Dieci anni italiani Un paese invertebrato di Francesco Tuccari Giovanni Sartori MALA TEMPORA pp. vm-w e 19, Laterza, Roma-Bari 2004 Mala tempora è un libro che abbiamo già letto a puntate nel corso degli ultimi dieci anni. Si tratta infatti di una raccolta di quasi duecento articoli apparsi sul "Corriere della sera", "l'Espresso" e "MifroMega" tra l'aprile del 1994 e il dicembre del 2003. Sartori discute e commenta, in tali articoli, i grandi problemi e le piccole miserie della politica italiana, con alcune significative incursioni nei territori ogni giorno più accidentati della politica mondiale, della pace e della guerra, dei rischi demografici ed ecologici che gravano sul futuro del pianeta. Riletti tutti d'un fiato, senza il rumore assordante della cronaca che li ha di volta in volta sollecitati, quegli articoli ridanno vita -come è detto nella prefazione - a un "pezzo strategico della nostra storia". Nello stesso tempo giustificano pienamente il titolo che li raccoglie. Vale dunque la pena di rileggerli. E di preoccuparsi. Conviene innanzitutto premettere che, a dispetto della sua sostanza, Mala tempora è un libro divertente, a tratti esilarante. Il latino maccheronico dilaga. E così i neologismi più arditi, tra i quali si devono almeno citare il superbo "pesce-barileg-gia" (voce del verbo "pesce-ba-rileggiare", riferito alla condotta del governo Prodi di fronte alla tragicommedia delle elezioni padane del 26 ottobre 1997) e il caustico "ciecopacisti" (i "pacifisti incoscienti" alla Gino Strada). Lo sbeffeggio è continuo: dal Mattarellum che "riapre le case chiuse" (e cioè "fa casino") al "can-gatto" partorito dalla Bicamerale, fino all'irresistibile "collegio orbitante nello spazio", vale a dire alla "rappresentanza stratosferica" inventata da Mirko Tremaglia per il voto degli italiani all'estero. La fustigazione lessicale dei politici, di destra come di sinistra, è senza sosta. Ma con una evidente predilezione per Sua Emittenza Silvio Berlusconi: il "Cavalier Traballa", promosso poi a "Cavalier Giravolte" per le sue ondivaghe proposte in materia elettorale, nel suo piccolo (rispetto all'Altissimo) "uno e bino" in quanto presidente-Imprenditore, addirittura "trigamo" per i suoi "amorosi rapporti" con Bossi e Pannella. C'è da ridere, insomma. Tolte le "boccacce", tuttavia, la lettura di Mala tempora non diverte affatto. Si leggano, ad esempio, gli ultimi tre articoli del volume. Vi si ritrova la tesi neo-malthusiana che Sartori (insieme a Gianni Mazzoleni) ave- va già formulato in La Terra scoppia. Sovrappopolazione e sviluppo (pp. 236, € 16, Rizzoli, Milano 2003): e cioè che la crescita della popolazione mondiale - la quale a sua volta produce consumismo e tecnologia inquinanti e quindi devastanti effetti climatici, nonché una crescente mancanza di acqua e di cibo -sta ormai minacciando la sopravvivenza stessa del pianeta. Con il risultato, confermato da molti autorevoli esperti, che "c'è solo una probabilità su due che la razza umana arrivi al prossimo secolo". Non sono meno inquietanti gli articoli dedicati al tema della pace e della guerra. In essi - con tutto il repertorio degli argomenti che fanno infuriare i "ciecopacisti", compresa una difesa della Fallaci dai suoi critici e una spiegazione-giustificazione delle ragioni della "guerra preventiva" - viene infatti annunciata una stagione di nuovi conflitti al tempo stesso terroristici, globali, tecnologici e religiosi. Conflitti che, in un crescendo spaventoso di disumanizzazione, "minacciano di sterminio" In primo piano un Occidente sempre più vulnerabile, il quale, al di là dei suoi innegabili errori, ha comunque il diritto di difendersi. Mala tempora, appunto. E tuttavia l'Italia degli ultimi dieci anni la protagonista indiscussa del libro di Sartori. Il ritratto che ne emerge è quello di un paese "invertebrato" (il riferimento è a Ortega y Gasset). Dominato, a destra come a sinistra, da una classe politica incompetente, affetta da un inguaribile "stupidismo" e decisa ad autoriprodursi a ogni costo. Privo soprattutto di quegli "anticorpi" (il riferimento è a Sylos Labini) che permettono di reagire alle "enormità", ai soprusi e agli abusi di potere. Sono due, nel complesso, i grandi temi che danno forma e sostanza a questo deprimente e nel contempo allarmante