Storia Un credente scomodo di Daniela Saresella Pietro Scoppola UN CATTOLICO A MODO SUO pp. 128, € 10, Morcelliana, Brescia 2008 Nel 1974, in occasione del referendum sul divorzio, Scoppola (insieme a intellet- tuali come Bo, Alberigo, Be- deschi, Turoldo e La Valle) prese posizione contro l'a- brogazione della legge e for- mulò giudizi critici nei con- fronti dell'atteggiamento della Chiesa, giudizi che Paolo VI commentò bonariamente "è un cattolico un po' a modo suo". Da qui nasce il titolo del libro, e nella spiegazione di questa par- ticolarità è il senso di questa pubblicazione, uscita a pochi mesi dalla morte dell'autore. Il testo rappresenta il testamento spirituale di un uomo sofferen- te e alla fine della vita, per il quale prepararsi a morire diventa l'occasione per riflettere sulle ragioni della propria fede; l'intento è dun- que quello di riper- correre l'itinerario che lo ha portato, non ad abbandonarla, ma a "ripensarla in maniera incisiva". Scoppola riprende alcuni temi che aveva già sviluppato nel libro pubblicato nel 2005 La democrazia dei cristiani. Il catto- licesimo politico nell'Italia unita, in cui aveva delineato una rifles- sione sulla storia politica dei cattolici italiani tra Otto e Novecento, e in quello uscito nel 2007, La coscienza e il pote- re, che raccoglieva gli articoli pubblicati su "la Repubblica", con un'introduzione sul ruolo della chiesa italiana di fronte alle novità politiche degli ultimi anni. L'autore ripercorre il proprio cammino dagli anni del liceo quando, studente all'Istituto Massimo di Roma, i gesuiti gli spiegavano la fede come qualco- sa di "solidissimo e indiscutibi- le"; da tale impostazione non si traevano elementi utili alla com- prensione della realtà e così il giovane uscì dal liceo con un "cristianesimo privo di spessore storico, non incarnato cultural- mente". La maturazione avven- ne, come per molti credenti della sua generazione, nel con- tatto con la cultura francese, e soprattutto con Mounier, Mari- tain e Blondel; poi avvenne l'in- contro con intellettuali come Jemolo, Marrou, Passerin D'En- trèves e Cotta, che furono fon- damentali per la sua crescita cul- turale. Così, le certezze della gio- ventù si tramutarono in una "ricerca appassionata, ma anche faticosa, di una fede con- tinuamente segnata dal dub- bio". Proprio partendo dalle domande e dalla ricerca di una propria fisionomia culturale, Scoppola approdò all'interesse per la storia: "Per me la scelta della storia non è nata come scelta di una professione, è nata piuttosto come ricerca di un'i- dentità". Da qui gli studi sui rapporti tra chiesa e stato, tra- dizione liberale e modernismo, chiesa e fascismo, chiesa libertà e democrazia. Proprio grazie alle sue ricerche, Scoppola ebbe modo di comprendere come anche in passato fonda- mentali fossero i valori della soggettività e del primato della coscienza che avevano orienta- to le scelte di personaggi come Gallami Scotti, Blondel e il Murri della Lega democratica nazionale. L'idea della fede di Scoppola risente del suo spirito di libertà, soprattutto quando ammette di provare disagio di fronte alla dizione "Congregazione per la dottrina della fede" perché "la fede non è riconducibile a una dottrina" e la corrente di fede che risiede dentro la chiesa, che è la sua ricchezza, non può rite- nersi esaurita dentro formule dogmatiche. Come Sturzo, Scoppola approda alla convin- zione che non ci può essere vera democrazia se prima non si rea- lizza una riforma religiosa. La chiesa deve essere aperta al dia- logo, "deve immer- gersi con le sue intel- ligenze più sensibili e più capaci nel con- fronto e nel conflitto delle mille e parziali ragioni che si conten- dono una leadership culturale". Lo storico ha a cuore il ruolo dei laici, il dialogo inter- religioso e l'ecumeni- smo, che considera "condizioni essenziali perché le religioni possano svolgere un ruolo civile". E cattolicesimo di Scoppola trova la sua realizzazione nel Concilio che va difeso "con la fedeltà, non la contestazione"; l'intellettuale si dimostra critico nei confronti