Politica Secondo solo a De Gaulle Dio e il destino manifesto di Giovanni Borgognone di Patrizia Dogliani Marco Gervasoni FRANCOIS MITTERRAND Una biografia politica e intellettuale pp. XV1I-246, €22, Einaudi, Torino 2007 Il libro costituisce un'eccezione nel panorama editoriale italiano, assai poco interessato da molto tempo alla politica della Francia contemporanea. Gervasoni, tra l'altro, è stato tra i pochi a dedicarsi recentemente alla stesura di una sintesi di storia della Francia novecentesca (Unicopli, 2003). È probabilmente partendo da questa esperienza, arricchita dalla conoscenza della tradizione politica della sinistra francese, che risale ai primi studi su Sorel, che Gervasoni si è cimentato in una sintesi non facile. Il panorama editoriale francese era stato iper-produttivo in occasione del decennale della morte di Mitterrand, avvenuta l'8 gennaio 1996, quando l'uomo politico francese tra i più importanti del Novecento, forse secondo solo a De Gaulle, si spense, poco dopo aver terminato il secondo settennato presidenziale, non ancora ottantenne. La maggior parte degli scritti sull'uomo e sull'era Mitterrand è stata però opera di collaboratori del presidente e di giornalisti, che nulla hanno risparmiato alle sfaccettature della sua vita pubblica e privata. Pochi invece gli storici che si sono cimentati in un bilancio politico o in una completa biografia. Il lavoro di Gervasoni colma quindi non solo una lacuna nel panorama italiano ma arricchisce anche, in termini seri, quello francese. E inoltre giunge in libreria dopo l'elezione alla presidenza di Sarkozy, consentendoci di capire meglio il presente ruolo e potere della presidenza, sulla base anche del distacco politico, culturale, strategico, generazionale, e anche rituale, rispetto alla carica rivestita da un altro presidente roi soleil con forte protagonismo e dirigismo quale fu Mitterrand. Occorre innanzitutto avvertire chi volesse ripercorrere i molti volti di Mitterrand, o approfondire il "culto della personalità" attentamente perseguito dal presidente, che questo non è il libro più adatto a tali scopi. L'accusa di ambiguità, o addirittura di collaborazionismo con Vi-chy da parte del giovane Mitterrand, accusa che tormentò gli ultimi suoi anni, è superata nel capitolo iniziale dedicato alla giovinezza. L'autore si sofferma maggiormente sul socialismo mitterran-diano, sulla capacità di un uomo cresciuto in altra tradizione politica, e familiare, di trasformare, dal congresso di Epinay del 1971 in poi, il partito socialista in una forza in grado di costruire nuove alleanze, di conquistare con una "lunga marcia" nel 1981 la presidenza della repubblica, di determinare con questa presidenza le scelte europee per almeno un quindicennio. Un uomo nel contempo capace di legittimare il partito attingendo alla linfa ancora vitale della tradizione laica e universalista, della Rivoluzione francese, dei diritti umani, della Comune e di Jaurès. Anche l'ultimo capitolo potrebbe essere letto con uno sguardo al presente e alla difficile ricerca di identità del Psf dopo la sconfitta del maggio 2007. Indaga infatti non solo il declino fisico del presidente, ma anche quello politico e morale del socialismo francese, così come una Francia cambiata e l'assenza di un vero delfino. Dopo Mitterrand, infatti, nessuno dei dirigenti, né Delors, né Jospin, né Rocard, riuscì più a unire i socialisti; da qui le faide intestine che ancora devastano il partito. Canne al vento di Paolo Soddu Manlio Graziano ITALIA SENZA NAZIONE? Geopolitica di un'identità difficile pp. XV-319, € 18, Donzelli, Roma 2007 Non inganni il punto interrogativo del titolo. Per Graziano il destino dell'Italia unitaria si riassume nell'assenza della dimensione nazionale: le diverse parti del paese, che in seguito a fortuiti accidenti internazionali diedero vita a quel complesso chiamato Italia, erano solo Canne al vento, come avrebbe detto la sarda Deledda, destinate a essere scosse e piegate, nella loro condizione di peccato originale, da tutte le tempeste che ne avrebbero accompagnato l'esistenza. Destinato