N. 1 Laicità Il bene umano relativo Intervista a Carlo Augusto Viano di Cesare Pianciola A undici anni di distanza dal "Manifesto di bioetica laica" del 1996 ecco il "Nuovo manifesto di bioetica laica". Quali sono le ragioni che hanno spinto un gruppo di autorevoli studiosi a redigere questo nuovo documento e quali sono le principali differenze rispetto al primo? In undici anni sono cambiate molte cose, soprattutto in fatto di fecondazione assistita, uso delle cellule staminali nella ricerca e nella pratica medica, crescita della medicina biologica, riconoscimento degli orientamenti sessuali più diversi, legittimazione di modi differenti di convivenza, modi nuovi di intendere la vecchiaia, la morte e la malattia. Di fronte all'offerta e alla richiesta di novità si è attenuata l'attenzione dei movimenti politici, degli organi legislativi, della cultura ufficiale e della pubblicistica, mentre è cresciuta la resistenza della chiesa cattolica a ogni forma di innovazione. Queste considerazioni spiegano le differenze tra il primo e il secondo manifesto. Il primo doveva aprire una discussione ed enunciava le premesse generali, "filosofiche" potremmo dire, della bioetica laica, mentre il secondo parte dal riconoscimento che la cultura cattolica ufficiale non ha accettato nessun confronto, giustificando tutte le condanne pronunciate dal clero e tutti i provvedimenti restrittivi delle autorità politiche. È sembrato inutile cercare principi condivisi o procedure neutrali, visto che la chiesa e la cultura cattolica considerano procedure indipendenti quelle che mirano soltanto a sostenere posizioni scelte in partenza. Si è perciò preferito essere chiari sui punti che oggi la bioetica laica rivendica, tanto più che la cultura laica difende la libertà religiosa senza le riserve che caratterizzano le chiese, sempre interessate al proprio successo, e vigila sulla possibilità che chi lo desidera segua le indicazioni delle autorità religiose che riconosce. Il manifesto presentato il 9 maggio dalla Fondazione Liberal all'Università Gregoriana ha insistito su "un 'bene umano obiettivo', uguale per tutti gli uomini in quanto soggetti socialmente coesistenti". Il vostro manifesto invece sottolinea la pluralità delle scelte e delle libertà individuali rese possibili dalle tecniche biomediche. Quali sono i rischi e le trappole connesse al concetto di "bene umano obiettivo"? È difficile dire in che cosa consista il "bene umano". Diverse cose possono essere considerati beni; e non esiste in proposito una enumerazione completa, che sia accettata da tutti. Per eliminare conflitti e costruire liste condivise, bisognerebbe ordinare i beni in una gerarchia, che potrebbe culminare in un bene dominante, una specie di "bene assoluto", spesso invocato da chi si occupa di bioetica o di etica. Ma sono note le difficoltà di costruire gerar- chie del genere, perfino immaginando condizioni ideali, non perturbate da circostanze che rendono difficili i confronti tra le opzioni individuali. Gli studi di economia del benessere, teoria della decisioni e della scelta pubblica hanno mostrato come sia arduo mettere in ordine le preferenze delle persone perfino in questi campi, che pure sono delimitati. È azzardato supporre che, quando entra in gioco l'etica, la quale pure pretenderebbe di dare soluzioni più generali in condizioni più difficili, le cose siano più semplici. Aggiungere all'espressione "bene umano" la parola "obiettivo" è una specie di esorcismo: non serve a nulla dichiarare di voler essere obiettivi, quando non ci sono procedure disponibili. Quando si fa dell'etica spesso non ci si accontenta di dire "questa è la gerarchia di beni che propongo", ma si aggiunge la pretesa che si tratti di una gerarchia oggettivamente valida. Così l'attenzione si sposta ai criteri di validità e ai modi nei quali la gerarchia è stata costruita, ma le cose non diventano più facili; semplicemente si mascherano i conflitti e si tenta di delegittimare l'avversario. Oggi preti, credenti e teologi pretendono di servirsi della sola ragione umana per sostenere le proprie posizioni. Se anche qualcun altro si richiama alla ragione, ma respinge le loro tesi, si sente rimproverare perché ha una concezione