□ N. 6 |dei libri del mese! 12 Antologie generazionali e tematiche Quale spazio ha l'invenzione di Andrea Cortellessa LA QUALITA DELL'ARIA Storie di questo tempo a cura di Nicola Lagioia e Christian Raimo con Aloia, Cognetti, Covacich, Falcinelli e Poggi, Lagioia, Meacci, Murri, Pacifico, Parrella, Pascale, Pedullà, Pica Ciarnam, Pincio, Piva, Pugno, Raimo, Stancanelli, Tedoldi, Trevi, pp. 366, € 13, minimum fax, Roma 2004 ITALVILLE Nuovi narratori italiani sul paese che cambia a cura di Mario Desiati e Lorenzo Pavolini con Santi, Domanin, Gozzi, Mantello, Bregola, Signorini, Archetti, Pacifico, Ventroni, Parrella, Clarkson, Zamhetta, Minervino, Amhrosecchio, pp. 43-207 di "Nuovi argomenti", n. 25, € 10, Mondadori, Milano 2004 Per almeno due motivi spiccano queste, fra le sette (otto, nove, ho perso il conto) antologie di racconti italiani uscite negli ultimi mesi. Primo: il "taglio" generazionale, fra il 1964 (Pincio e Trevi) e 0 1981 (Gozzi). Secondo: il "taglio" tematico. A campionare le rispettive prefazioni, parrebbero due tomi dello stesso libro: "raccontare il mondo che ci circonda", "dar conto dei segni che questi anni ci stavano lasciando", "il confronto dello scrittore con la realtà circostante", "il nostro tempo sulla nostra pelle". Le sfumature di stile, però, contano. I due curatori di minimum fax abbondano di corsivi espressivi, metafore, iperboli; i due di "Nuovi Argomenti" si vogliono asciutti, severi, lapidari. I due di minimum si rappresentano, si sceneggiano, si virgolettano; i due di N.A. si firmano con le iniziali, non vorrebbero neppure esserci (di fatto, evitano di au-toantologizzarsi). Le due copertine: N.A. incornicia di bodoni un'Italia turrita che si guarda perplessa le vesti tricolori (o le agita, come muleta, a un toro invisibile); minimum schizza parole in arial, abolisce le maiuscole, esibisce un gigantesco maiale sul congestionato paesaggio urbano (il furbesco logo dell'operazione è preso dalla graphic story di Poggi & Falcinelli). I colori: minimum in vermiglione, retinato arancio, azzurro squillante; N.A. www.lindice.com ...aria nuova nel mondo dei libri ! un'uniforme scialbatura bruna, da facciata umbertina restaurata di fresco. Entrambe le squadre (due elementi in comune, Parrella e Pacifico) si stringono, come le nazionali di Bearzot, attorno a un "blocco" coeso. Se quelli di Meridiano zero i (deludenti) Intemperanti (per le antologie a venire: vietati i titoli con sostantivato plurale) se li sono fatti in casa, Italville saccheggia un altro editore giovane, Pequod, che ha fatto cose buone e ottime (come il promettente esòrdio di Desiati, Neppure quando è notte, e quello scintillante di Santi, Diario di bordo della rosa)-, minimum, più family che factory, presenta quasi un'antologia di collana (Parrella, Aloia, Pica Ciamarra, Raimo, Lagioia, Pacifico), con tanto di trailers delle prossime uscite (Cognetti, Meacci). Entrambi sono punteggiati di fotografie (Pedullà in minimum, Bregola e Ventroni in N.A.). Come dice uno dei curatori, un bel po' di gente s'è "inse-baldata" di brutto. Touché. Tutte e due hanno un titolo eloquente. Se il timore era il generico (secondo avviso ai titolisti: bando al sostantivo "patria", singolare o plurale), è un timore Narratori italiani fugato. Italville parafrasa (come, al suo interno, Mantello e Bregola) quello di un film che sedimenterà a lungo nelle nostre coscienze, Dogville di Lars Von Trier. La qualità dell'aria fa invece pensare all'apologo con cui Gore Vidal ha intitolato la sua raccolta di saggi letterari, Il canarino e la miniera (Fazi, 2003): i minatori che scendevano in certi anfratti a rischio di gas portavano con sé una gabbietta con l'uccellino; quando sveniva, si affrettavano a risalire. Lo scrittore è il canarino. Sara Ventroni, poetessa di sicuro interesse qui all'esordio narrativo, usa la stessa metafora (insieme a quelle di un altro poeta, Flavio Santi, sono le sue le migliori pagine di Italville)-. in una misteriosa archeologia industriale laziale ci sono "buchi dentro la terra che non possono più essere tappati", dove si condensano gas naturali