N. 5 Idei libri del mese| Le contraddizioni e la forza del manifesto antiglobalizzazione della destra Non passa lo straniero di Paolo Ferrerò Paolo Ferrerò Inefficace populismo di Giulio Lremonti Luca Mercalli e Massimiano Bucchi I cambiamenti climatici Enrico Camanni Lo scioglimento dei ghiacciai Federico Enriques Ultime cronache dal Senato Tra i diversi esponenti delle classi di- rigenti italiane, forse solo Giulio Tremonti sa sottolineare con la dovuta enfasi la crisi del processo di globalizza- zione e la gravità dei suoi possibili esiti: ed è questo a conferire forza al suo ulti- mo lavoro. La paura e la speranza. Euro- pa: la crisi globale che si avvicina e la via per superarla (pp. Ili, € 16, Mondado- ri, Milano 2008), infatti, entra in sintonia con il sentire comune proprio perché nomina, e quindi a modo suo esorcizza, anche la paura, mentre la sinistra sembra troppo spesso eludere le inquietudini in- vece di affrontarle. Certo, la formula del- l'esorcismo di Tremonti è classicamente populista, ma almeno è qualcosa; men- tre, per dirla con lo stesso autore, "sul mercatismo, la parte maggiore della sini- stra - la parte governista - tace e dunque acconsente"... quando, aggiungiamo, non insiste con lo zelo del neofita nel li- berismo tecnocratico che ha contribuito all'esito del 14 aprile. Il libro di Tremonti si presenta a prima vista come un rifacimento del precedente Rischi fatali. Ma alle considerazioni spesso "tecniche" di quel lavoro si aggiunge qui un pathos che, tra denunce del mer- catismo e del consumismo, riabi- litazione della politica contro l'e- conomia, affermazione dei valori che quella politica dovrebbero sorreggere, costruisce efficace- mente il vero contenuto politico del testo, mostrando quanto la destra di governo sia capace di fiutare l'aria che tira. La formula è populista, si diceva: e robustamente tale. Anzi, è un vero e proprio mani- festo per una risposta di destra a quella crisi la cui entità sembra del tutto sfuggire a un Veltroni. Come in ogni populismo che si rispetti, il "male" viene dall'e- sterno: non dalle dinamiche endogene di un capitale che ha frantumato il lavoro, ma da un'affrettata mondializzazione del mercato, e soprattutto, dalla concorrenza cinese. E, come in ogni populismo, ci sono parole dure contro una parte del capitale, ossia contro le "megabanche" la cui irresponsabilità ha generato l'attuale crisi finanziaria; men- tre non si spende nemmeno una parola sull'irresponsabilità di tutte le grandi imprese (anche di quelle "non speculati- ve") che ormai, come ha dimostrato Guido Rossi, si fanno beffe anche for- malmente dei loro stessi azionisti. E non può mancare il richiamo al demos, non già come soggetto dinamico di conflitto e di diritti, ma come "una visione strut- turata e stabilizzata della società", come comunità fondata sull'appartenenza ter- ritoriale e sulla sicurezza che questa con- ferisce. Infine, la politica che dovrebbe contrapporsi allo strapotere dell'econo- mia (in realtà a quello delle banche e di parte della finanza, lasciando libere le altre imprese) deve essere un vero pote- re, non troppo limitato dagli scrupoli del costituzionalismo, fondato su valori, famiglia, identità, autorità, ordine, responsabilità, federalismo (il puntiglio- so elenco è dell'autore), capace di dare all'Europa un vero ruolo mondiale (ica- stiche ed efficaci le pagine dedicate all'"indecisionismo" comunitario) e di farla divenire davvero una fortezza con- tro merci e genti straniere. Un'Europa che rivendichi le proprie radici cristiano- giudaiche contro quegli "altri" che pos- siamo accettare solo se diventano imme- diatamente "come noi", se "rinunciano alla loro identità": giacché è solo oppo- nendosi agli "altri" che la comunità si costituisce. Come si vede, Tremonti non si è affat- to convertito all'"altermondialismo". Come si vede (quando sapremo capirlo fino in fondo?) esiste anche una critica di destra alla globalizzazione: può fun- zionare e può occupare una parte rile- vante del "nostro" spazio. Sono tesi alle quali molto si può controbattere sul piano argomentativo: ad esempio, la contraddizione fra la critica al consumi- smo e la coalizione con il consumismo in persona. Una contraddizione che fa stri- dere i valori spesso raccogliticci evocati dall'autore con il banale libertinaggio ostentato da un'intera classe dirigente; doppie e triple morali che