N. 2 Storia La passione per la libertà di Gabriella Silvestrini Franco Venturi PAGINE REPUBBLICANE a cura dì Manuela Albertone, introd. di Bronislaw Baczko, pp. 235, €25, Einaudi, Torino 2004 Già nel 1975 John G. A. Pocock aveva menzionato a sostegno delle tesi esposte nel Momento machiavelliano le pagine di Utopia e riforma nell'illuminismo in cui Venturi sottolineava l'importanza del repubblicanesimo inglese per il primo Illuminismo. Ma fino ad ora scarsissimi erano stati i tentativi di rileggere i lavori di Venturi alla luce delle problematiche emerse dal filone di studi sulla tradizione repubblicana, il cui successo e la cui affermazione sono relativamente recenti. La raccolta di pagine curata da Manuela Albertone permette di dare sostanza a quelle intuizioni, offrendo al lettore, senza alcuna pretesa di esaustività, ma con l'intento di suggerire una nuova chiave di lettura dell'intera opera venturiana, un'ampia selezione di testi che, in un arco di tempo che va dal 1937 al 1990, Venturi aveva dedicato alle repubbliche e ai repubblicani del Settecento. Scegliendo come principio ordinatore un criterio tematico e non cronologico, la curatrice assume come punto di partenza i primi due capitoli di Utopia e riforma nell'illuminismo, che costituiscono, per così dire, l'ossatura più esplicitamente programmatica del volume. Risulta infatti particolarmente evidente il complesso intreccio che in essi si scorge fra monarchie e repubbliche in antico regime, fra ideologia repubblicana e critica an-tiassolutista. In seguito vengono riuniti i più significativi brani di Settecento riformatore consacrati alle diverse repubbliche settecentesche e alla loro crisi: Genova, Venezia, la Polonia, Ginevra e le Province Unite; poi si giunge a uno dei baricentri della riflessione di Venturi sull'esperienza repubblicana, ossia l'incontro, o, meglio, lo scontro, fra le repubbliche italiane e il modello repubblicano neoromano e centralizzatore esportato dalla Rivoluzione francese; infine, nella penultima parte, vengono focalizzati alcuni nodi tematici che consentono di cogliere le molteplici dimensioni della repubblica, im-' pigliata fra mito e realtà: religione, comunismo, sovranità popolare e illuminismo. L'ultima parte, che costituisce al tempo stes- so una conclusione e un possibile punto di partenza per una futura ricerca sull'opera di Venturi, ritorna, come un cerchio che si chiude, al giovane militante che prende parte alla resistenza antifascista e assiste alla nascita della Repubblica italiana. È in queste pagine che troviamo, come sottolinea Baczko nel suo bel saggio, non solo la riprova dell'importanza degli anni di formazione parigina e della stretta simbiosi fra il lavoro dello storico e l'impegno politico giovanile, ma anche una stupefacente continuità nel segno di un nesso esplicito fra antifascismo e repubblicanesimo. Così, in attesa di leggere gli atti del convegno tenutosi a Napoli nel settembre 2004, che dovrebbero offrire nuovi strumenti di comprensione dell'intera opera venturiana alla luce delle pagine repubblicane, una prima lettura di questo volume permette di constatare la presenza innegabile di una problematica specificamente repubblicana alla base dell'intero lavoro storico di Venturi, una problematica identificabile con quella stessa passione per la libertà che ha animato incessantemente e fino alla fine tanto il politico quanto lo studioso. gafcariella. silvestriniSsp. unipim. it G. Silvestrini è ricercatrice di storia del pensiero politico all'Università del Piemonte Orientale- Dal piccolo, il grande di Dino Carpanetto Edoardo Grendi IN ALTRI TERMINI Etnografia e storia di una società di antico regime a cura di Osvaldo Raggio e Angelo Torre, pp. 229, €20, Feltrinelli, Milano 2004 Di Grendi, scomparso nel 1999 all'età di sessantasette anni, gli allievi Raggio e Torre tracciano un attento profilo culturale nelle pagine della prefazione che anticipa cinque saggi, editi e inediti, composti dallo storico genovese tra il 1965 e il 1998. Come affermano i curatori, Grendi è una figura anomala nella storiografia italiana, sia per l'ampiezza e