Storia Fra i documenti dei servizi segreti Anticipando la guerra fredda di Daniele Rocca Nicola Tranfaglia COME NASCE LA REPUBBLICA La mafia, il Vaticano e il neofascismo nei documenti americani e italiani 1943-1947 a cura di Giuseppe Casarrubea, pp. 443, €23, Bompiani, Milano 2004 ncora una volta, come ìgià nel caso del colpo di stato in Cile, i documenti dei servizi segreti americani, resi pubblici qualche anno fa dall'amministrazione Clinton, dimostrano la drammatica prossimità al vero di alcune tesi un tempo ritenute "dietrologi-che". In particolare, a emergere in questa preziosa raccolta, sono il ruolo giocato da mafia, settori del clero, ed elementi neofascisti da Cassibile in poi, nel condizionare, e talora nell'orchestrare, le trasformazioni in atto. La cruciale transizione dal fascismo alla democrazia, e dalla monarchia alla repubblica, fu dunque pesantemente influenzata da forze esterne, quando non estranee tout court alla democrazia. Sempre però nel contesto di quella che Tranfaglia, nell'efficace introduzione a questi documenti, definisce la "preponderante influenza degli Usa". L'obiettivo primario consisteva nell'arginare l'avanzata comunista, soprattutto in regioni come la Sicilia. Le conseguenze, anche a lungo termine, sarebbero state di evidente gravità. Nella parte iniziale del volume torna a galla un mondo finora, in questo contesto, rimasto in buona parte sommerso, quello del neofascismo collegato al regime di Salò. La documentazione verte essenzialmente sulla X Mas, oggi ricordata più che altro perché nel 1970 il principe Junio Valerio Borghese, suo vecchio capo, tentò un golpe. Si incontrano molte informazioni circa la sua consistenza (trentamila membri alla fine della guerra), le origini, i fini, le modalità operative, la strategia (eloquente è la deposizione del capitano Morelli intorno agli accordi con la divisione Osoppo). Altri documenti attestano l'ampia immunità postbellica di cui godettero gli ex militi della Mas. Borghese venne preso in consegna dagli Alleati, ricevendo la qualifica di prigioniero di guerra ed evitando così il rischio d'un processo in tempo di democrazia. Giudicato nel novembre 1945 dal colonnello Nichols un personaggio "di grande interesse per lo spionaggio navale americano", Borghese presto passò di fatto al servizio dell'Office of strategie ser-vices (Oss, poi Cig, Central intelligence group, poi Central Intelligence Agency, Cia). Intanto, i neofascisti, organizzati da uomini come Fortunato Polvani, cercavano di dar luogo a quella che il curatore Casarrubea, in uno dei sunti posti a introdurre le varie sezioni, chiama "una sorta di Gladio ante litte-ram". Un ex comandante della X Mas, Nino Buttazzoni, autore fra l'altro di un libello sul Fronte antibolscevico italiano, nell'aprile 1946 dichiarava che nella sola provincia di Milano i neofascisti armati erano cinquantamila. Più in generale, essendo mancata in Italia una qualsiasi epurazione, il passaggio all'assetto democratico non poteva che rivelarsi malagevole e laborioso, soprattutto nei settori burocratico e poliziesco (i primi quattro questori di Roma, dal '45 al '60, non furono forse ex agenti dell'Ovra?). Frattanto, gli attivisti monarchici continuavano a tenersi in contatto. Erano tutti elementi che Borghese avrebbe voluto riunire nel suo Fronte nazionale, dato in via di costituzione da un asettico documento Cia nell'estate del 1951. Ma la sua fiammata avrebbe esibito la consistenza d'un fuoco fatuo. Non di solo neofascismo soffriva peraltro l'Italia sulla strada verso la democrazia. Un altro filone qui isolato è quello mafioso, importante anche in rapporto al- la situazione politica coeva. In una ricca selezione di documenti prende forma l'insieme di coordinate lungo le quali si articolarono in Sicilia alcuni dei gruppi più significativi. Uno fu il Partito democratico d'ordine - poi Fronte democratico dell'ordine in Sicilia -, creato dagli Stati Uniti per cavalcare il fenomeno del separatismo evitandone così il deragliamento, e controllato dal boss Calogero Vizzini. Le scelte di Washington erano improntate alla Realpolitik-, in mezzo alle rivolte per il carovita e ai moti separatisti, che all'inizio si credettero provocati dagli inglesi, fu sull'"autorità" mafiosa (Finoc-chiaro Aprile definiva la mafia "un'organizzazione che si batte per l'ordine, la disciplina e la giustizia