l'indice ■■dei libri delmeseBI Storia Servizi segreti e lavoro intellettuale La battaglia per le menti di Daniela Muraca Frances Stonor Saunders LA GUERRA FREDDA CULTURALE La Cia e il mondo delle lettere e delle arti ed. orig. 1999, trad. dall'inglese di Silvio Cahavarini, pp. 506, €21,50, Fazi, Roma 2004 £ £ /^hìi paga il pifferaio sta-vMbilisce la musica", recita un vecchio adagio britannico. Come a dire: le decisioni spettano a chi si fa carico delle spese. Il lettore che abbia la possibilità di procurarsi l'edizione originale di questo importante libro di Frances Stonor Saunders si vedrà porre fin dal titolo un pressante quesito: Wbo Paid the Piperì Chi "pagò il pifferaio" della guerra fredda culturale? La campagna condotta dagli Stati Uniti negli anni cinquanta e sessanta per inserirsi nelle dinamiche della vita intellettuale europea ebbe origine dalla consapevolezza di un forte ritardo in questo campo rispetto al blocco sovietico, che aveva iniziato la propria offensiva sul fronte culturale fin dagli anni trenta. L'obiettivo primario di tale campagna era sottrarre gli intellettuali europei all'influenza del pensiero marxista-leninista e comunista, essenzialmente attraverso tre strategie: conquistare la fiducia della sinistra non comunista; contrastare il neutralismo delle posizioni "terzaforziste"; smentire i pregiudizi nei confronti della cultura americana, percepita unicamente come cultura di massa, consumistica e spersonalizzante. Uno dei principali attori di questa "battaglia per le menti" fu il Congresso per la libertà della cultura (Congress for Cultural Freedom), che dal 1950 al 1967 riunì fra i suoi aderenti alcuni fra i maggiori intellettuali d'Europa e d'America. Ne fecero parte scrittori, storici, filosofi (Koe-stler, Silone, Hook, Aron, Tre-vor-Roper), poeti e compositori (Milosz, Nicolas Nabokov), studiosi della società e scienziati (Michael Polanyi, Oppenhei-mer). Oltre a diverse personalità provenienti dal dissenso comunista (gli stessi Silone e Koestler, Borkenau, Lòwenthal, Pliever), vi erano pensatori liberali, antifascisti, esponenti della sinistra non comunista e del movimento federalista europeo (ad esempio Berlin, Chiaromonte, Rousset, de Rougemont, Spinelli). All'atto di fondazione, il Congresso poteva inoltre vantare fra i suoi presidenti onorari eminenti filosofi come Croce, Dewey, Jaspers, Maritain e Russell. Oltre a gestire una rete di associazioni nazionali, di periodici e di editori, estesa a quasi tutto il mondo, il Congresso promosse vaste iniziative culturali a favore degli intellettuali fuggiti dal blocco sovietico e organizzò, nel corso degli anni, alcuni prestigiosi simposi internazionali sulle arti, la musica e la scienza. La grandiosità di tali iniziative - veri e propri "eventi-vetrina" della produzione culturale euro-americana - alimentò sospetti sulle reali fonti di finanziamento dell'organizzazione, ufficialmente sostenuta da una compagine di associazioni e fondazioni private statunitensi. La verità fu resa nota soltanto nel 1967 e si abbatté sul Congresso come un maglio: un'inchiesta del "New York Times" rivelò che il Congresso per la Libertà della Cultura era un'istituzione creata, diretta e finanziata dalla Cia. Furono dunque i servizi di intelligence statunitensi a "pagare il pifferaio" della guerra fredda culturale in Europa. Il saggio della documentarista e scrittrice britannica Frances Stonor Saunders ricostruisce l'attività della divisione speciale della Cia incaricata delle operazioni psicologiche e culturali, il cui fine prioritario era "vincere la terza guerra mondiale senza doverla combattere". L'intera campagna di persuasione ruotava intorno al principio base secondo cui la forma più efficace di propaganda è quella in cui "il soggetto opera nella direzione richiesta per motivi che ritiene essere propri". Nel caso del Congresso, il catalizzatore della mobilitazione intellettuale era il concetto stesso di libertà della cultura: l'esistenza di una produzione culturale autonoma dal controllo politico veniva istituzionalizzata come una forza ideologica propria del mondo libero occidentale, in contrapposizione alla sterilità intellettuale del blocco sovietico, derivante