, l'INDICE ' ■■□el libri del uese^b Biblioteconomia: principi e questioni, a cura di Giovanni Solimine e Paul Gabriele Weston, pp. 485, € 36, Carocci, Roma 2007 Fernando Bàez, storia universale della distruzione dei libri. dalle tavolette sumere alla guerra in iraq, ed. Orig. 2004, trad. dallo spagnolo di Paolo Galloni e Marco Palma, pp. 385, €25, Viella, Roma 2007 Nel corposo manuale di bibliotecono- mia edito da Carocci si richiama la funzio- ne della biblioteche come generatrici di conoscenza e di dialogo, oltre che come conservatrici di cultura: funzioni analizza- te in tutte le loro sfaccettature dai più noti specialisti, con approfonditi suggerimenti bibliografici su ciascun tema. Fernando Bàez illustra però come spesso alle biblioteche sia tuttavia stato impedito di svolgere il proprio ruolo conservativo. I tragici "libricidi", motivabili in termini ora psicologici e rituali, ora perfino filosofici, ora puramente criminali, che colpirono, fra gli altri, autori come Callimaco e Porfi- rio, furono posti in essere da nemici del pluralismo e della comunicazione fra cul- ture, dall'imperatore cinese Shi Huangdi, il quale nel III secolo a.C. fece eliminare ogni libro che riportasse memoria del passato, a Hitler, dai fanatici cri- stiani a quelli musulma- ni, oltre ai molti eserciti al centro di guerre e di rivoluzioni, in Francia come in Russia, in Serbia come in Cecenia. Una "storia infi- nita" di abusi e violenze. Con alcuni bagliori di luce: la Grotta dei canoni bud- disti nel deserto di Gobi, dove per mille- cinquecento anni ci fu chi nascose libri sacri non graditi nell'impero cinese; i tanti scrittori, editori, librai che lottarono per preservare la cultura; le grandi bibliote- che di Ninive, Alessandria, Pergamo, Bagdad e mille altre, di cui oggi non pos- siamo nemmeno più contemplare, ricono- scenti, le rovine. Daniele Rocca ti, hanno la forza della grande prosa che si richiama all'intimo dissidio tra desiderio e angoscia, speranza e paura. Da legge- re, quindi, anche come romanzo di forma- zione di una coscienza. Claudio Vercelli William Edward Burghardt Du Bois, Le anime del popolo nero, ed. orig. 1903, trad. dall'inglese di Roberta Russo, postfaz. di Paola Boi, pp. 238, €22, Le Lettere, Firenze 2007 Figura eclettica e quasi centenaria, Wil- liam E. B. Du Bois ha attraversato due secoli, nascendo poco dopo la conclusio- ne della Guerra di secessione americana, nel 1868, per morire nel 1963 in Ghana. Intellettuale versatile, scrittore prolifico e vivace editore, ricordato soprattutto per il suo impegno sul versante dei diritti civili, è di fatto uno dei padri del panafricanismo, il movimento politico e culturale che teo- rizza l'unità inscindibile di tutti i popoli afri- cani, destinati a superare la diaspora che vivono un po' per tutti e cinque i continen- ti. Le anime del popolo nero, scritto nel 1903, è un ritratto della componente afroamericana negli Stati Uniti non meno che un manifesto politico "ricostruzioni- sta", poiché di questa componente riven- dica non solo le peculiarità culturali e la soggettività storica, narrata attraverso il corredo di una miriade di fonti quali le testimonianze orali, la musica, la poesia, i racconti e così via, ma anche la vocazio- ne a essere coscienza collettiva, memoria condivisa, quindi progetto comune. Du Bois precorse alcuni fermenti che nell'A- merica di Kennedy e di Johnson, così come nell'Africa della decolonizzazione, sarebbero divenuti moneta comune. Tut- tavia il libro si presta a una doppia chiave di lettura, non essendo un testo di mere rivendicazioni o impotenti lamentazioni bensì un reportage dall'America profon- da, a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Il tono e il respiro del testo, ancorché dolen- John Biffe, POPOLI DELL'AFRICA. STORIA DI UN CONTINENTE, ed. orig. 1995, trad. dall'in- glese di Ester Borgese e Paolo Lucca, pp. XI- 450, € 45, Bruno Mondadori, Milano 2007 Descrivere la grande storia di un conti- nente dalla preistoria agli eventi più recenti è senz'altro un'impresa ardua, che tuttavia il lavoro di lliffe svolge in maniera senz'altro convincente, pur con i limiti imposti dalla scarsità di documenti che impone spesso di rifarsi alle fonti archeo- logiche. L'autore mostra innanzitutto come "gli africani sono stati e sono i pionieri che hanno colonizzato una regione del mondo particolarmente ostile nell'interesse dell'intero genere umano". Adot- tando questa prospetti- va, il libro si presenta quindi, pur non dimenti- cando la storia istituzio- nale, sociale e culturale della