degli eccessi della fase postconciliare, e rivendica invece la necessità "della chiesa gerarchica, della chiesa del papa, del Vaticano". Non manca però di criticare l'idea di Wojtyla e di Ratzinger di intendere la chiesa come "depositaria e garante del diritto naturale", più che annun- ciatrice del messaggio di Cristo, e sottolinea come i valori siano stati variamente espressi nelle diverse epoche storiche e nelle diverse civiltà. Ad esempio, ritie- ne che l'esclusione dal sacerdo- zio delle donne derivi dall'asso- lutizzazione di modelli del pas- sato che ha poco senso assumere a norma per la chiesa d'oggi. Scoppola auspica anche miseri- cordia nei confronti dei divor- ziati, ricordando come per un millennio non ci fosse una disci- plina canonica del matrimonio. Perché ora, si chiede, la loro esclusione dai sacramenti? Non deriva forse dalla sessuofobia presente nella chiesa? Domande pertinenti e scomode, come sco- modo è stato per molti, soprat- tutto negli ultimi tempi, il cre- dente Pietro Scoppola. ■ daniela.saresella@unimi.it D. Saresella insegna storia contemporanea all'Università di Milano Tragedia spagnola di Francesco Regalzi Angelo d'Orsi GUERNICA, 1937 Le bombe, la barbarie, la menzogna pp. 111-251, €25, Donzelli, Roma 2007 Il 1937 - questa è la tesi centrale che emerge dal volume di Angelo d'Orsi - è stato "un annus horribilis, e perciò fascina- tore", la cui portata è pienamente rappre- sentata dalla distruzione di Guernica da parte dell'aviazione nazi-fascista il 26 di aprile. Evento che, nell'interpretazione dell'autore del libro, viene a costituire un vero e proprio simbo- lo sia dell'efferatezza di alcuni crimini che l'uma- nità ha rivolto a se stessa, sia della menzogna poli- tica, a causa dei ripetuti tentativi di far ricadere le responsabilità della strage sui "rossi" e sui baschi, negando vi fossero stati i bombardamenti. Guernica assume però un carattere quasi ideal- tipico almeno per altre due ragioni. Innanzitutto il fatto di aver costituito il primo esempio di quei bombardamenti a tappeto poi così diffusi nella storia successiva e, in secondo luogo, di aver aperto con l'anno che l'ha contrassegnata una grande stagione di impegno politico e militante da parte di molti intellettuali. A differenza di molte città vittime di analoghi tragedie nel corso del Novecento e agli inizi del nuovo millennio, Guernica non era altro che un piccolo villaggio, seppur reso importante dalla presenza nei suoi territori di alcune industrie di armamenti e della sede del comando di zona dell'esercito basco, sostenitore della Repubblica e quindi antifranchi- sta. Pare così che uno degli scopi principali del- l'azione militare fosse quello di spaventare la fazione avversa a Franco. Sullo sfondo c'era la guerra civile spagnola, in cui il generalissimo pro- cedeva nella sua opera di redenzione del paese contro anarchici, comunisti e socialisti, ottenen- do spesso l'appoggio delle gerarchie ecclesiasti- che, tanto da far apparire la guerra antirepubbli- cana come una cruzada, una crociata. Non sono però solo le vittime di Guernica a essere ricordate nel volume: d'Orsi presenta infatti con dovizia di particolari e grande abilità narrativa le vicende della guerra di Spagna e di quel lungo 1937, i rapporti tra le varie compo- nenti del fronte repubblicano, le influenze euro- pee, la partecipazione italiana al conflitto e le vicende del fascismo nostrano. Altre significative morti contribuiscono a rendere il 1937 così rap- presentativo. Innanzitutto quella di Gramsci, imprigionato dal regime fascista già nel 1926 per motivi politici, e morto a poche ore di distanza dal bombardamento di Guernica in una clinica romana, e poi le scomparse dell'anarchico italia- no Camillo Berneri, forse vittima di un accordo tra russi, italiani e spagnoli a causa delle sue posi- zioni antistaliniste, e che rappresentava un modello di "intellettuale prestato alla lotta", e di Carlo Rosselli, fondatore di Giustizia e Libertà, ucciso in Normandia con il fratello Nello nel mese di giugno. Proprio il ricordo di queste figu- re