Il mondo perfetto di Roberto Gigliucci N. 5 Narratori italiani Voglia di capire di Vincenzo Aiello Ai tempi del post femminismo di Luisa Ricaldone Milena Agus ALI DI BABBO pp. 142, € 13, nottetempo, Roma 2008 66T)oiché v'è una infinità X di universi possibili nelle idee di Dio, e non ne può esistere che uno solo, è necessario che vi sia una ra- gione sufficiente della scelta di Dio, la quale lo determini a scegliere l'uno piuttosto che l'altro. Questa ragione non può trovarsi che nella convenienza, nei gradi di perfezione che quei mondi contengono, poiché cia- scun possibile ha diritto di pre- tendere all'esistenza, secondo la perfezione che racchiude. E que- sta è appunto la causa del fatto che esiste il migliore mondo pos- sibile, che la saggezza fa conosce- re a Dio, che la sua bontà gli fa scegliere e la sua potenza gli fa produrre". Questa la formula- zione di Leibniz nella Monadolo- gia ove postula la natura ottimale del nostro mondo. E nel Discorso di Metafisica-, "Dio ha scelto il mondo più perfetto, vale a dire quello che nello stesso tempo è il più semplice in ipotesi e il più ricco di feno- meni". La protagonista del- l'ultimo romanzo di Milena Agus ha capito soprattutto quest'ulti- ma specificazione. Dice, verso la fine: "Ho pensato che io invento tante scene sull'amore e invece l'amore è una cosa per niente scenosa. Anche la magia sicuramente è molto più semplice di quanto crediamo. E anche Dio. E magari questo è davvero il miglior mondo possibi- le". La ragazzina di Ali di babbo ha compreso che pure Dio è semplice. Tuttavia si pone il pro- blema del male ("perché nonno è dovuto morire?") e non è che dia una spiegazione tipo la Teodicea di Leibniz. Però ha imparato che la vita è fatta di cose dolorose, incomprensibili e buffe, ma che comunque in qualche modo è astuta. Proprio nel senso di Hegel: "Zia dice che il grande filosofo Hegel definirebbe tutto quello che è successo un'astuzia della ragione, un'eterogenesi dei fini. Nel senso che talvolta uno può agire nel modo migliore e le cose vanno male e magari fa la cosa più sbagliata di questo mondo e tutto va per il meglio. In un certo senso è andata così". Mica bastano Leibniz ed Hegel alla Agus di Ali di babbo. C'è il problema della scrittura, dell'arte di scrivere, del senso di scrivere. E allora la protagonista ha biso- gno di Walter Benjamin, sempre con il tramite della solita zia stu- diosa di filosofia: "Zia dice che secondo il grande saggista e criti- co Walter Benjamin, quando io scrivo, faccio una cosa importan- tissima". Ovvero lo scrittore rida i nomi alle cose facendo loro tra- scendere la mera funzionalità rappresentata dalla lingua comu- ne e rinverginandole di nuovo: "Il poeta cerca le parole per rida- re all'albero quel senso perduto". Poi la ragazzina capisce appieno il suggerimento di Benjamin quando rimane delusa da un fidanzatino per il quale "un albe- ro era soltanto un albero". Ali di babbo non è un trattato di filosofia, è un romanzo ambientato nella luce del sud della Sardegna con un personaggio melanconico, malato e leggiadro come Madame, che ha una casa albergo e tanti amanti, e i vicini con il figlio jazzi- sta e poi c'è il nonno che muore in un incendio dopo aver salvato la vita a Madame e tante altre cose. Insomma, il romanzo di Agus è divertente e sconcertante, vuole sempre incrinare l'assurdo tragico con l'ironia, anzi la comicità fran- ca, e quindi il lettore non si spauri- sca perché ci sono di mezzo Leib- niz, Hegel e pure il grande Benja- min. H fatto è che la semplicità infantile e "truculenta" (mi piace questo aggettivo che trovo in quar- ta di copertina) si spiega proprio alla luce di quel Leibniz aggiusta- to, ironizzato e accarezzato di cui sopra. Agus ci burla amabilmente e seriamente con una facilità quasi fiabesca che, ad esem- pio, si allarga nell'inven- zione sadomasochista (il sesso non mancava neppure in Mal di pie- tre, come si ricorderà). Madame, infatti, infeli- ce dolce ninfomane, si fa frustare dagli operai che ospita, legata svesti- ta o carponi come una cagna che lecca gli avanzi dei maschi, i quali la ustionano con la brace, la insultano e la umiliano a torso nudo e ingozzandosi di cibo. Certo, queste scene cui assi- ste nascosta la bambina protago- nista ("L'inferno qui vedo", direbbe Gilda) potrebbero sem- brare epifanie di un male così traumatizzante da non trovare possibilità di