la varietà degli interessi, sia per il suo percorso teorico, attento alle trasformazioni delle scienze sociali e alla loro ricezione nell'analisi storica. Dopo essersi specializzato alla London School of Economics, fu professore a Perugia, Torino e Genova, e tra i fondatori della rivista "Quaderni storici", che seppe condizionare una fase assai importante del rinnovamento storiografico italiano. Con L'avvento del laburismo (Feltrinelli, 1964) Grendi si affermò come studioso del movimento operaio inglese, analizzato in un'ottica sociologica e geografica che superava il tradizionale ambito dei dibattiti ideologici e che mostrava chiara affinità con lo storico Edward Palmer Thompson, dei cui libri avrebbe favorito la circolazione in Italia. Gli aspetti della morfologia sociale della città e della sua evoluzione dall'antico regime all'epoca industriale furono al centro degli studi su Genova tra XVIII e XIX secolo, culminati nel libro I Balbi: una famiglia genovese fra Spagna e Impero (Einaudi, 1997). Dalle innovative ricerche sulle confraternite derivò un apporto alla storia delle pratiche religiose in antico regime che prescindeva totalmente dalla dimensione politica e religiosa, parallelamente a un forte interesse per la discussione metodologica che lo vide sostenitore della microstoria in un'ottica antropologica ed etnografica. Negli ultimi lavori Grendi si spostò sul terreno della locai history, da lui valorizzata come ambito di applicazione che, configurandosi come prosecuzione della microstoria, consentiva di verificare comportamenti e sistemi sociali. In tal modo staccava dalla sua tradizione erudita un settore d'indagine al quale gli storici accademici avevano prestato scarsa attenzione, attribuendogli una nuova dignità scientifica in quanto terreno su cui portare a verifica quel rifiuto della grande scala spazio-temporale che Grendi aveva maturato già negli anni sessanta e quindi perfezionato nel corso dei suoi lavori e delle sue riflessioni. Nell'ambito della storia moderna ne era derivato un netto rifiuto delle strategie esplicative dfr Braudel. A Grendi il concetto di eco-nomia-mondo appariva una sorta di espediente retorico motivato dalla razionalizzazione post-'fattuale, una geopolitica descrittiva dello scambio ineguale, come egli stesso ebbe efficacemente a scrivere, nonché una teologia della civilizzazione con finalità pedagogiche e politiche. All'opposto, calarsi nella dimensione "micro" appariva una scelta dettata dal bisogno di percepire i meccanismi concreti del cambiamento sociale e al tempo stesso di chiamare in causa le categorie antropologiche della storia economica, assumendole in un'ottica di storia sperimentale, il cui punto di attacco era l'aggregato più piccolo, la cellula-base del tessuto sociale da cui cogliere i nessi collettivi e le relazioni spaziali. Nelle parti degli infedeli di Joze Pirjevec Roberto Valle "DESPOTISMO BOSNESE" E "ANARCHIA PERFETTA" Le rivolte in Bosnia e in Erzegovina nelle corrispondenze della Propaganda Fide (1831-1878) pp. 318, € 16, Enicopli, Milano 2004 £6 Oh foreste antiche, oh ricche montagne, oh pianure feconde, piene di miseria, d'ozio, di sudiciume, d'ignoranza, di paura e di morte!". Così Niccolò Tommaseo, in un suo scritto poco noto, indirizzato nel 1840 ai popoli slavi, descriveva le condizioni in cui versava l'entroterra della sua Dalmazia, chiedendosi retoricamente: "Chi pensa, o Bosnia, o Erzegovina infelici, chi pensa ai vostri dolori? Come schiavo che in carcere profonda, appena vede il raggio del dì simile a crepuscolo notturno, e le grida di lui per le volte tenebrose si perdono, e non giungono all'orecchio dell'uomo; cosi né voi della colta Europa vedete la luce, e la colta Europa le vostre miserie non sente". Nel lamentare tale stato di cose lo scrittore di Sebenico aveva ragione in gran parte, ma non del tutto: perché, sebbene la Turchia europea fosse alla metà dell'Ottocento quasi sconosciuta in Occidente, c'era pur sempre, a Roma, chi ne seguiva con attenzione le vicende politiche, etniche e religiose, conservando nei propri archivi una ricca messe di testimonianze