Letterature L'anello nel cappotto di Donatella Sasso Bernice Eisenstein SONO FIGLIA DELL'OLOCAUSTO ed. orig. 2006, trad. dall'inglese di Alba Bariffi, pp. 191, €17, Guanda, Milano 2007 Già dall'immagine di co- pertina di Sono figlia dell'Olocausto trapela un'in- tensità non comune e una re- lazione armonica fra parola e disegno, tipica del graphic no- vel. Vi si vede una bambina che ha in braccio una bam- bola, uno sguardo triste e due ombre alle spalle: sono quelle dei suoi genitori. La voce narrante, quella del- l'autrice, ha molti silenzi, non detti o detti a metà che l'hanno sempre tenuta a distanza pro- prio dai suoi genitori. E questo perché loro hanno un pesantissi- mo conto aperto con un passato che non passa, con il passato per eccellenza del XX secolo. Un passato che ha una collocazione geografica e simbolica molto precisa: Auschwitz, dove en- trambi i genitori, ebrei originari delle cittadine di Miechow e Bedzin in Polonia, furono de- portati e si conobbero. CiAUPIA IAKT1 SACRA FACERE CLAUDIA SANTI SACRA FACERE Aspetti nella prassi rmjaiisiica divinatoria nel mondo antico Pagine ZbU ISBN SB 'BAI aoa fe zu.uu BULZONI EDITORE Il presente studio indaya la fun- zione uusmoiogica e cosmogoni- ca ulte la prassi ritualista divina toria ebue nel muudo Romanu. unrepassaio il livello dello stetti cismo pregiudiziale il maienale disponibile è stato considerato, alla luce della cemoarazione. nel suo svolgimento storico-cultura- le, al fine di rilevare gli elementi di continuità e Ji cambiamento prò dottisi ainnterno del sistema di divinazione di Roma antica, nel uuisu di yuasi mille anni di stuna. Ricostruire il sigmricatc religioso e civico della prassi ritualista del sani a tacere siyi litica ouuipien deie uno dei ineuiaiiismi essen 7iali di regolazione del sistema po- liteistico tulliano del suo uun tinuo ristrutturarsi nella storia, del suo rispondere aue sollecitazioni politico religiose provenienti dal l'esterno, senza rihunZiaie ai vaio ri del iiius 'Odiorum Buco posticcio Ma Auschwitz è il terribile passato che non passa anche per la piccola narratrice, che fin dai primi anni di vita impara a leg- gere tra le righe il dolore dei ge- nitori, dei nonni, degli zii, degli amici di famiglia. Non fa do- mande e inizia a dar forma a quei silenzi prima attraverso i suoi disegni, poi attraverso la letteratura dei testimoni e degli storici: da Primo Levi ad Hanna Arendt, da Paul Celan a Elie Wi- siel. Perché per parlare con i pa- renti di quello che è successo laggiù è ancora presto, forse non sarà mai il tempo giusto. E poi da anni ormai vivono tutti in Ca- nada, dove la quotidianità è spesso così normale da lasciar spazio a debolezze e vizi del tut- to ordinari: le liti fra i genitori, il gioco d'azzardo che tiene lonta- no il padre dalla famiglia, l'irri- spettosa vivacità dei bambini di fronte ai nonni stanchi e assenti. E Canada è il mondo nuovo e la terra delle possibilità, ma porta anche il nome (Kanada) del re- parto del campo di Birkenau do- ve la mamma fu costretta a lavo- rare. Era stato chiamato così per via dell'abbondanza che vi re- gnava: infatti, lì venivano radu- nati tutti gli oggetti, quelli di va- lore come quelli di nessuna im- portanza, confiscati ai deportati, prossimi alla morte. La ragazzina, e poi l'adole- scente, non si accontenta della superficie delle informazioni raccolte. Si butta allora in tutto ciò che parla dell'Olocausto al posto della sua famiglia: siano i libri, i film, le testimonianze, i trattati di psicologia. Un'immer- sione totale e irrinunciabile, che diventa la sua ossessione, il suo pensiero fisso. E se questo, da una parte, le fa scorgere la bel- lezza dei rimandi di parole, espressioni, concetti che sembra- no rincorrersi da un autore a un altro fino a formare una mappa lessicale e ideale della memoria, la avvicina anche al fascino am- biguo del vittimismo. La pone all'interno di quel meccanismo che ti fa pensare di essere mi- gliore degli altri, di avere diritto a più attenzione, più amicizia, più amore e, in contesti diversi, a più potere e a qualche