consente all'autore di proseguire quel discor- so su intellettuali e impegno pubblico già conte- nuto in molti suoi contributi, asserendo che "la coscienza dell'intellettuale contemporaneo - quali che siano poi state le sue scelte, le sue testi- monianze, le sue opzioni - deve molto al 1936- 39" e che "la Spagna fu davvero la prova gene- rale della moralità della cultura". ■ Riflessioni sulla democrazia di Mirco Dondi Alberto De Bernardi DISCORSO SULL'ANTIFASCISMO a cura di Andrea Rapini, pp. 233, €20, Bruno Mondadori, Milano 2008 Il libro è costruito in forma di intervista con le doman- de di Andrea Rapini, autore di Antifascismo e cittadinan- za: giovani, identità e memo- rie nell'Italia repubblicana, (Bononia University Press, 2005), ad Alberto De Bernar- di, storico che appartiene alla generazione che aveva vent'anni nel '68. Il riferimento biografico è modulato all'interno della égo- histoire che correda una paralle- la storia sociale della storiogra- fia. L'autore si confronta con le categorie concettuali elaborate dalla scuola storiografica antifa- scista negli anni sessanta e set- tanta. Già al tempo, De Bernar- di ravvisava la sterilità di quelle posizioni che portarono lo stori- co Nicola Gallerano, alla fine degli anni ottanta, a denunciare dall'interno la crisi del paradig- ma antifascista. Gli elementi di debolezza del paradigma incro- ciavano approcci metodologici Alln-rt» IT- IWiianli l)tMor>.i MiHnmifiiM'i-iri' llnmo Mnmlnilnri di stampo storicista (la superio- rità etico-civile della storia poli- tica) con una serie di postulati che hanno in parte ostacolato la comprensione del fascismo come dell'antifascismo. Fu controproducente vedere nel fascismo una chiesa senza fedeli, negarne la natura rivolu- zionaria, negarne gli aspetti di modernità reazionaria (temi che De Bernardi aveva già affrontato nel precedente Una dittatura moderna, Bruno Mondadori, 2001), ma che qua si confrontano più diret- tamente con il contesto sociale e scientifico dei decenni passati. Allo stesso tempo, il para- digma antifascista aveva schiacciato la visione della Resistenza nell'insufficiente cate- goria esplicativa di lotta di liberazione che paradossalmente ne oscurava la progressiva ideologiz- zazione antifascista. La legittima- zione, anche odierna, dell'antifa- scismo deriva da altri elementi, sostiene l'autore, ed è su questo passaggio che il libro presenta i suoi aspetti più innovativi. Fasci- smo e antifascismo vanno assunti nella loro dimensione europea di crisi della democrazia liberale uscita dalla Grande guerra. L'antifascismo è qui declinato come riflessione matura sulla democrazia, una democrazia che risolve il suo rapporto con la società di massa, che diventa una democrazia inclusiva nei con- fronti dei ceti popolari, ma anche una democrazia che guarda a un nuovo rapporto con l'economia per consolidare i suoi strumenti. La svolta cruciale, in termini di esperienze e di elaborazione di pensiero, matura negli anni tren- ta. Il testo percorre questi trac- ciati nelle riflessioni degli antifa- scisti, dall'intuizione precoce di Giovanni Amendola, che defini- sce l'antifascismo "l'evoluzione democratica del liberalismo", alla più compiuta sistematizzazione di Carlo Rosselli, il cui socialismo liberale ripudia la rivo- luzione e si innesta nel- l'internazionalizzazio- ne della lotta al fasci- smo. Nel guado, l'at- teggiamento comuni- sta degli anni venti e trenta, che non offre un contributo all'anti- fascismo, ritenendolo un elemento tempora- neo per conseguire fini rivoluzionari. Il comu- nismo nell'antifascismo si pone come elemento estraneo e solo più tardi si innesta su un patto costituzionale dotato di "sor- prendente forza". Per l'autore resta lo spessore e l'attualità di un ridefinito antifascismo storico, un antifascismo non classista e volto a una dimensione inclusiva. Dentro a questo passaggio, c'è la condanna dell'antifascismo di classe degli anni sessanta e settan- ta, con la politicizzazione della stona. mircodondi@yahoo.it M. Dondi insegna storia contemporanea all'Università di Bologna