che Valle si è preso recentemente cura di raccogliere e sfruttare per la stesura di un volume dedicato alla Bosnia-Erzegovina dagli anni trenta agli anni ottanta del XIX secolo. A svolgere la suddetta opera di monitoraggio e raccolta di informazioni fu la Propaganda fide, la congregazione della Santa Sede istituita nel 1622 dal papa Gregorio XV per la diffusione della buona novella (cattolica) nelle terre dominate dagli "infedeli", e considerate pertanto terre di missione. Tale era dal punto di vista romano la Bosnia-Erzegovina, soggetta dalla seconda metà del Quattrocento al sultano, pur albergando sul proprio territorio, oltre a cristiani ortodossi, un consistente numero di cattolici, discendenti da coloro che, dopo la conquista, non s'erano convertiti all'islam. Di questo "gregge", rimasto fedele al papa e appartenente in prevalenza agli strati più bassi della popolazione, s'occupavano per antica tradizione i francescani, il cui ordine aveva un ruolo privilegiato nell'impero ottomano. Essi costituirono per secoli l'unico tenue legame fra la più occidentale delle province turche e l'Europa "colta", soprattutto l'Italia, assicurandosi appunto in « -KwKxunnmx grazia di tale ruolo un enorme prestigio fra la popolazione cattolica e, in parte, anche tra i signori feudali di fede musulmana. Nel periodo qui preso in esame, il mondo antico, che aveva per secoli cullato il vilayet bosniaco-er-zegovese in quel sonno letargico, così eloquentemente descritto da Ivo Andric nella sua Cronaca di Travnik, stava cadendo a pezzi. La crisi dell'impero ottomano, che si trascinava ormai da un secolo, e che all'inizio dell'Ottocento era stata sfruttata dai serbi e dai greci per organizzare (con successo) rivolte di carattere nazionale contro la Sublime Porta, cominciò a farsi sentire anche in Bosnia-Erzegovina. Essa assunse peraltro, all'inizio degli anni trenta, i caratteri di una ribellione conservatrice, organizzata dai signori locali contro i tentativi di riforma del sultano, per sfociare quarantanni più tardi in una jacquerie contadina - la più grande e violenta di tutto l'Ottocento europeo - il cui esito fu il passaggio della provincia sotto l'amministrazione austro-ungarica (la sovranità su di essa rimase però al sultano fino al 1908). Di questo così drammatico e tormentato periodo che vide la Bosnia-Erzegovina passare dall'oscurità denunciata dal Tommaseo sotto i riflettori della grande politica europea, i francescani e altri uomini di chiesa, corrispondenti della Propaganda fide, furono interpreti più o meno consapevoli, fedeli e perspicaci. Essi assistettero a un processo tumultuoso, durante il quale le differenze religiose tra i bosniaco-erzego-vesi - discendenti peraltro dalla stessa matrice slava - andavano acquistando connotazioni etniche, soprattutto per quanto concerne la popolazione cristiana: gli ortodossi cominciarono a sentirsi serbi, i cattolici croati. Ma oltre a questa diversificazione, che stava assumendo un'importanza trascendente la realtà locale, condizionata com'era dal conflitto au-stro-ungarico e russo per il dominio nei Balcani, altri dissapori covavano sotto le ceneri: in primis quelli che laceravano i francescani stessi, divisi in diversi partiti, ma anche quelli che opponevano i membri dell'ordine al vicario apostolico, impegnato, per volontà di Roma, a introdurre in Bosnia-Erzegovina una struttura ecclesiastica più consona ai tempi moderni. Questo groviglio di lotte, spesso ben poco edificanti, miranti a conservare o conquistare influenza e potere, s'inseriva in un quadro più ampio di sanguinosi rivolgimenti sociali, testimoniando la peculiare complessità della situazione bosniaco-erzegovese nel panorama politico europeo. Nonostante le grandi trasformazioni conosciute dal 1878 in poi, essa si è conservata fino ai nostri giorni: la tragedia da cui fu travolta nel periodo che va dallo sfacelo della Jugoslavia (1991) alla pace di Dayton (1995), e che minaccia tuttora la convivenza fra le sue tre etnie, ne è più che eloquente testimonianza. joze,pirjevec@zrs_kp.si J. Pirjevec insegna storia dei paesi slavi all'Università di Trieste