N. 5 Idei libri del mese| 35 Camilla Valletti Intervista ad Alessandro Zaccuri Elisabetta Fava e Vittorio Coletti Recitar cantando, 27 Francesco Pettinari Effetto film: Un bacio romantico di Wong Kar Wai Premio Calvino I vincitori Materia viva e vitale Intervista ad Alessandro Zaccuri di Camilla Valletti II suo recente romanzo, Il signor figlio (Mondadori 2007; cfr. "L'Indice" n. 12, dicembre 2007) è un caso abbastanza isolato, nel panorama della narrativa ita- liana, di riutilizzo di materiale biografi- co (le vite, le lettere, i minuti reperti quotidiani) per ricomporre, secondo i modi del fantastico, l'esistenza im/pos- sibile di personaggi famosi, come Leo- pardi e Kipling, appunto. Come è nata questa idea? Dal desiderio di esplorare il rapporto e E conflitto fra le generazioni secondo una prospettiva diversa rispetto a quella, convenzionalmente accettata, della recri- minazione fEiale. Se ci si pensa bene, l'a- stuzia di Edipo sta nella sua capacità di passare per vittima del padre, pur essen- done il carnefice. NeEa storia deEa lette- ratura, e deU'arte in generale, molto spesso è proprio il figlio a imporsi sul padre, in un continuo variare di dinami- che poetiche e affettive che, da lettore, mi hanno sempre appassionato. Bernar- do e Torquato Tasso, i due Dumas, Kingsley e Martin Amis, Stephen King e E fantasma del padre, scrittore mancato. Complicità, coUaborazione, rivalità, ran- core. La casistica è molto ampia e con- traddittoria al suo interno. Leggendo, documentandomi, scoprendo piccole e grandi coincidenze, mi sono ritro- vato a isolare tre storie di "famiglie d'arte" che mi parevano particolar- mente significative, queEe appunto di Monaldo e Giacomo Leopardi, di John Lockwood e Rudyard Kipling e, infine, della poetessa CécEe Sauvage e di suo figlio, il compositore Olivier Messiaen. La mia prima intenzione era di raccon- tare ciascuna di queste vicende in sincrono con le altre, in modo da accentuarne analogie e differenze. A un certo punto, però, mi sono reso conto che un unico elemento di invenzione, e cioè la sopravviven- za immaginaria di Giacomo Leo- pardi e E suo rifugiarsi a Londra sotto falso nome, avrebbe aperto una serie di possibilità narrative che, dal mio punto di vista, non sconfinano tanto nel fantastico, quanto piuttosto in una verosimi- glianza iperrealistica. Il libro nasce come componimento misto di criti- ca e d'invenzione e, in questo, mi pare sia in buona compagnia, anche suUa scena italiana. Penso per esempio a Tutto il ferro della torre Eiffel di Michele Mari, che non a caso in Io venia pien d'angoscia a rimirarti aveva già rielabora- to in chiave fantastica la biografia del giovane Leopardi. Ecco, mi verrebbe da dire che nel caso di Mari E rimando aUe pratiche del gotico è più appropriato di quanto possa avvenire con II signor figlio, dove pure gE elementi "di genere" non mancano (c'è per esempio una discesa neEe viscere deEa metropoli, un topos presente anche in Tutto il ferro della Torre Eiffel e, più di recente, in Una storia romantica di Antonio Scurati, altro romanzo italiano che riutEizza le tradizioni narrative in forma deEberata). A me, però, non interessa E fantastico in quanto tale, ma ciò che lega E fantastico al sovrasenso teologico dell'immaginario cristiano. La vera chiave interpretativa del Signor figlio, infatti, è la dottrina tri- nitaria, aEa luce deEa quale ciascuna coppia di personaggi rivela qualcosa di sé e del nostro destino comune. Il fanta- stico più autentico, per me, è quello di Dante, al netto però delle Elustrazioni di Dorè. Il Purgatorio più dell'Inferno, insomma. E E Paradiso più del Purgato- rio. Come si riutilizzano i classici a scopo di fiction? Come materia viva e vitale, non come deposito inerte. E prestando grande attenzione all'umanità che la letteratura sottintende e sollecita. In Occidente l'intera tradizione culturale si consolida proprio attraverso questo procedimen- to di reimpiego continuo, di continua reinterpretazione e misreading, per ado- perare il termine coniato da Harold Bloom: anche fraintesa, la poesia gene- ra senso, alimenta il nostro rapporto con la bellezza. Personalmente, mi ribello all'idea che i "grandi libri" ser- vano ormai soltanto