politica") che gli americani fecero leva per prendere in mano la situazione. E infatti don Calogero nell'aprile 1945 scatenò una dura campagna contro i piccoli criminali, affinché la Sicilia apparisse agli americani un "gioiello del Mediterraneo". L'Oss già nel '44 dichiarava di star sottoponendo l'isola a un "eccellente monitoraggio", motivato dalla sua rilevanza strategica. Al fine di facilitare prima lo sbarco alleato e poi il controllo della Sicilia, gli americani vi compirono un oculato reclutamento di notabili sulla base della loro influenza presso la popolazione, non certo del loro grado di civismo. Con gli esiti noti a tutti. Come anello di collegamento fra la criminalità siciliana, in particolare Salvatore Giuliano, e l'intelligence Usa, sulla base di numerosi indizi e riscontri, si avanza in queste pagine il nome di Mike Stem. Questi potrebbe aver gestito l'afflusso in Sicilia di ex repubblichini, sia per salvarli da eventuali vendette post-Liberazione, sia per far fronte all'avanzata rossa capitanata da Li Causi e Montalbano. Tra le pieghe di una situazione politica poco limpida, si muovevano del resto anche molte vecchie conoscenze del mondo della criminalità organizzata. Fra il gennaio e il giugno 1947, ossia in prossimità della strage di Portella della Ginestra (che Casarrubea giudica un lontano prodromo della strategia della tensione), mentre Giuliano veniva avvicinato da una serie di personaggi legati ai servizi, al Fronte antibolscevico e al neofascismo, molto attivo in Sicilia risultava anche Lucky Luciano. Erano insomma tempi nei quali lo scenario politico veniva allestito da soggetti della più varia provenienza. Mai però al di fuori del raggio d'influenza americano, a meno che non si trattasse della galassia social-comunista o sindacalista. Si consideri il terzo filone del volume, quello relativo ai partiti nazionali in via di costituzione, o di ricostituzione. Fu sulla base di accordi stretti con l'Oss che dall'America don Sturzo, durante l'ultima fase della guerra, fornì le proprie direttive d'azione ai democristiani. In tutto il mondo conservatore si era ormai affermato un anticomunismo costante e sistematico, condiviso, come ovvio, dall'alto clero e dall'intelligence statunitense. Se infatti George Zappalà, agente speciale del controspionaggio americano in Italia, nel maggio 1947, dava per estremamente probabile, o addirittura imminente, un golpe del Pei, Casarrubea ritiene di poter ipotizzare che l'attentato stesso a Togliatti fosse stato organizzato, o quanto meno consentito, al fine di provocare un'insurrezione comunista, per poi mettere al bando il Pei dopo averla annientata. Il piano sarebbe fallito per il senso di responsabilità dei dirigenti comunisti. Sono naturalmente solo ipotesi, sebbene suffragate da molteplici indicazioni. n ogni caso, come dar torto a ^Benedetto Croce, il quale, in una lettera a Walter Lippmann (18 novembre 1943), denunciava la permanenza in sella di vecchi potenti che sfruttavano la "paura del comunismo"? Non pochi politici favorivano tale tendenza. Scrivendo a don Sturzo (14 marzo 1945), Mario Sceiba definiva la sinistra democristiana "un guardiano comunista in campo cattolico", mentre fra le alte gerarchie vaticane continuavano a registrarsi quelli che Casarrubea definisce "inquietanti esempi di isteria anticomunista". E dire che, a quanto pare, nemmeno il mondo cattolico sfuggiva allo scandaglio americano. Earl Brennan, capo del settore italiano dell'Si (sezione spionistica dell'Oss), asserì in una missiva che i suoi uomini si erano "infiltrati" non solo al Quirinale, ma -mche in Vaticano, "con mezzi diretti e indiretti". La presente raccolta è molto più vasta di quanto si possa dedurre da questa veloce panoramica. Vi si incontrano note sulle questioni più varie, dai legami fra monarchici e massoni di rito scozzese agli inattesi finanziamenti al Pei nel 1946. Da segnalare è il Manuale di intelligence per la propaganda occulta, datato 16 maggio 1946 e preparato dal-l'Si, che si sofferma sui "falsi incidenti" come strumenti per "creare un mutamento nella pubblica opinione", il "pretesto per un intervento diplomatico", o "perfino una giustificazione per lo scatenamento di una guerra". Dunque, un libro da cui sarà difficile prescindere per future analisi in sede storiografica, ma anche agevolmente consultabile - nonostante sia