, L'INDICE ■■dei libri del mese^I L'asino di Caligola Sono l'ex senatore Federico Enriques. Chiudo, rivelandomi, la rubrica iniziata con lo pseudo- nimo "Populusque". Non sono pentito di aver scritto sotto pseudonimo, anche se il desiderio di non essere facilmente identificato mi ha indotto a essere talvolta poco circostanziato (e a trascurare quasi sempre il lavoro di commissione e il rappor- to con il territorio). Forse non mi firmerei più "Populusque": l'im- plicita contrapposizione di Senato e Popolo fa pensare (oggi, non allora, quando lo scelsi) a un grillismo da liceali in stile Virzì, che non mi piace. E poi il "-que" alla fine, ancor più di una congiun- zione a sé stante, enfatizza il ruolo "secondo" del popolo (che invece amiamo definire sovrano), lo colloca in una sorta di scomodo seggiolino poste- riore, lo rende, grammaticalmente e metaforica- mente, sdrucciolo. Al titolo di "senatore" - anche senza "ex" - avrò ancora diritto: vale, per restare nel latino, il semel... semper... Potrò ancora entrare liberamen- te a palazzo Madama, e forse anche a Montecitorio (devo verificare), ma credo ci andrò poco, per non fare la figura del pensio- nato che non si rassegna alla pensione. Tra l'altro la pila di rassegne stampa calde di fotocopiatrice, come pane appena sfornato, verso le 11 del matti- no, non è più a disposizione di chi passa all'ufficio postale: una saggia disposizio- ne dei senatori questori ha imposto di metterne soltanto una copia per ogni senatore in carica, nella sua "buchetta" (in attesa di una fatale limitazione al solo formato elettronico). Ma qualche scappata dal barbiere la farò ancora: l'assurdità è il vero fascino del privile- gio. Ho discusso del titolo di questo arti- colo finale con al redazione dell'Indi- ce": mi hanno proposto Gli ultimi gior- ni di Pompei: ma, a differenza del nostro caso, sotto il Vesuvio la catastrofe giunse improvvisa; nemmeno II ballo del Litanie o Lultima spiaggia andrebbero bene: in un caso la tragedia colpevol- mente non è prevista, nell'altro ineluttabile. E poi bisognava restare nell'ambito di Roma antica: quindi bene il Senato all'epoca di Caligola, quan- do contava ormai poco. Anche Caligola, se si fosse accorto che il suo animale non era un purosangue ma un asino, non l'avrebbe fatto senatore. E io non ho fatto nulla per meritare di correre il derby delle nuove elezioni. Sciolto il Parlamento, in uno sforzo di lucidità, mi sono chiesto: qual è, fra i drammi principali del paese, quello in cui puoi incidere? Ritirando la mia candidatura pote- vo dare un piccolo ma sicuro contributo alla lotta contro la gerontocrazia (in politica e altrove). Del resto mi ero candidato al Senato anche per lascia- re spazio, nel luogo in cui lavoravo, a persone più giovani di me: con risultati ottimi. In un attimo di megalomania mi sono immaginato di poter deci- dere io le liste, almeno della mia regione: in questa ottica ho chiesto a me stesso un passo indietro. Probabilmente, se non l'avessi fatta io, la rinuncia mi sarebbe stata chiesta: altri senatori, più capaci, attivi ed esperti nel proprio campo - e soprattutto più giovani - di me, anche se alla prima legislatu- ra, non sono stati ripresentati (ma non è detto che capacità e competenza siano stati i criteri principa- li che hanno ispirato la scelta delle candidature). Il rinnovamento e il riequilibrio di genere mi è sem- brato un obbiettivo condivisibile e forte: sono con- tento - e un po' fiero - che nella mia regione le donne elette al Senato nel Pd siano, stando ai primi dati, più degli uomini. Tornando indietro, il senatore lo rifarei: non considero negativamente, a differenza di molti miei ex colleghi, nemmeno il continuo e snervante succedersi delle votazioni elettroniche: era appas- sionante come un videogioco, in cui anche un pic- colo errore fa saltare in aria l'automobile, o simile, che si muove sullo schermo. Con una maggioranza netta, come nella legislatura di adesso, il voto elet- tronico è noiosissimo. Certo qualche dubbio, qualche rimpianto per aver lasciato mi è venuto: ad esempio mi è dispia- ciuto non avere fatto una campagna elettorale "da soli", senza alleati scomodi. Al di là della capacità e della serietà personali di quasi tutti i senatori della sinistra, ho potuto toccare con mano, nell'at- tività quotidiana, il peso di un'alleanza con punti di partenza troppo distanti. In più di un'occasione la destra, spregiudicatamente, era pronta a incu- nearsi nelle nostre divergenze, creando continue difficoltà alla maggioranza. La possibilità di trova- re una sponda a destra ingigantiva il potere di ricatto della sinistra, già esaltato dal favore dei numeri. (E talvolta anche il Governo si accordava con la sinistra, sulla testa dell'Ulivo). Da questo punto di vista la fine dell'Unione mi è parsa la fine di un incubo. Fatta la rinuncia, mi è rimasto il rimpianto di non aver fatto quasi nulla di buono: non che fossi partito con l'idea di salvare la patria, né ho mai cercato di acquisire spazi di noto- rietà con posizioni individuali, come altri colleghi, che mi sembravano spesso indulgere a quello che, almeno dall'interno, a me pareva un fastidioso esi- bizionismo. In particolare, come relatore avevo lavorato molto alla legge comunitaria 2007: lo scio- glimento delle Camere sembrava la bloccasse, lasciandola in incerta eredità alla legislazione suc- cessiva. Poi a sorpresa, seguendo una via tanto inconsueta, credo, quanto geniale, il Governo è riuscito a farla approvare dalla