dall'asservimento della cultura all'ideologia totalitaria. Tuttavia, nessun intellettuale che avesse abbracciato per intima convinzione la causa della libertà della cultura avrebbe mai accettato di condurre la propria battaglia sotto l'egida della Cia. L'intera operazione era dunque prigioniera di un paradosso: presupposto imprescindibile per la sua efficacia era l'assoluta negazione della sua esistenza. Fu dunque di primaria e vitale importanza il meticoloso occultamento della provenienza delle sovvenzioni alle attività del Congresso. La ricerca di Saunders documenta così i meccanismi di finanziamento maggiormente utilizzati dalla Cia: dal cosiddetto "passo triplo" (un tortuoso procedimento messo in opera per dissimulare la reale provenienza degli stipendi pagati a intellettuali e collaboratori) alla creazione di oltre centosettanta fondazioni private fittizie, involucri vuoti allestiti al solo fine di assicurare ai fondi dell'intelligence l'apparenza rispettabile del mecenatismo privato. Quali, fra gli intellettuali che contribuirono alle molteplici attività del Congresso, sapevano di collaborare a un programma di propaganda culturale orchestrato da II' intelligence americana? Il lettore interessato ad approfon- dire la questione troverà in questo libro molti elementi utili. Altri sono tuttavia gli interrogativi al centro della ricerca di Frances Stonor Saunders. In che misura il finanziamento da parte dei servizi segreti americani ha influito sulla libertà della produzione intellettuale di coloro che, scientemente o meno, vi aderirono? Fino a che punto l'intromissione della Cia nella vita culturale dell'Occidente ne ha alterato i normali processi di indagine intellettuale? L'influenza politica dei finanziatori americani sulle attività del Congresso si fece indubbiamente sentire ogni volta che si trattava di pubblicare contributi critici su tematiche relative agli Stati Uniti, come nel caso dell'esecuzione dei coniugi Rosenberg, la segregazione razziale o il maccartismo. La scelta da parte del\intelligence statunitense di promuovere (o, viceversa, di boicottare) determinati autori, o artisti, rispose inoltre a fattori di carattere ideologico assai più che alla valutazione della qualità intrinseca degli intellettuali. "Il governo - cita l'autrice da Jason Èpstein - sembra aver disposto di un treno clandestino privilegiato i cui vagoni di prima classe non erano sempre occupati da passeggeri di prima classe". Il libro di Saunders è eccezionalmente ben documentato. Oltre ad aver consultato tutti i princi- pali archivi privati dei protagonisti della guerra fredda culturale, l'autrice ha personalmente intervistato molti degli esponenti tuttora in vita del Congresso per la Libertà della Cultura e della Cia. Il saggio ha inoltre beneficiato in parte degli effetti del Freedom of Information Act, che ha reso possibile l'accesso ai fondi documentari dell'Fbi (non però della Cia, i cui archivi restano tuttora in gran parte inaccessibili). Alla ricchezza della documentazione utilizzata nel testo, l'edizione italiana aggiunge un'appendice contenente alcuni materiali relativi alla sezione italiana del Congresso per la Libertà della Cultura. Verbali di riunioni, prospetti finanziari, lettere scambiate con gli uffici del Congresso a Parigi e negli Stati Uniti permettono di focalizzare meglio alcuni aspetti della singolarità del caso italiano, solo fugacemente considerato nel corpo del libro. Formatasi nel 1951 per iniziativa di Silone - autentica figura di riferimento della sezione italiana - l'Associazione italiana per la libertà della cultura fu immediatamente considerata problematica dai vertici del Congresso: l'azione degli intellettuali italiani in difesa delle libertà di espressione, di coscienza e di pensiero era assai più chiaramente rivolta contro il neofascismo e l'oscurantismo cattolico che non in funzione an- ticomunista. Di ritorno da un viaggio a Roma, Nicolas Nabokov scrisse che i membri dell'affiliata italiana erano "intossicati dall'antifascismo", "imbevuti di ideologia crociana" e troppo inclini ad atteggiamenti "donchisciotteschi (...) bellicosi (...) arroganti" nei confronti della Chiesa. Oltre a ciò, gli