al pubblico francese (è stato prima pubblicato in Francia nel febbraio 2007), il libro parrebbe consolidare una serie di pregiudizi e luoghi comuni storiografici su una nazione indubbiamente difficile. Il triestino Umberto Saba in Scorciatoie e rac-contini, pubblicati nel 1945 nel settimanale del Pd'A "La Nuova Europa", sosteneva che a quel tempo l'età effettiva dell'umanità era di sei anni e corrispondeva a quella fase dell'esistenza in cui il bambino per la prima volta si stacca dalle gonnelle della mamma per immergersi nella dimensione sociale con i compagni di scuola e il maestro. Parlava dell'umanità il poeta, ma pensava a quella più prossima, l'italiana, che un uomo di frontiera come lui sapeva comprendere e amare. In questo libro di Graziano, invece, l'Italia non esiste, così come il Risorgimento (e in particolare le sue componenti democratiche) e la Resistenza, i cui miti positivi sono semplicemente rovesciati in miti negativi, affabulazioni consolatorie, privi di effettività storica. Sicché l'Italia, lungi dall'essere un bambino, o un adolescente, è un non nato. Anzi, parrebbe essere quell'aborto mostruoso a lungo conservato dei Viceré del siciliano Federico De Roberto. L'Italia pare quindi un'accozzaglia priva di centro, fortuitamente costruita dalle circostanze della politica internazionale e attraversata, nella sua non esistenza, da una dipendenza assoluta, ossia da un vincolo esterno che ne ha contrassegnato la non vita. Effettivamente, il nesso internazionale e nazionale è stato assai più stringente per il nostro paese che per altre realtà europee, ma proprio in ragione di ciò un simile decisivo aspetto avrebbe meritato una maggiore riflessione e argomentazione. E in- iijfMiUi&ika* ITALIA SENZA NAZIONE? Manlio Graziano ) Kevin Phillips LA TEOCRAZIA AMERICANA i pericoli e gli orientamenti politici connessi a radicalismo religioso, petrolio e indebitamento nel XXI secolo ed. orig. 2006, trad. dall'inglese di Stefania Cerchi, pp. 606, €26, Garzanti, Milano 2007 dubbio che le svolte internazionali abbiano avuto, dalle origini alla fine del comunismo, un impatto devastante sugli equilibri politici e sulle stesse forme di governo, e tuttavia, dopo il 1989, la morte ha colpito i soggetti costituenti, non le istituzioni sorte dopo la dittatura e il travaglio del 1943-1945. E il conflitto fra il trasformismo come costante nazionale e il suo superamento non ha radici solo nel particolarismo, così come non può essere sottovalutato il fatto che tra approdo trasformista e ricerca di alternative solide si è ingaggiata un'autentica battaglia lungo tutto il percorso unitario. Il solo destino della Repubblica italiana parrebbe di trasformarsi in uno stato pontificio allargato, con le gerarchie cattoliche rese più astute dall'accidente storico e deleganti alle cure dei laici il difficile contingente particolare per occuparsi della sostanza dell'universale. E così l'Italia moderna, con il travaglio e il faticoso pluralismo delle culture politiche -liberale, democratica, socialista, fascista, cattolica e comunista -, altro non sarebbe che parentesi di una non nazione illusasi per oltre un secolo di esserlo. ■ C . • x p_j soddu@tin.it P. Soddu insegna storia contemporanea all'Università di Cremona Tra il XIX e il XX secolo furono ricorrenti negli Stati Uniti gli attacchi rivolti contro i cattolici, sospettati di non poter essere buoni americani a causa del loro "papismo". Dal cattolicesimo, in altre parole, si temeva potesse derivare una "teocrazia" diretta dal Vaticano. Tale fobia fu ancora tra gli argomenti preferiti dalla destra nativista e fondamentalista al tempo della sua polemica contro J. F. Kennedy, cattolico di origine irlandese. Più di recente, però, la prospettiva si è capovolta: ora sono in molti a ravvisare un pericolo teocratico proprio nel protestantesimo di stampo conservatore da cui, per mezzo secolo, erano partite le crociate anticattoliche. All'interno di questo nuovo dibattito si pone anche l'ultimo lavoro di Kevin Phillips, stratega di lungo corso del Partito repubblicano e oggi uno