insegnano che ai valori più severamente proclamati frsjiarìàfie. ■ ai MTS possono corrispondere i comportamenti più carnevaleschi: vera fonte (altro che "relativismo del '68", ovviamente abor- rito in queste pagine) del nichilismo del nostro cattolicissimo paese. Qui, però, non serve polemizzare, ma capire. Capire la debolezza e la forza del discorso di Tremonti. La debolezza (oltre che nel riferimento protezionista a frazioni spesso arretrate del capitalismo nostrano) sta nel fatto che un progetto che vuole regole nel mercato mondiale, ma deregolamentazione per le imprese europee, che vede la società come un'in- sieme di "imprese che domandano deci- sioni e bisognosi che domandano assi- stenza", che affida questa caritatevole assistenza praticamente al solo volonta- riato, può incontrare serie difficoltà ege- moniche. Al che si aggiunge una palese contraddizione tra l'esaltazione dei terri- tori e l'odio contro la "democrazia del '68", la democrazia dal basso, perma- nente, quella "dei sindacati universali e dei comitati territoriali": contraddizione che ci indica in un diverso rapporto con i territori e con i loro interni conflitti una via per insidiare, e proprio dall'interno, lo strapotere leghista-tremontiano. Ma non minori, anzi, sono le ragioni della forza. Prima di tutto il discorso comunitarista si basa, come ben sappia- mo, su corpose realtà territoriali. E quel discorso può contare, per diffondersi ulteriormente, su un set di strumenti che va dalle televisioni, al partito-azienda, al più tradizionale partito di massa (la Lega), mentre la sinistra non può conta- re sulle prime e sul secondo, e oscilla tra parodie del terzo e incerte sperimenta- zioni di qualcos'altro. Inoltre, la retorica populista è capace di trasformare tutte le smentite in ulteriori conferme della pro- pria "verità": dato che il male viene dal- l'esterno, ogni aggravamento della situa- zione può al nemico esterno essere con- tinuamente riaddebitato, assolvendo da ogni colpa gli avversari di casa propria. Infine, la paura. Risorsa quasi inesauri- bile di consenso. I nuovi "democratici" si dividono tra chi la cavalca e chi la ignora. La sinistra - ahimè - extraparla- mentare, ha finora cercato di "ridurla", dimostrando ragionevolmente che l'"altro" non è una minaccia. Si tratta forse, almeno e solo in questo, di impa- rare da Tremonti: alla paura va dato un nome, ricostruendo, se non l'immagine di un nemico, quanto meno quella di un avver- sario. E si dovrà quindi ripro- porre con efficacia la lotta di classe (il segnale dato dagli ope- rai del Nord è stato limpido, al riguardo), ma anche (visto che le identità politiche relativamente stabili non si costruiscono solo o soprattutto in relazione alla posizione lavorativa) una lotta dei territori contro il capitalismo selvaggio, interno o esterno che sia. Territori che, nel conflitto, possono costruire quella comu- nità fondata sulla libera associa- zione e sulla partecipazione democratica che Tremonti tanto disprezza perché vi vede, e a ragione, la più pericolosa insidia all'egemonia (localizzata e per questo fortissima) della destra. Un'ultima questione. La politi- ca che Tremonti propone di sovraordinare all'economia non ci piace. E soprattutto forza, è decisioni- smo programmaticamente contrario alla democrazia di base. Propone un inter- ventismo economico europeo i cui unici contenuti certi sono i dazi e le sanzioni contro il "nemico esterno" dagli occhi a mandorla. Parla di limiti severi all'immi- grazione e di completa libertà per le imprese. Ipotizza un asse privilegiato Europa-Usa e lavora per un conflitto tra blocchi dal quale anche un uomo come Henry Kissinger ha recentemente messo in guardia (Tre rivoluzioni, un nuovo ordine, "La Stampa", 14 aprile 2008). Non ci piace, ma è una politica, è la presa d'atto che la crisi incombente non si fronteggia con la retorica mercatista nella quale la sinistra liberista insiste e contro la quale la sinistra antiliberista non sembra avere ricette, anche perché troppo ha scordato della sua propensio- ne all'intervento nelle strutture di pro- duzione e distribuzione. Se vogliamo risalire dal baratro del 14 aprile, cominciamo con il non lasciare all'avversario la critica efficace del mer- catismo selvaggio, che noi abbiamo inau- gurato molto prima, e molto meglio. ■ P. Ferrerò è stato ministro della Solidarietà sociale nel secondo governo Prodi