esponenti dell' intelligence statunitense sembravano restii a confrontarsi con i sentimenti di antiamericanismo largamente diffusi fra gli intellettuali italiani: un aspetto della "specificità" italiana che preoccupò a lungo i vertici americani fu la tendenza a voler occultare l'affiliazione al Congresso. Se ne trova qualche dimostrazione lampante nei documenti pubblicati in appendice al libro. All'atto di fondazione di "Tempo Presente", nel 1956, Si-Ione e Chiaromonte furono irremovibili nel precisare che il periodico non avrebbe dovuto ufficialmente risultare "sotto gli auspici del Congresso". I membri statunitensi del comitato esecutivo non erano persuasi del fatto che una simile etichetta avrebbe potuto compromettere seriamente il valore della rivista all'interno del panorama culturale italiano. Silone e Chiaro-monte dovettero faticare non poco per convincerli. daniela .muraca@yahoo. it D. Muraca è dottoranda in studi politici europei ed euro-americani all'Università di Torino Se potessi essere una mosca di Ferdinando Fasce Joseph E. Stiglitz I RUGGENTI ANNI NOVANTA lo scandalo della finanza e il futuro dell'economia ed. orig. 2003, trad. dall'inglese di Daria Cavallini, pp. 333, € 16, Einaudi, Forino 2004 Il libro è una lucida ricostruzione critica dell'economia statunitense nel boom degli anni novanta. L'intento del libro è "stimolare gli americani a non ripetere gli errori del passato, ma anche (...) aiutare i non americani a capire che cosa è andato storto da noi e a evitare che le stesse cose possano succedere altrove". L'autore affonda impietosamente il bisturi nelle contraddizioni di quegli anni e mostra in che misura i semi della "distruzione" a venire - sintetizzati Simbolicamente nell'infausto caso della Enron, l'impresa dell'energia elettrica, vicina a Bush jr e al suo governo, portata ad esempio della crescita di fine secolo e poi naufragata nel mare di una clamorosa truffa - almeno in parte fossero stati gettati nell'età di Clinton. Com'è noto, l'autorevolezza di Stiglitz e l'importanza del suo contributo derivano non solo dal premio Nobel per l'economia, assegnatogli nel 2001 in virtù dei suoi studi sull'incidenza dell'asimmetria informativa nelle transazioni economiche, ma anche dal fatto che egli è stato nel consiglio dei consulenti economici del primo mandato di Clinton ed è poi diventato senior vice president e chief econo-mist alla Banca mondiale. In questo contesto Stiglitz argomenta soprattutto come ex collaboratore del presidente democratico. Con quell'esperienza lo stesso Stiglitz ha un rapporto di autocritica spietata, ma non liquida-toria. Vi si gettò, ricorda, dopo un quarto di secolo di ricerca a Stanford, per "vedere come andavano davvero le cose secondo il classico 'se potessi essere una mosca'" . Ma non rinnega il molto che ha imparato nella stanza dei bottoni e anzi si dice "profondamente fiero di ciò che hanno fatto il presidente Clinton e la sua amministrazione" per ovviare all'immenso deficit ricevuto in eredità dai governi repubblicani precedenti. Al tempo stesso, però, non solo ammette onestamente che il famoso successo nella riduzione del deficit poggiò anche su un paio di "errori fortunati". Soprattutto riconosce la subalternità che lui e i clintoniani ebbero (e che invero Nicholas Guyatt denunciò subito in Another American Century?, Pluto, 2000), rispetto ai due dogmi ereditati dall'egemonia ultraliberista di fine secolo: la "fede in mercati liberi da qualsiasi vincolo" e quella nella "crescita a buon mercato", basata sull'intreccio di "debiti esteri sempre più ingenti" e investimenti rapinosi in settori "deregolati" come le telecomunicazioni. Contemporaneamente, aggiunge, la riduzione del deficit pubblico si trasformò in un'ossessione, da esportare ovunque mediante il Fondo monetario e la Banca mondiale, col risultato che "nella politica economica internazionale degli anni novanta, l'America ha anticipato il fervore ideologico e l'unilateralismo dell'amministrazione successiva". Un'amministrazione, conclude Stiglitz, che, con le sue politiche fiscali, ha comunque esaltato le magagne dell'economia di mercato incontrollata, sollecitando oggi una nuova forma di economia globale".