costituito da documenti - dai non esperti. E questo grazie a Tranfaglia, che nell'introdurre la raccolta le ha offerto una piattaforma storiografica, e in particolare al curatore, Casarrubea, che nelle note ha illustrato gli aspetti più impervi della documentazione, inquadrandola, come meglio sarebbe stato difficile, nella sua dimensione storica. ■ rocca.daniele@fastwebnet.it d. Rocca è insegnante e dottore in storia delle dottrine politiche all'Università di Torino Babele. Osservatorio sulla proliferazione semantica. Moderno, agg. e s.m. Deriva dall'avverbio latino modo, che significa "adesso". Rimasto per secoli un aggettivo, è diventato anche un sostantivo che si riferisce a specifici stilemi novecenteschi. Vari dizionari, per quel che riguarda la lingua italiana, riportano come data germinale il 1319. Il termine si trova comunque nel Purgatorio di Dante. E poi in Boccaccio e in Petrarca. I dizionari francesi riportano, per la lingua francese, il 1361. L'Oxford English Dictio-nary individua, per la lingua inglese, una prima presenza letteraria intorno al 1500. Nell'età tar-domedievale e umanistica il termine si palesa peraltro all'interno di una coppia dicotomica che lo affianca, e nel contempo lo contrappone, ad "antico". E subito emerge un'ambiguità as-siologico-semantica che ne braccherà a lungo l'uso. Ciò che è moderno, infatti, è in primo luogo cristiano e, quindi, insediandosi nel tempo successivo alla rivelazione, è superiore all'antico. E tuttavia i modelli offerti dall'antichità -sullo stesso terreno politico (si pensi all'impero universale) - sono ritenuti insostenibili se li si confronta a quel che è stato prodotto successivamente. Di qui deriva - ben prima di Burckardt e Nietzsche - una frequente associazione del mondo "moderno" all'idea di decadenza. O almeno al sospetto di decadenza. Si pensi alla querelle des anciens et des modernes. Se poi si vogliono proprio elogiare questi ultimi, li si deve definire "nani sulle spalle di giganti". Quando infine la modernità vorrà urlare impudicamente la propria autosufficienza, dovrà farlo, nella fase liminare del Novecento, in forma inesorabilmente "barbarica" e provocatoria. Ed è significativo che la Nike di Samotracia (un'opera d'arte) sia dai futuristi accostata, per sancirne l'inferiorità estetica, non ad un'altra opera d'arte, ma a un prodotto seriale dell'industria (l'automobile rombante). Una conferma indiretta, questa, dei permanenti complessi d'inferio- rità dei moderni. L'intero XX secolo, del resto, è stato segnato, nel discorso comune, dalla stupefatta ammirazione per i prodigi del mondo moderno e dalla lamentatio per le conseguenze morali e sociali di tali ambivalenti prodigi. Nel Seicento, ad ogni buon conto, compare, in inglese, modernity. Nell'Ottocento tale termine è attestato, a partire da Balzac e Baudelaire, in lingua francese. In lingua italiana Gioberti avverte che "la modernità dee rampollare dall'antico". Pare inoltre che sia Huysmans a forgiare la parola modernisme, che diventa, a cavallo tra Otto e Novecento, il tentativo, interno al mondo cattolico, di conciliare la fede religiosa e il mondo appunto "moderno". Tentativo che, pur stroncato nel 1907 da Pio X con l'enciclica Pascendo dominici gregis, coinvolge la teologia, l'esegesi biblica, la filosofia, la storia del cristianesimo, la cultura sociale, l'azione politica, la letteratura. Intanto, nell'Ottocento, in francese, era nato il termine "modernizzazione", destinato ad alimentare il lessico e le ricerche della sociologia e in genere delle scienze sociali. Era però già nata, a partire dal Cinquecento, la storia "moderna". Che era tale in relazione alla storia antica. Insinuatasi poi, e autonomizzatasi, l'Età di Mezzo, la stessa storia moderna diventò una fase storica. Cui seguì la storia definita contemporanea (e ormai già fornita di durata assai lunga). I francesi fanno iniziare la storia moderna nel 1453 (caduta di Costantinopoli). E la fanno finire nel 1789. Per gli italiani comincia in genere nel 1492 e finisce - un happy end conservatore consacrato da Volpe - nel 1814. Per gli inglesi, che individuano una fase early modem, la storia moderna si conclude invece, ma non sempre, nel 1945. Sembrano tramontate, e registriamo la cosa con sollievo, le pretese periodizzanti del "postmoderno". Ridimensionatosi in uno stile metastorico. Bruno Bongiovanni