizzazione e le proprie strategie. Molta politologia, insomma, rispetto alla troppa ideologia o alla troppa cultura popolare dei due approcci precedenti. A Torino, questa ricerca della simmetria è particolarmente difficile e significativa, perché si trova a dover affrontare il progressivo venir meno della centralità operaia: il che significa immaginare un futuro della città fuori dal nesso (evidentemente cruciale nella cultura politica comunista) tra grande industria, modernità e sviluppo. Non solo: questa ricerca si confronta con la stagione particolarmente drammatica, su scala locale, del terrorismo. Dal fuoco di questa durissima battaglia politica emerge una cultura di governo che, secondo il curatore, e molti degli autori, mostra consistenti limiti e ritardi: il no alla metropolitana ne rappresenta uno degli aspetti più importanti. E un giudizio condivisibile anche se forse revisionabile, alla luce di alcune attenuanti. Nel corso degli anni ottanta l'opposizione a grandi opere pubbliche ebbe anche il senso di un'opposizione al malaffare e, considerata la grande trasformazione vissuta dalla città, la sopravvivenza di un'organizzazione e di una politica comunque erede del vecchio Pei ha del miracoloso. Ma, al di là di queste considerazioni di merito, sulle quali si continuerà a discutere a lungo (anche perché sono materia concreta dell'attualità), è importante sottolineare che questo volume costituisce un esperimento riuscito sotto diversi aspetti. La scelta di un ambito cronologico lungo, innanzitutto: 1945-1991, vale a dire l'intero arco dell'esperienza del Pei nella Repubblica. In secondo luogo, la scelta di tematizzazioni trasversali, che cercano di tenere assieme organizzazione, politica e cultura, quadri dirigenti e base sociale. Su ciascuno di questi terreni della vita politica il Pei torinese ha conosciuto vittorie (si pensi al 15 giugno 1975) e sconfitte (da quella nelle elezioni delle commissioni interne del 1955 alla marcia dei quarantamila). Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il ceto operaio è sempre stato sottorappresentato nell'organizzazione comunista torinese, a tutto vantaggio di uno strato di operai-funzionari (precocemente inseriti a tempo pieno nella macchina del partito), che solo raramente sono diventati dirigenti. E anche l'osservatorio torinese conferma una contraddizione di fondo del Pei: la scarsa presenza negli organismi dirigenti centrali di un quadro di governo locale più obbligato di altri alla costruzione di una cultura riformista e di governo. Ma questo libro ci ricorda anche momenti particolarmente significativi: si pensi alla lettura sociale - e non meramente poliziesca - del fenomeno terroristico, esplicitata nella scelta di un questionario di massa da rivolgere anche alla propria base: una scelta allora assolutamente non facile, che oggi torna d'attualità su scala globale. ■ gozziniSunisi.it G. Gozzini insegna storia contemporanea all'Università di Siena