e artificiali in micidiale mistura. Il luogo come immagine dialetti-ca-, vi si stratificano epoche ed eventi, "fatti epici e corali"; la scrittura - materica e tattile, burrianamente crettata - escava un passato rimosso, preterito, che a nessuno interessa rivivere. Nessuno tranne lo scrittore: più minatore che canarino, allora. Anche Gabriele Pedullà capisce benissimo la funzione delle immagini in Austerlitz e negli altri capolavori di W.G. Sebald: fare di un luogo (nel suo caso, a Mosca, la casa modernista dell'architetto Melnikov, ridotto all'inattività dal regime staliniano) Prima le donne una "lanterna magica" che dal passato illumina il presente (e viceversa). Certo, il suo non è un racconto. Specie il libro di minimum fax prende atto dell'indi-stinzione di generi della migliore prosa contemporanea: sono saggi quello (elegante) di Emanuele Trevi (sulla Roma di Gadda, Pasolini e Parise) e quello (spiacevole) di Valeria Parrella in Italville (sulla Napoli di Bassolino, Fofi e Martone); sono reportage quelli di Santi (da Gorizia), Pedullà e Ventroni, quelli di Stancanelli (una vera e propria inchiesta) e Covacich (innecessaria alternate take di A perdifiato). Ma persino Pincio, pasdaran delle "storie", propone una mistione di tranche autobiografica, excursus storico-didattico e pura invenzione lisergica. Poi ci sono pezzi di bravura (Lagioia, Tedoldi) che sono, piuttosto, monologhi di performer. Beninteso molto meglio dello schiacciarsi sull'immediato presente di certi "pezzi facili", ancorché "narrativi", come quelli di Gozzi, Pascale, Murri o Domanin. Legittimo chiedersi, tuttavia, quale spazio resti alinvenzione. La sola che potrebbe davvero rendere la qualità dell'aria. Era un maestro sul quale è dato opinare che non tutti gli antologizzati abbiano perso le loro notti, il giovane Edoardo Sanguineti di Laborintus, a citare Foscolo: "noi che riceviamo la qualità dai tempi". Era realismo, sì: quell'esplo- di Lidia De Federicis Edda Melon SALVA CON NOME Duras, Genet, Gautier, Cixous, Lispector, Artaud, Thomas pp. 179, €8,50, Trauben, Torino 2004 Edda Melon rielabora i testi dei suoi interventi svolti qua e là negli ultimi quindici anni. Vi aggiunge alcuni scritti sparsi, li arricchisce con una poco nota intervista del 1988 a Marguerite Duras. Infine nella breve premessa, con tocco arguto che ci lascia desiderosi di saperne di più, addita un tema unitario, il filo conduttore da lei ritrovato. Si tratta infatti di una raccolta occasionale, che delle occasioni fa emergere anzi la difformità e casualità, da una conferenza a una lezione, da un convegno a una prefazione, da Udine a Chivasso o a Parigi; e, specialmente, dall'oralità alla scrittura mediata, a distanza d'anni, dal computer. Il primo effetto è di darci dell'attività letteraria un'idea più laica, che ne salva il carattere specifico senza nasconderne però la laboriosa fabbrica critica e didattica e la mappa sociale, di cerchie e relazioni, in cui s'è collocata. La pluralità dei destinatari moltiplica le voci, attraversa i comparti disciplinari. Anche chi s'occupa di narrativa italiana incontra eventuali percorsi e sfruttabili allacciamenti: con Elsa Morante a proposito dell'erotismo in letteratura (p. 64), con Elio e Ginetta Vittorini nelle discussioni parigine (p. 106), con Marisa Madieri su "storie dell'infanzia e dell'altrove" (p. 151). La letteratura in questo volume appare piena di teatro, di cinema. Di nomi. Melon (vedi premessa) ha infatti una linea interpretativa, vuole dirci qual è stato il suo interesse principale. Propone appunto l'enigma del nome, che ha agito su di lei come via d'accesso alla complessità letteraria. L'indagine sul nome accomuna l'esperienza (personale) del ricercare (in sé) alla materia dei suoi saggi, dove sempre compaiono ricerche di nomi, e piccole storie di nomi nascosti. Abbiamo qui un riscontro con una forma tipica della simbologia femminista, e a evocarla basta un titolo della vecchia Tartaruga, Le lettere del mio nome di Grazia Livi (Premio Viareggio 1991). La proposta di Edda, per spiegare e giustificare la raccolta, è dunque assai