redenzione. E la non barocca Agus fa dire alla sua ragazzina: "Ho pensato a uno di quei quadri dai colori bui del periodo barocco che sto studian- do in storia dell'arte, in cui c'era una donna bellissima accusata di stregoneria che stava bruciando". Noi potremmo pensare ai sonetti secenteschi su belle cortigiane frustate in piazza e simili. Tuttavia la dolcezza e la dispe- razione di Madame, emble- ma del tragicomico che l'autrice difende come poetica, sono anche sintesi di un mondo che è il migliore possibile perché forse ogni utopia è peggiore della realtà e quindi ogni tragedia senza commedia e viceversa non rappresenta nulla di reale. Non sarà neppure questa una grande scoperta, magari. Ma Milena Agus ce la affabula con la fre- schezza di una scoperta adole- scenziale, ci offre un lieto fine che non è un lieto fine e si dimo- stra furba in modo finalmente onesto. Il che non è poco. ■ robertogigliucci?tiscali.it R. Gigliucci è ricercatore di letteratura italiana all'Università "La Sapienza" di Roma Giorgio Caruso CLAUDICANTE BALLATA DI UN UOMO IMPERCETTIBILE pp. 100, € 10, Altrerighe, Napoli 2008 Non si riesce bene a capire come, seppure un italia- no medio legga solo un libro di narrativa all'anno, ancora non si fermi la fondazione di nuove case editrici. Tra le ultime che hanno fatto il loro ingresso vo- gliamo segnalare Altrerighe, una nuova editrice partenopea che pubblica autori esordienti, e che è stata lanciata da tre ra- gazze under 25: Carla Sapona- ro, Simona Rosolino e Laura Soave. Pochi testi, per ora, ma già un buon titolo indovinato: quello di Giorgio Caruso, Clau- dicante ballata di un uomo im- percettibile. In un mondo totalmente infor- matizzato nelle funzioni, negli spostamenti e nelle sanzioni im- mediatamente applicate e senza motivazioni all'apparenza plau- sibili, vive il funzionario Wayl Saccen che è impiegato ai massi- mi livelli nel Ministero degli Affari Inutili. Mr Saccen ha un compito molto arduo: quello di istruire la pratica "MasMal", ma in ciò è ostacolato dal suo sotto- posto signor Scuycich, che ha la mania dell'ordine. Nei ministeri della città di Buròticron, invece, l'ordine è deleterio: e se anche vi venisse in mente di ricrearne uno ricordatevi di non interessa- re di ciò una ditta privata e non autorizzata. Tutto è infatti preordinato e deve essere ogget- to di particolare richiesta. Sac- cen compie un primo errore e conseguentemente cade tutto il suo mondo. Una certa signorina Raccom gli sfila via la pratica "MasMal" e da qui parte quella catena di effetti e cause che por- tano Wayl ad aprirsi troppo con il suo amico Gorge; a sbagliare nella richiesta del modulo rosa per la richiesta di un unico omi- cidio; a frequentare il suo amico d'infanzia Gonam, pericoloso socialmente. Da ciò Saccen, già retrocesso in Ufficio dal Capo Gigantus, si ritroverà rapito da una Gladio occulta. Perché questo titolo ci ha inte- ressato? In prima istanza perché, quando una nuova casa editrice nasce, è insolito che proponga giovani di questo interesse nar- rativo e linguistico. Inoltre que- sto giovane scrittore (Caruso è del 1983) ci conferma nell'idea che, al di là degli sterili dibattiti sugli scriventi under o supra 30, quello che poi conta è la storia proposta, il genere dell'esordio di Caruso? Fantasy? Science fic- tion? No, al di là dell'ambienta- zione futuristica, ci sono Kafka e Orwell più che altro. Niente camorra, niente politica, niente metri sopra i cieli. Solo voglia di capire e di fare capire dove stia- mo andando. ■ vincenzoaiello68?libero.it V. Aiello è giornalista Lidia Ravera LE SEDUZIONI DELL'INVERNO pp. 185, €14, nottetempo, Roma 2008 I» set fittami (HI Un uomo di quarantotto anni vive da tre separato dalla moglie in un apparta- mento dominato dal disordi- ne: il letto sfatto, i pavimenti e i vetri delle finestre sporchi, le camicie buttate a terra, i piatti ammucchiati nel lavel- lo. Un mattino si sveglia e le quattro stanze hanno cambiato fisionomia: ogni cosa ha ritrova- to il proprio posto, ineccepibile la pulizia, la colazione è imbandi- ta e una musica seducente e ras- sicurante si diffonde per la casa. Giorno per giorno aromi sempre più vari e raffinati animano la dimensione olfattiva dello spazio domestico. E stata Sophie a met- tere ordine nel caos, a trasforma- re il tipico alloggio di un single in un ambiente caldo e accogliente. Donna di pochi anni più