regione, innanzi- tutto come una storia demografica, che affonda le sue radici proprio In quel proces- so di evoluzione delia specie umana che in Africa ha avuto la sua origine, seguendo poi lo sviluppo delle popolazioni del continente. Grande importanza viene quindi assegnata a due "sottotemi" e cioè il legame particolare e irripetibile con Asia ed Europa e, forse il tratto più interessante, il ruolo centrale della sofferenza nell'esperienza africana, dovuta sia alle condizioni spesso poco ospitali del territorio, sia alle manifestazio- ni evidenti di crudeltà umana, di cui la trat- ta degli schiavi e il dominio coloniale sono testimonianze inequivocabili. Eppure pro- prio questo bagaglio di sofferenze costi- tuisce uno dei punti di forza dei popoli afri- cani, in quanto è riuscito nel tempo a for- giare in loro una capacità di sopportazio- ne, un coraggio e anche un senso dell'o- nore decisamente inusuali. Sofferenza che purtroppo continua a manifestarsi nel continente anche agli inizi del XXI secolo, nonostante alcuni segnali di speranza, sotto le forme dei conflitti etnici, della povertà, dell'ascesa dei fondamentalismi e della piaga dell'Aids. Francesco Regalzi cato notevoli cambiamenti nella gestione dello stato e dell'economia, segnando una nuova fase di apertura a istanze di tipo liberale e liberista. Proprio con l'inau- gurarsi di questa stagione, si è aperta una nuova fase nelle vicende politiche dell'A- merica Latina, contrassegnata negli ultimi anni da un crescente processo di demo- cratizzazione e di maggiore stabilizzazio- ne dei governi che potrebbe - è questa la tesi forte del volume di Castronovo - apri- re nuove prospettive nello scenario mon- diale e modificare radicalmente il desti- no del continente. In questa cornice si situa una delle con- trapposizioni più inte- ressanti della con- temporaneità, quella tra il modello di sini- stra riformista e libe- rale propugnato dal presidente brasiliano Lula e la sinistra anta- gonista-militar-popu- lista e fortemente critica nei confronti degli Stati Uniti, erede della tradizione castrista, del Venezuela di Chavez. (F.R.) Valerio Castronovo, piazze e caserme. I dilemmi dell'America Latina dal Nove- cento a oggi, pp. 439, €20, Laterza, Roma- Bari 2008 Le vicende politiche dell'America cen- trale e meridionale sono state contrasse- gnate, per buona parte del XX secolo, dal susseguirsi di regimi, spesso piuttosto instabili, che si basavano su diverse varianti del populismo, di destra o di sini- stra, o sull'azione di colpi di stato che por- tavano al potere regimi di tipo militare. Un'alternanza di piazze e caserme per un grande subcontinente quale l'America Latina che, pur avendo notevoli potenzia- lità, è stato spesso considerato nel Nove- cento il "cortile di casa" degli Stati Uniti. La politica populista adottata da molti di questi regimi ha però portato gran parte del subcontinente a confrontarsi, a partire dagli anni settanta, con gravi problemi di indebitamento pubblico. In virtù delle pressioni dei debitori e delle organizza- zioni intemazionali, negli ultimi decenni molti stati latinoamericani si sono impe- gnati in un'attività di risanamento delle proprie finanze pubbliche che ha provo- Sergio Della Pergola, israele e palestina: la forza dei numeri. il conflitto medio- rientale fra demografia e politica, pp. 252, € 15, il Mulino Bologna 2007 Più lo si osserva e lo si analizza, maga- ri rivoltandolo come un guanto, meno se ne viene a capo. Il conflitto israelo-palesti- nese è un Giano bifronte, con due con- tendenti costretti a una convivenza asim- metrica, dove il conflitto va sempre in cer- chio e partendo da se stesso a se stesso ritorna. Per spezzare l'assedio della finta evidenza, Della Pergola, il maggiore demografo israeliano, ci invita a spostare lo sguardo verso un orizzonte diverso da quello abituale, fatto di perentorie dichia- razioni di principio, di identificazioni politi- che e di passioni ideologiche. Del resto - e sembra questa essere la sua consape- volezza - chi non fa i conti con i dati strut- turali rischia di doversi poi scontrare con la loro inequivocabile capacità "critica". Un merito di questo ultimo lavoro dello studioso è infatti quello di portarci, dopo il costante bombardamento della pubblici- stica a favore o contro qualcuno e qual- cosa, alla concretezza delle relazioni che intercorrono tra i due campi in tensione, sia sul versante del confronto che su quel- lo dell'incontro. La demografia ne è un po' la sintesi, proiettando la riflessione nel medesimo tempo verso il passato e il futu- ro. Ci