ritratto. Il primo è il fallimento ormai decennale di qualsiasi ragionevole ipotesi di "ingegneria costituzionale" in grado di riparare i guasti di un sistema politico ad alta frammentazione che, dal 1994 a oggi, non è stato ancora in grado di assicurare la "governabilità" del paese. E che anzi, sin dai tempi della Bicamerale, in uno spettacolare trionfo dell'incompetenza e delle piccole furbizie (ancora una volta: a destra come a sinistra), si è avviato sulla china di un'insensata e assai pericolosa riforma dello stato e della forma di governo, culmi- nata da ultimo nel disegno di legge di riforma costituzionale presentato dal governo Berlusconi al Parlamento nell'ottobre del 2003. Un disegno fondato, tra le altre cose, sulla formula del cosiddetto "premierato elettivo" all'israeliana (proposto originariamente da D'Alema in Bicamerale), che si è rivelato fallimentare nello stesso Israele ed è stato ripudiato in quel paese dopo tre elezioni. Il secondo tema è la crisi sempre più profonda dei meccanismi e degli stessi presupposti dello stato di diritto prodotta dalla micidiale concentrazione di poteri politici, economici e soprattutto mediatici nelle mani dell'attuale capo del governo, per nulla scalfita dall'insipienza e dai tatticismi del centrosinistra al governo e poi dalla farsa della "Frasparri" (il conio è di Giovanni Valentini), dal combinato disposto della legge Frattini sul conflitto di interessi e della legge Gasparri sul riassetto del sistema radiotelevisivo. Si tratta, scrive Sartori, di uno "strapotere anomalo" senza precedenti "nella storia di tutte le democrazie" che, attraverso il monopolio delle televisioni, va a incidere in modo strutturale sulle dinamiche di formazione della pubblica opinione. Il risultato è un irresistibile "dispotismo elet-tivo-mediatico" che viola "l'essenza stessa della democrazia come sistema pluralista e di pluralismo competitivo", una nuova e inedita "tirannide della Superbo lavoro, presidente! di Gianni Vattimo Credo che nemmeno il titolo del libro di Sartori, Mala tempora, abbia per lui un senso fatalista. Noi che ci impegniamo nella battaglia elettorale per le prossime elezioni europee e, più in là, per le elezioni politiche nazionali, siamo fondamentalmente convinti che i tempora mala possano ancora essere corretti, anche solo di poco, almeno in modo da non farci vergognare della nostra cittadinanza, italiana ed europea. Mai come oggi, però, il nostro motto può essere solo quello famoso sul pessimismo della ragione e l'ottimismo della volontà. Se non ci fosse una buona dose di quest'ultimo, la disperazione sarebbe il solo vero modo ragionevole di guardare alle cose. La maggioranza di destra che ci governa continua il suo sistematico lavoro di smantellamento della Costituzione repubblicana, nella quasi completa indifferenza di un'opinione pubblica narcotizzata dalle televisioni, pubbliche e private, di obbedienza berlusconiana, così come di una stampa quasi totalmente asservita - il cavaliere la comanda, anche quando non ne è proprietario, attraverso il ricatto della pubblicità. Gli Stati Uniti (di cui siamo ormai il più fedele alleato in Europa, come si vanta Berlusconi) insieme alla Gran Bretagna del "laburista" Blair continuano la loro, e nostra purtroppo, occupazione dell'Iraq. Che, dopo la scoperta delle torture (sistematiche, richieste dai comandi), appare sempre più solo l'inizio della guerra "infinita" che Bush aveva previsto e voluto. Solo un pazzo può credere che dopo la scoperta di queste atrocità gli Stati Uniti siano ancora un credibile agente di pacificazione e "democratizzazione" dell'Iraq. Non ci sarà pace in quella regione fino a che le truppe americane non se ne saranno andate e fino a che una qualche nuova Norimberga non abbia lavato le colpe dei torturatori, piccoli e grandi, che hanno finora agito impuniti ("Superbo lavoro, caro Rumsfeld" - lo ha detto Bush il 10 maggio). Da dove può cominciare, in queste condizioni, il mutamento dei mala tempora? Prima di rassegnarci a scegliere, come unica alternativa, un atteggiamento di monastico ritiro da ogni contatto con il mondo della guerra - militare, ma anche economica, quello della concorrenza a tutti i costi, delle ristrutturazioni industriali, della finanza d'assalto - possiamo tentare ancora tentare di