giovane di lui, riservata, colta (legge Rilke), musicalmente evoluta (ascolta Bach), elegante, misteriosa, sa attuare con grande naturalezza i propri compiti di domestica infaticabile. Stefano ne è affascinato; e lui, che "sapeva accontentare una donna ma non era mai riuscito ad accon- tentare se stesso", si sente per la prima volta capace di inna- morarsi. La ex moglie Sara; la giovane Silvia che gli si concede nella speranza che il suo dattiloscritto trovi una collocazione editoriale nell'azienda dove Stefano lavora; Mara, la collega che non gli ha mai nascosto simpatia e disponi- bilità a una relazione: tutte le donne che frequenta in modo distratto e svogliato e che mai lo hanno gratificato diventano pal- lide figure di sfondo di fronte alla luminosità avvolgente che emana dalla persona di Sophie. La quale si è insinuata nell'inver- no dell'esistenza di Stefano riu- scendo a sciogliere il gelo che è in lui e che gli è valso da parte dei colleghi il nomignolo, non si sa tenero o feroce, di "freezer". L'autrice, che ancora una volta mette in pratica situazioni orien- tate a portare in primo piano una vocazione alla conoscenza diffe- renziata della psicologia maschile e femminile, si esprime qui in una scrittura accattivante e fluida, iro- nica e intelligente, sempre comunque profonda, che eccelle nelle parti dialogate. E l'anatomia dell'innamoramento che scatta nella vita di un uomo un po' banale, taciturno e splenetico, talora aggressivo ("avevo provato altre volte il desiderio di spezzare le ossa piccole", pensa stringendo il polso di Sophie), eccitato dal rapporto padrone/serva di cui inevitabilmente si colora l'attra- zione per la domestica, non anco- ra affrancato del tutto dalla fami- glia di Sara (vive infatti nell'ap- partamento dell'ex suocero, cui paga una somma irrisoria di affit- to), che sta facendo i conti con le prime "parti scoperte del cranio", con lo specchio che gli rimanda 1'ùnmagine non poco ansiogena costituita dal preannuncio di una vecchiaia confermata dalle sem- pre più rare erezioni. Ma sono i rapidi incisivi affon- di nella complessità interiore delle donne a fare di questo romanzo forse uno dei più inten- si fra i numerosi che Lidia Ravera abbia da tempo fornito a un oriz- zonte d'attesa stabile e affeziona- to come quello sul quale una nar- ratrice del suo rango sa di poter contare. L'autrice non è certo nuova alle psicologie dei senti- menti, ma con Le seduzioni del- l'inverno ha saputo coniugare esperienze di vita e modalità espressive mature e esatte. Nes- suna delle donne messe in scena è veramente ciò che appare: una moglie ricca e apparentemente irreprensibile, ma con la passione del gioco e una sessualità ambi- gua; una cameriera che è ben altro; l'amica di lei che nasconde dietro un abbigliamento provo- catorio, in cui intenzio- nalmente si pavoneg- gia, le inquietudini e le disperazioni di giovane figlia di una madre sui- cida; l'aspirante scrit- trice di scarso talento che non la spunta nep- pure mettendo a disposizione il proprio corpo sodo di giovinet- ta. Sono figure di con- vincente spessore esi- stenziale, tipologica- mente fondate, tanto da determi- nare la conferma del legame profondo che esiste nelle narra- zioni di Ravera tra lo sguardo lucido e informato sul costume sociale (e qui la soccorre la sua attività di giornalista opinionista) e le trame inventive che, proprio a partire da esso, garantiscono verosimiglianza e inesauribilità ampie e illuminanti. Siamo nel postfemminismo (vi si accenna durante la cena memorabile a casa di Stefano), negli anni in cui sempre più spesso si indagano i tremori sen- timentali dell'uomo fragile indi- feso, incapace di prendere in mano la propria vita e ironica- mente privo di slanci ("Fare l'a- more è come cucinare, ci vuole un po' di estro, ma la sostanza è la manualità"), e una certa disin- volta sicurezza nelle scelte che proviene da una ormai speri- mentata consapevolezza di sé delle donne. Sara e Sophie sono donne mature (l'affacciarsi della vecchiaia - Maledetta gioventù, 1999; Né giovani né vecchi, 2000 - è tema caro a Ravera, che è stata giovane in un tempo che attribuiva alla giovinezza un valore assoluto), e i loro com- portamenti alla Carol di Patricia Highsmith sembrano proporsi come possibile alternativa. ■ rical@cisi.unito.it L. Ricaldone insegna letteratura italiana contemporanea all'Università di Torino