privilegio, perché hai subito una perdita ir- reparabile. L'autrice scava den- tro queste contraddizioni, le af- fronta senza ritrarsi davanti alla loro sgradevolezza, ma si fa sor- reggere anche dall'ironia e dalla levità nel raccontare le immense riunioni di familiari e amici per le ricorrenze ebraiche, dai bar mitzvà ai matrimoni. Non rispar- mia allusioni irriverenti alle im- probabili acconciature delle si- gnore, agli abiti impeccabili de- gli uomini, alle quantità incalco- labili di cibo e portate, anche se sa che dietro a questo tripudio formale si cela il bisogno di so- stenersi a vicenda, di allontanare i terribili ricordi delle tremende privazioni, a volte a costo di sor- prendenti ostilità verso chi non è parte del gruppo. Un gruppo che si caratterizza anche per l'uso di espressioni im- portate dall'Europa orientale, di Eva Milano Alan Pauls IL PASSATO ed. orig. 2003, trad. dallo spagnolo di Tiziana Gibilisco, pp. 467, € 19, Feltrinelli, Milano 2007 Il passato è la prima opera dell'autore ar- gentino a essere pubblicata in Italia, a se- guito del successo di pubblico conquistato nel suo paese e della critica positiva riscos- sa a livello internazionale. L'assegnazione del premio Herralde nell'anno della pubblica- zione (Anagramma, 2003) segna l'inizio di una storia fortunata. Il regista Héctor Babenco ne ha tratto un film dall'omonimo titolo (2006). Alan Pauls è autore di saggi critici sull'opera di Bor- ges e Puig e ha all'attivo la pubblicazione di tre opere narrative precedenti (El pudor del porno- grafo, 1984; El colloquio, 1990 e Wasabi, 1994). Il suo stile è vivace, esuberante al punto di ren- dere una storia d'amore un turbine di delirio. Sembra che aspiri a brillare per sagacia, per ori- ginalità tutta sudamericana e "giovane", questa storia. È la cronaca della fine di un matrimonio da favola che si guasta dopo anni di perfetto equilibrio. Cresciuti insieme, Sofia e Rimini, que- st'ultimo è il nome del protagonista maschile, si conoscono alla perfezione. Un giorno, però, Rimini si scorda di leggere uno dei messaggi che Sofia ha l'abitudine di scrivergli dietro la lista della spesa o sul biglietto dell'autobus e di infi- largli ovunque ci sia la possibilità che le sue mani li trovino. I messaggi di Sofia sono lettere d'amo- re in incognito e la dimenticanza di Rìmini è fata- le, causa di un distacco inspiegabile e improvvi- so. Comincia a scappare a gambe levate da quel- la donna che lo conosce bene e sa prevedere ogni sua necessità. Soffa impazzisce d'amore. Il ritmo incalzante del romanzo concede spazio a lunghe divagazioni in cui risiedono, forse, le soluzioni narrative più originali di Pauls. In par- ticolare c'è una storia che vale la pena ricordare. Jeremy Riltse è un pittore contemporaneo, capo- fila della Sick art (l'arte è malata o l'arte incarna la malattia del suo autore?), corrente che, come il nome lascia intuire, non promette niente di pitto- resco. La vita vagabonda dell'artista, che si svol- ge in Europa, non confluisce mai nella corrente narrativa principale. Lungo le strade di Sofìa e Rìmini vi sono incontri e oggetti che si ricono- scono come epifanie dell'esistenza dell'artista idolatrato da entrambi. Riltse è il correlativo oggettivo di un legame indissolubile poiché fon- dato su affinità elettive superiori. La vivacità della voce narrante che caratterizza tutto il romanzo trova qui la sua collocazione naturale, poiché sa rispecchiare le increspature improvvise di un'in- credibile serie di peripezie. Cambiano le priorità dell'autore: la storia delle persone passa in secon- do piano, subordinata alla vita delle opere. Buco posticcio, la tela più importante nella storia dei due amanti, nasce in serie grazie a un coito, da una sequenza di tele sovrapposte e penetrate da Pierre Gilles, l'amante di Riltse, a sottolineare che quest'opera apre nuovi orizzonti: la rappresenta- zione della superficie malata del fisico dell'autore realizzata grazie a episodi di automutilazione cede spazio all'esposizione del regno organico dall'interno. Un richiamo che, nello stile