significativa, identitaria. Ulteriori suggestioni possono venire da Marguerite Duras, che con nove pezzi su di lei incentrati è la protagonista intellettuale; dalla sua ricchezza autoriflessiva, da domande e asserzioni sempre radicali: come "devo riuscire a riunire questi tre testi". Perché capita che sia così cogente la volontà di riunire? O è la volontà di sapere qualcosa di sé? C'è al fondo (mi pare) un bisogno di mettersi alla prova, che vale anche per Edda Melon (e per chiunque corra altrettanto il rischio di spendersi in una scrittura generosa e di servizio). Chi riesce a riunire le disperse occasioni, ha di sé maggior certezza, può riconoscersi in una propria voce. Dunque ci sono almeno tre aspetti che concorrono nell'immagine riflessa da questa raccolta: il fare, il nome, l'ambizione di una ricomposta soggettività. Eppure è una raccolta semplice (a prima vista). R in veste povera, con una paginetta di premessa, niente foto né elenchi né ringraziamenti. Felicemente scarso, contro ogni moda, l'apparato paratestuale. Ma in apertura ci sono bei versi di Vivian Lamarque, e il conclusivo dice: "sarà così sarà così lasciare la vita?". sione di archetipi rutilanti, quella devastata e fermentante plaga linguistica. Ma che anziché fagocitare oggetti, forme e colori, captava l'impalpabile e incontor-nabile e indefinibile che sono i tempi. Caria, appunto: che non ha forme né colori. Per riuscirci non serve fotografarla, cioè riprodurre l'esistente. Bisogna "inventare" situazioni, drammi, immagini. Ci riuscirebbe Raimo, con la sua abilità a inscenare drammaturgie etiche: se mettesse a freno la sua coazione al divagare, allo svagare (col rischio di svaccare). Ci provano Paolo Cognetti (una scoperta) ed Ernesto Aloia, che hanno la duttilità linguistica e i depositi d'amarezza necessari (Aloia, persino tormentoso, intitola il suo racconto proprio La situazione). Ci prova Laura Pugno (a costo, però, di diluire troppo le atmosfere di Sleepivalking). Ma a riuscirci davvero sono Valeria Parrella, Giordano Meacci e Leonardo Pica Ciamarra. Tre scrittori autentici, fra loro quanto mai diversi. Il racconto di Parrella, Verissimo, con mezzi elementari produce un'elettricità, un accrescimento di vitalità straordinari. Grazie a un'immagine, appunto: quella in clausola. Meacci e Pica Ciamarra, poi, sono due autentici virtuosi. Ma lavorano in modo opposto. Quanto il primo è danzante, zigzagante, cesellato, il secondo è lineare, strutturale, severo. Meacci lascia a bocca aperta col flash finale (come in certi Queneau: quando capisci che non hai capito niente e ti tocca rileggere tutto, per concludere che qualcosa comunque ti sfuggirà sempre), Pica Ciamarra scava cornici sempre più ampie attorno a un'immagine già data. Rispetto al formidabile esordio di Ad avere occhi per vedere, stilisticamente è quasi un altro: la sua scrittura s'è alleggerita senza perdere un grammo di personalità, scandita dagli scatti delle telecamere che seguono i movimenti dei viaggiatori All'aeroporto di Gatwick. Il suo narratore mutua da Ad avere... il disgusto immedicabile col quale osserva la condizione umana: sotto forma di un appiccicoso compagno di scuola, come lui imprigionato nell'aerostazione da imprecisati "motivi di sicurezza", che gli racconta la sua disavventura. La scena primaria (scopre la figlia quattordicenne che fa l'amore con un tipo; a lungo se ne riempie gli occhi, finché è sua moglie che scopre lui) si scava sempre più a fondo nella mente di chi ascolta e narra (e di noi che leggiamo). Mentre il microclima surriscaldato dell'aerostazione lo fa sudare a dirotto. Mentre si aggirano nervosi gli addetti alla sicurezza coi cani lupo. Ecco una situazione-, dove la disastrosa ossessione per il controllo salda individuali coscienze infelici alla qualità dell'aria nell'infelice Occidente trincerato. Ma ecco soprattutto una scrittu-ra: che di questa situazione, come il sudore malsano che impregna gli abiti, non è semplicemente un effetto - bensì la sostanza stessa. ■ cortellessa@mclink.it A. Cortellessa è dottore in italianistica all'Università "La Sapienza" di Roma