Camera così come l'avevamo approvata al Senato, cancellando le poche modifiche che, nel lavoro di commissione, i deputati avrebbero voluto introdurre. La legge comunitaria è una di quelle leggi complesse, in cui si affrontano decine di problemi diversi. Mi sono dovuto occupare anche, con successo, dei piccoli produttori di uova, mentre non sono riuscito a correggere una disciplina contraddittoria sull'alle- vamento dei visoni. Però sulla corruzione privata il mio contributo l'ho dato. Il disegno di legge del Governo conteneva una delega ad attuare una direttiva che introduce il reato di corruzione anche fra privati (la corruzione è già reato nel settore pubblico). Il Governo, non so perché, aveva posto dei limiti assai stretti alla futura corruzione, non presenti nella direttiva europea. Nelle indicazioni del Go- verno avrebbe dovuto essere un reato limitato agli amministratori di società, mentre non erano punibili corrotti e corruttori in ambiti privati di- versi (come un'associazione privata, un partito, un sindacato). D'accordo con dei colleghi della Commissione Giustizia, abbiamo riallargato i confini, allineandoli a quelli segnati dalla diretti- va europea (alla fine anche il Governo è stato d'accordo). Secondo il Governo solo gli ammini- stratori di una società (corrotti o corruttori) avrebbero potuto essere puniti, non anche i di- pendenti, mentre l'esperienza insegna che sono funzionari di alto o medio livello che si sporcano le mani. Anche qui, sempre con i colleghi della Commissione Giustizia, siamo intervenuti; la de- stra ha protestato, facendo cadere lacrime sul ca- so dei poveri lavoratori potenzialmente minaccia- ti dalla protervia di cattivi magistrati; inutile dire che l'ultrasinistra stava per cadere nella trappola e non è stato facile rimettere insieme i cocci. Insomma, il futuro Governo dovrebbe attuare la legge comunitaria in tema di corruzione nel priva- to così come l'ha licenziata il Senato: forse ho con- tribuito a innalzare, sia pure di una frazione mini- ma, il futuro tasso di moralità del paese. Non so se il nuovo Governo troverà modo di cambiare le cose: di sicuro, sul punto, non sarà solerte. Per il resto ci sono poche altre cose che potrò raccontare con orgoglio ai miei nipoti. Anzi: alcu- ne dovrò tacerle, come gli interventi in aula duran- te la discussione della finanziaria 2008: ero quello che doveva parlare (improvvisando e su qualsiasi argomento) quando c'era da guadagnare un po' di tempo. Poiché molti degli emendamenti di Forza Italia erano, per un evidente errore tecnico, coper- ti con l'abrogazione di un comma che prevedeva il contributo dell'Italia alla Comunità Europea, ero pronto a ironizzare su questo scivolone per buoni cinque minuti. (In sostanza, approvando quegli emendamenti, in linea teorica si metteva l'Italia fuori dall'Unione Europea). Purtroppo l'occasione di questo intervento non si è presentata mai. Una volta improvvisai qualcosa in tema di tra- ghetti con le isole maggiori e minori. Non sapevo cosa dire, non ricordo cosa dissi, non ho avuto animo di rileggere lo steno- grafico: ricordo solo che alla fine del- l'intervento un collega sardo della destra ha traversato l'aula per congra- tularsi con me. Qualche ricordo della "caduta" è bene fissarlo, perché non sbiadisca del tutto. Quando Barbato lo aggredì, non ero lontano da Cusumano. Quando ebbe il malore, furono medici miei vicini di banco a dargli i primi soccorsi (e a tran- quillizzarci tutti). Già, Barbato: quante volte la Commissione Bilancio rimase bloccata per una sua assenza; quante volte tenne in scacco, da solo, l'intera maggioranza nel corso delle discussioni interne sulla finanziaria, per avanzare richieste localistiche! Quello che è certo è che il Governo non era sicu- ro dell'esito del voto decisivo; ancora poche ore prima si era diffuso un ottimismo senza fonda- mento. Ho sentito, in un comizio, un ministro dire una cosa che penso anch'io: saranno i libri di storia a dire che il Prodi 2006-2008 è stato un ottimo governo, soprattutto per merito di Padoa-Schiop- pa; rimettere in piedi i conti del paese non è stata cosa da poco. Perfino dentro le leggi finanziarie del 2007 e 2008 si troveranno, insieme a molta monnezza, delle perle e altri gioielli. Alcuni errori tattici Prodi li ha fatti: se non si fosse ostinato a chiedere la fiducia e si fosse dimes- so, avrebbe creato maggiore spazio per un tentati- vo di Governo istituzionale. Certo, le modalità della crisi hanno rivelato che stavano al centro i veri nemici del Governo (a parte Turigliatto): ma a che prò, se tema della campagna elettorale, da lì a poco, sarebbe stata la distinzione dalla sinistra? Meglio sarebbe stato mollare un anno prima, a risanamento già avviato, evitando le spese della finanziaria 2008 e dei provvedimenti connessi. Più che all'aumento delle pensioni basse e al bonus incapienti (peraltro passati sotto silenzio in campagna elettorale) mi riferisco ai 58 fondi creati con un finanziamento complessivo di oltre 3 miliardi. Il "fondo" è di per sé una forma di cattiva politica: si destinano a uno scopo soldi veri, la cui erogazione passa necessariamente attraverso l'in- termediazione burocratica e politica, sia per quan- to attiene i modi che i tempi: proprio il contrario di quanto l'elettore ha dimostrato di volere. Ora comincia un altro concerto: meglio goderse- lo dalla platea che dall'interno di un coro che interviene assai poco. Federico Enriques o SO e e OD GQ »-0 e O e e o k CD • IO so s I • K> e £ co