ad alimentare una letteratura secondaria, un criticismo accademico che si risolve in se stesso e non produce nuove significazioni. Nei capolavori del passato, ma anche nelle vicende che hanno condotto alla loro realizzazione, c'è un'umanità che anco- ra ci riguarda e che troppo spesso viene ignorata o considerata irrilevante. Certo, non sempre si tratta di un'uma- nità esposta in evidenza, ma non per questo risulta meno drammatica, meno toccante. Il signor figlio, per esempio, poggia su un sistema abbastanza artico- lato di riferimenti filologico-eruditi che, dal mio punto di vista, hanno l'unica motivazione di descrivere meglio, dal- l'interno, il labirinto di sentimenti in cui si muovono Monaldo e Giacomo Leopardi. Le citazioni dotte, i lemmi lessicografici, i rimandi a una bibliogra- fia esuberante e punitiva hanno la stes- sa funzione che, in un fEm, potrebbe avere la colonna sonora. Sono la descri- zione di un mondo interiore che si esprime in forme tortuose e sfuggenti. Del resto, ancora oggi, è molto raro che i sentimenti maschili trovino espressio- ne diretta, passano più per l'esposizione di competenze (io so oppure so fare questo) che non attraverso la condivi- sione di esperienze (ho vissuto questo, provo questo sentimento). Quali altri esempi può fare, anche guardando alla produzione straniera? Un autore che apprezzo molto e che anche in Italia è stato proposto più volte, da diversi editori, è l'inglese Peter Ack- royd. Critico letterario, autore di note- voli biografie di giganti come Blake e Dickens, ha scritto numerosi romanzi ambientati di preferenza nella Londra ottocentesca, mettendo le sue conoscen- ze di studioso al servizio di congegni narrativi nei quali la presenza della tra- dizione è perseguita in modo metodico e spesso inquietante. Un libro importante, poi, è stato La macchina della realtà di WiUiam Gibson e Bruce Sterling: la cata- strofica versione materica dello Zibaldo- ne aEa quale Giacomo Leopardi lavora nel Signor figlio deve molto aUa loro invenzione di un'ucronia cibernetica proiettata in epoca vittoriana. Nel mondo anglosassone, in ogni caso, que- sta deUa riscrittura erudita e provocato- ria è una pratica molto diffusa, anche a livello cinematografico e, in genere, di show biz. Pensiamo a kolossal hoEywoo- diani come E tanto vituperato Troy o, di più recente, E corrusco 300. Per carità, errori storici come se piovesse e inge- nuità che si sprecano. Però c'è la consa- pevolezza, sia pure declinata in termini neobarbarici, che le grandi storie possono ancora essere raccontate, perché ancora ci riguardano. E i classici che a loro volta hanno utilizzato temi della tradizione per riproporre "topoi" letterari? È E tema deEa mislettura, appun- to, del "rovinare le sacre verità", un verso di MEton rielaborato daEo steso Bloom come titolo di uno dei suoi saggi più convincenti. Paradiso perduto, per restare in tema, è Dante rEetto attraverso E Tasso del Mondo creato. E moltissimo, in Shakespea- re, è rimaneggiamento di trame altrui, variazione, riscrittura anche arbitraria. Basti pensare aU'itinera- rio di personaggi come Faust e Don Giovanni, che trovano la loro prov- visoria sistemazione in Goethe e Mozart dopo essere passati per le mani, tra gE altri, di Marlowe e MoHère. Non per mancanza di crea- tività, è chiaro, ma piuttosto per una pecuEare (e ancora modernissima) concezione deE'iniziativa artistica. Perché il fantastico è così ancorato alla tradizione? Mi verrebbe da rispondere così: il fan- tastico non è soltanto E fantastico, per questo i suoi antecedenti rivestono tanta importanza. In un piccolo saggio in usci- ta da Bompiani (In terra sconsacrata: per- ché l'immaginario è ancora cristiano) cerco di dimostrare in quale misura i cosiddetti "generi" non rappresentino altro che la versione secolarizzata, ma non ancora del tutto priva di rEevanza spirituale, delle grandi narrazioni teolo- giche consegnateci dal passato. Una tra- dizione che, dal mio punto di vista, non ha nuda di disincarnato e riguarda, al contrario, zone profonde e irrinunciabili della nostra umanità, quaH E desiderio e la violenza. Le stesse che, non a caso, costituiscono E terreno d'elezione del- l'immaginario fantastico. ■