obbliga insomma a schiodarci da questo immanente "presentismo" delle identificazioni e a porci, attraverso il rap- porto con i dati (e le loro interpretazioni), la dilemmatica questione delle identità. Il libro, a ben vedere (e leggere), ruota intorno alle fragilità degli assunti apoditti- ci, all'insostenibile banalità di chi, procla- mandosi mentore di una causa, la fa affondare sotto i suoi piedi per meglio ergersi dinanzi alla folla, alla ricerca del- l'applauso. Da leggere con attenzione, quindi, poiché è un libro prezioso. (C.V.) buti. Così il libro di Rosa suggerisce di valutare le politiche estere dei vari stati nazionali partendo da un'attenta disamina della loro struttura interna e dal tipo di rap- porto tra istituzioni politiche e società civile. Insomma, la sociologia politica può dirci qualcosa di diverso e di ulteriormente esplicativo e chiarificatore a proposito di certe scelte di politica internazionale che a prima vista possono apparire oscure, se non del tutto incomprensibili. L'approccio alle relazioni internazionali che ne conse- gue va in rotta di colli- sione con le tesi neo- realiste e neoliberali, quelle secondo cui gli stati agirebbero tutti alla stregua di una palla di biliardo che si muove solo su pres- sione esterna. Attore unitario e razionale, lo stato agirebbe esclu- sivamente per massi- mizzare il proprio inte- resse nazionale. Le istituzioni statuali risulterebbero forze auto- nome, assolutamente svincolate da qual- siasi tipo di pressione proveniente dall'in- sieme del sistema politico e sociale interno. Gli italiani sanno che non è così. La politica estera di uno stato risente di fattori interni strutturali, tanto dal punto di vista politico- istituzionale quanto socioeconomico. Se quello italiano è un esempio di "governo di partito", appare pressoché inevitabile una politica estera nazionale incerta e contrad- dittoria, sottoposta com'è alle continue oscillazioni che agitano coalizioni di gover- no eterogenee e scarsamente coese. In simili situazioni, la scelta dell'immobilismo o del "basso profilo" è allora l'esito più logico. Danilo Breschi Paolo Rosa, sociologia politica delle scelte internazionali. un'analisi compa- rata delle politiche estere nazionali, pp. 164, € 18, Laterza, Roma-Bari 2007 La scienza e la conseguente compren- sione della realtà è una questione di punti di vista. Conta cioè la scelta dell'angolo di osservazione. A seconda di come e da dove si esamina un fenomeno potremo avere un numero maggiore o minore di informazioni sulla sua natura e sui suoi attri- Carlo Pelartela, La grande alleanza. L'in- tegrazione globale delle democrazie, pp. 180, € 19, PrancoAngeli, Milano 2007 Il libro nasce all'insegna del realismo. Quando però l'autore precisa che la sua "pretesa di realismo non è emergenziale o emotiva, ma argomentativa", ecco che si guadagna l'attenzione del lettore avido di capire presente e futuro delle relazioni internazionali. La tesi di partenza è quindi pessimista sia per scelta di metodo sia perché la forza dei fatti urla la propria solare evidenza: gli Stati Uniti sono rimasti soli a reggere un equilibrio mondiale sem- pre più evanescente e praticamente inesi- stente. Nella misura in cui il loro interesse nazionale troverà miglior tutela nella gestione delle aree di tensione e conflitto disseminate sul pianeta, essi continueran- no in una politica estera interventista, magari più selettiva di quella dell'attuale amministrazione, esercitando un potere ordinatore che però si fa sempre più debole e contrastato. La verità è che sono ormai troppo piccoli per un mondo dive- nuto troppo grande dopo il 1989. Si sta- gliano all'orizzonte nuovi giganti di poten- za analoga, e tra breve superiore: la Cina su tutti. Più che un nuovo ordine, abbiamo un crescente disordine mondiale. Se le meganazioni o i blocchi regionali che comporranno lo scacchiere internazionale del prossimo futuro saranno in prevalenza governati al loro interno da principi ostili alla libertà e alla democrazia, i rischi per la pace diverranno enormi. Parrebbe neces- saria un'egemonia condivisa e concertata: meglio se esercitata da una "libera comu- nità delle democrazie", la cui potenza sia dissuasione per gli stati dalle mire aggres- sive e destabilizzatrici. L'autore elabora un piano da cui emerge che il primo pro- blema è la scarsa disponibilità delle democrazie a coalizzarsi in modo perma- nente. Al centro vi sono gli Stati Uniti e molti paesi europei. Divisi, rischiano l'im- poverimento e l'accerchiamento politico. (D.B.) e o • IO N e e k £ CD O Cfl