far funzionare quell'arrugginito marchingegno che sono la democrazia e le elezioni. Queste ultime sempre più vilipese - arriveremo ai "ludi cartacei" di mussoliniana memoria? -perché, come ha scritto Giuliano Ferrara, producono il "disgustoso" fenomeno della strumentalizzazione a scopo elettorale delle torture e delle vittime in Iraq. Come se non fosse proprio su questo che si giudica una classe dirigente, e proprio il rispetto per le vittime delle violenze non imponesse di cacciare via con tutti i mezzi leciti i governanti che fanno accadere queste cose e poi le nascondono fino a che gli è possibile (proprio in questi giorni, la vedova di un carabiniere caduto a Nassyriah rivela che suo marito sapeva delle torture e le aveva anche denunciate ai superiori. Ovviamente senza nessun esito). Prima di ritirarci in una ideale Waco (la comunità "isolazionista" texana, del resto sterminata, con donne e bambini, dall'Fbi), possiamo ancora provare a cacciare questi banditi, e assassini e complici di assassini, con il voto europeo. Che, vogliamo ricordarlo, essendo fatto con regole proporzionali, può anche essere una buona occasione per far valere - contro la sinistra "triciclica" più o meno di regime, sempre meno distinguibile dalla destra trionfante - l'esigenza di una politica, interna ed europea, fedele agli ideali più autentici della "vecchia Europa", cristiana, democratica, solidale - in una parola: socialista. maggioranza" che tutti i liberali del mondo degli ultimi due secoli - fatta eccezione per quelli di nuovissima e stranissima generazione residenti nella Casa delle libertà - hanno sempre considerato come uno dei rischi peggiori delle moderne democrazie. Di fronte alle perversioni dell'ingegneria costituzionale all'italiana, l'autore di Mala tempora - che è anche, sia ricordato per inciso, uno scienziato politico di fama internazionale, nonché l'autore del pluritradotto e del pluristudiato Ingegneria costituzionale comparata, uscito originariamente da Macmillan nel 1994, quindi dal Mulino nel 1995 e giunto da poco alla sua quinta edizione italiana con una appendice intitolata Verso una costituzione incostituzionale (pp. 239, € 14, il Mulino, Bologna 2004) - si arma ancora di santa pazienza. Spiegandoci e rispiegandoci, ex cathedra, che il primo e vero problema del bipolarismo balcanizzato italiano è il Mattarellum; che l'abolizione della quota proporzionale voluta dai fanatici del maggioritario non risolverebbe, ma anzi aggraverebbe la frammentazione partitica conferendo maggior forza ai "partitini-ricatto"; e che per ridurre a quattro-cinque il numero dei partiti sarebbe invece necessario introdurre il maggioritario a doppio turno. Ricordandoci che le democrazie funzionano in ragione non della mera "stabilità" dei governi, bensì della "governabilità" del paese, la quale, in mancanza di meglio, può e deve essere assicurata da "maggioranze variabili". Dimostrandoci che il premierato all'israeliana altro non è che un sasso gettato in un motore, che tra l'altro indebolisce i poteri di garanzia del capo dello stato. E ribadendo in tutti modi possibili che il modello più adatto a sciogliere le turbolenze della transizione italiana è quello della Quinta repubblica francese: maggioritario a doppio turno e semipresidenzialismo. Anche di fronte alla crisi della democrazia pluralista e dello stato di diritto - al centro di un'intera vita di studi fin dai tempi di Democrazia e definizioni (1957) - Sartori spiega e rispiega, analizza e controanaliz-za, ricostruisce e decostruisce. In questo caso, tuttavia, sono in questione principi non negoziabili. E le parole diventano - giustamente - pesanti: "democrazia in bilico", "addio al pluralismo", "regime", "democrazia formale rispettata in tutte le sue forme, ma tradita nella sua sostanza". Da qui i ripetuti appelli all'unico potere non ancora travolto dal "dispotismo eletti-vo-mediatico" del sovrano assoluto dei media italiani, quello del capo dello stato. E da qui, infine, lo sconsolatissimo e al-larmatissimo "mala tempora" che suggella l'ultimo articolo (in ordine cronologico) del libro, datato 11 dicembre 2003 e intitolato per l'appunto La Gasparri è passata. Mala tempora currunt. ■ francesco.tuccari@unito.it F. Tuccari insegna storia delle dottrine politiche all'Università di Torino