di Pauls, va interpretato in modo letterale e che costerà a Riltse la vita stessa. ■ espressioni in yiddish, l'idioma degli ebrei askenaziti. Una lingua che si mostra morente e insieme sopravvissuta a se stessa, ancora vivissima nella sua capacità di adattarsi e infiltrarsi nella lingua inglese, dandole un sapore dolce e amaro insieme. Così in frasi quotidiane entrano parole lonta- ne come epel, mela, ep- pes, qualcosa, veltete, un mondo dentro un mondo, e si fanno stra- da espressioni curiose come il nulla, che non riguarda la religione o la metafisica, ma è il nome di un dolce di pasta gonfia, zucchera- to in superficie. Parole e frasi brevi spesso rac- chiudono significati complessi, difficilmen- te enunciabili in altre lingue, ben più sintetiche. Come oyf simchas, solo due suoni, che si possono tradurre con un giro di parole: che ci si possa incontrare in oc- casioni felici. Un modo di dire consueto nelle feste o negli in- contri informali, ma quale effetto produce se detto dal padre del- l'autrice, disegnato con sguardo mesto davanti ai cancelli di Au- schwitz, mentre pronuncia un di- scorso ufficiale. Nel corso degli anni qualcosa trapela della storia dei familiari, il padre che va a commemorare le vittime poco dopo la libera- zione, la madre che vive le ri- strettezze del ghetto, mentre i nonni materni mantengono un riserbo ostinato e inviolabile, che li allontana dalla nipote e da qualunque sentimento di tene- rezza. Certo, a loro sfavore gioca l'esigente intransigenza tipica dei bambini e degli adolescenti, ma la situazione rivela anche co- me la memoria possa rimanere inchiodata in sé se non trova una corrispondenza adeguata tra ascolto e racconto. E, infatti, la rivelazione completa della storia della ma- dre non avviene spon- taneamente, ma attra- verso un'intervista re- gistrata nel 1995 per l'archivio dell'Holo- caust Project, promos- so dalla Shoah Foun- dation di Stieven Spielberg. La figlia la ascolta e la riporta in- tegralmente con paro- le sue, come si direbbe in una scuola. Registrazione ri- gorosa dei fatti e condivisione empatica camminano di pari passo, restituendo una testimo- nianza lucida e insieme terribil- mente partecipe. E oggi vivo più che mai il di- battito, avviato da alcuni anni, sull'esigenza di tramandare la memoria della Shoah. Il libro di Bernice Eisenstein si inserisce perfettamente all'interno di que- sta discussione parimenti condi- visa dagli storici e dai diretti in- teressati, fornendo un punto di vista del tutto inedito. I figli e i nipoti delle vittime e dei soprav- vissuti, sempre che intendano assumersene l'onere, sono gli in- terlocutori privilegiati per tra- mandare la pesantezza di un do- lore che non solo ha accompa- gnato le vite di chi quel dolore ha subito in prima persona, ma anche di chi è venuto dopo. At- traverso svariate e differenti mo- dalità narrative possono evitare l'incrinatura, costantemente in agguato, fra significato e signifi- canti, che rischiano di riempirsi di volta in volta di fredda distan- za storica o di non senso, di re- torica o di opportunismi, non meno che di morbosa e insana attenzione. E poi i figli e i nipoti hanno dalla loro parte la vita che continua, letteralmente, in loro. Il libro, non a caso, si conclude con la festa per il bris, la circon- cisione rituale, del figlio del- l'autrice, cui viene dato il nome del nonno, morto pochi mesi prima della nascita. Nell'ultima pagina il gruppo degli ospiti è raccolto intorno a una citazione di Paul Celan: "Tu scavi e io scavo: e al dito si ridesta in noi l'anello". L'anello rimanda alla fede nuziale che la mamma del- l'autrice trovò in uno dei cap- potti che doveva accatastare a Birkenau. Fu il suo dono di nozze al marito, che la portò fi- no alla morte. Ma, senza tradire le intenzioni di Bernice Eisen- stein, forse, si potrebbe chiosa- re il libro anche con altre paro- le: " Oyf simchas, che ci possa incontrare in occasioni felici, nonostante tutte le indicibili oc- casioni passate". ■ s.dona? fastwebnet.it D. Sasso è slavista e lavora all'Istituto Salvemini di Torino