dei più noti commentatori politici d'oltreoceano. A connotare più specificamente l'analisi di Phillips è il tentativo di mettere a fuoco le connessioni che si possono stabilire tra l'ascesa politica del fondamentalismo religioso e alcuni importanti fattori dell'odierna situazione economica americana, quali la questione petrolifera e la crescita del debito. Il partito di Lincoln, secondo molti osservatori di schieramento opposto, ma anche nella percezione di autorevoli esponenti repubblicani, è diventato un "partito teocratico". In effetti sono frequenti le richieste di matrice protestante-fondamentalista nelle convention del Grand Old Party: dall'introduzione nella Costituzione di emendamenti contro l'aborto e contro i diritti degli omosessuali al ritiro del paese dall'O-nu, organizzazione che secondo certi predicatori sarebbe dominata dall'Anticristo. È significativo, inoltre, che i sette principali leader della maggioranza repubblicana in Senato nel 2004, dal capogruppo Bill Frist al senatore della Virginia Geoige Alien, avessero innanzitutto ottenuto la piena approvazione della Coalizione cristiana, potente organizzazione della destra religiosa. Cosa è successo, dunque, al Partito repubblicano? Nel '64, osserva Phillips, il senatore ultraconservatore dell'Arizona Barry Goldwater riuscì a imporsi nel Gop quale candida- Kevin Phillips TEOCRAZIA AMERICANA to alla Casa Bianca, ma fu poi sconfitto perché l'aggressività dei suoi programmi di politica estera spaventò gli elettori. Tra il 2000 e il 2004, invece, quello stesso elettorato a cui si era rivolto è stato conquistato dalla retorica fondamentalista. Il Partito repubblicano si è così trasformato, adottando una linea meridionalista e religiosa; non a caso, infatti, oggi risulta più debole negli stati con una numerosa presenza cattolica e in quelli in cui prevale la corrente evangelica "centrale" (episcopaliani, presbiteriani, congre-gazionalisti e metodisti). Una grande coalizione politica come il Gop, dunque, è finita nelle mani di "confessioni marginali". "Gruppi che rappresentano solo da un quarto a un terzo della popolazione americana, ma che sanno mobilitarsi in massa per raggiungere i loro obiettivi". I fondamentalisti, e qui giungiamo a un punto centrale nell'analisi di Phillips, polarizzano il dibattito pubblico primariamente su questioni teologiche e religiose; non si occupano molto, invece, di politica economica, e pertanto "l'agenda politica dei settori industriale e finanziario non solo è libera di imporsi, ma non incontra più freni né limiti di alcun genere". Gli interessi petroliferi americani e la centralità del Medio-riente nelle tesi fondamentaliste sui destini della cristianità, peraltro, hanno realizzato una convergenza assai preziosa per la tenuta della coalizione repubblicana. Sennonché, l'autore avverte, "risorse naturali, fanatismo religioso, guerre e indebitamento nazionale sono tra le cause principali che hanno innescato il declino delle precedenti potenze economiche mondiali". In questi termini Phillips esprime, in fondo, la propria nostalgia per il vecchio Partito repubblicano, quello dell'età nixoniana (di cui era stato un attivo collaboratore). Non è certo il solo a richiamarsi al moderatismo del Gop prima della sua "meridiona-lizzazione": è oggi un argomento diffuso, soprattutto in seguito alla crisi di consensi dell'amministrazione Bush. Resta da vedere, tuttavia, quanto siano diversamente incanalabili le tendenze "teocratiche", frutto dell'intreccio profondo tra religione e politica. Se da un lato, infatti, non risulterebbe compatibile con il pluralismo religioso statunitense una forma di stato confessionale, e questa fu in effetti la motivazione dell'anticat-tolicesimo, dall'altro lato sono evidenti le implicazioni politiche del fervore evangelico americano, da sempre incentrato, sia pure nella notevole molteplicità delle sue varianti, sull'idea di un "destino manifesto" assegnato da Dio agli Stati Uniti. ■ giovborg@tiscalinet.it G. Borgognone è dottore di ricerca in storia delle dottrine politiche all'Università di Torino