non adeguata (per esempio strumentale) della ragione. Si finisce così con il considerare razionali non una procedura indipendente da ciò che si intende giustificare, ma gli argomenti favorevoli alla propria tesi. Per questo nel "Nuovo manifesto" si sono omessi i richiami alla ragione e alle procedure metodologiche. Nel "Nuovo manifesto di bioetica laica" si accenna a varie forme di paternalismo: "ad esempio quello che assegna valore intrinseco alla natura". Vorremmo qualche esplicitazio-ne in proposito. Il paternalismo è costituito dalla pretesa di esercitare il potere riconosciuto al pater familias nella famiglia tradizionale, nella quale egli poteva imporsi sulle donne e sui figli. Fin dalle origini la bioetica ha messo in discussione l'autorità tradizionalmente attribuita ai medici, considerandola appunto qualcosa di simile al potere che nelle società moderne non veniva più riconosciuto al padre. Il medico non paternalista non pretende di dettare scelte, ma si offre di collaborare con il paziente nella scelta delle condotte che quest'ultimo preferisce, suggerendo i percorsi adatti alla loro realizzazione. Se si ritiene che la natura indichi in modo univoco scelte e comportamenti, naturali appunto, da contrapporre a scelte e comportamenti contro natura, si ottiene il medesimo risultato perseguito con il paternalismo medico. Nel corso del convegno di Torino si è discusso, tra l'altro, del "principio di precauzione" che spesso viene invocato per limitare o vietare determinate ricerche scientifiche e tecnologiche. C'è un uso ragionevole di questo principio? Il principio di precauzione viene spesso invocato in modo generico, senza fissare parametri, che possano essere discussi e valutati. E giusto prendere in considerazione le conseguenze di atti e interventi importanti, ma occorre valutare l'entità e la probabilità degli esiti, in base ai quali si formulano le valutazioni. Non si può, per esempio, bloccare la ricerca di una conoscenza perché potrebbero derivarne applicazioni inaccettabili, dal momento che la probabilità delle applicazioni è indeterminata. Nella sua formulazione generica il principio di precauzione sembra presupporre l'esistenza di un ordine naturale, che non andrebbe mai alterato. Esistono equilibri naturali, che sono frutto di una lunga storia, ma che non sono affatto né buoni in sé né inalterabili. La storia naturale continua, e dunque gli equilibri naturali sono aspetti e fasi di quella storia; inoltre la natura deve essere corretta dove è possibile farlo, tenendo conto delle conseguenze prevedibili. Assumersi la responsabilità degli interventi comporta anche riconoscerne i rischi, che vanno calcolati, ma anche corsi. Quando lo si assume in modo assoluto e indeterminato, il principio di precauzione finisce con il giustificare il rifiuto di qualsiasi accettazione del rischio, con il misconoscimento del fatto che gli equilibri naturali non sono né stabili né sempre benefici in ogni loro punto. Ritiene che il contrasto tra bioetica cattolica e bioetica laica sia bene caratterizzato riassuntivamente dalla contrapposizione fra teorie della sacralità della vita e della sua indisponibilità e teorie della qualità della vita e della sua disponibilità? Non so se la contrapposizione fra teorie della sacralità e della indisponibilità della vita e teorie della qualità della vita corrispon- da esattamente alla contrapposizione tra bioetica cattolica e bioetica laica. Quest'ultima varia storicamente secondo le posizioni assunte dalla chiesa cattolica, che non sempre ha difeso la sacralità e l'indisponibilità della vita, ammettendo per esempio il martirio, la guerra e la pena di morte. Solo quando si è profilata la possibilità di intervenire sulla vita per evitare sofferenze, la chiesa ha assunto una difesa a oltranza del materiale biologico e della vita umana in tutte le sue forme. La bioetica laica si è mossa a difesa della libertà delle persone contro la pretesa delle gerarchie cattoliche di veder trasformati in leggi dello stato i divieti religiosi, ma invoca rispetto e garanzie anche per le persone che condividano le valutazioni della chiesa cattolica sulla sacralità e indisponibilità della vita, purché non pretendano che esse vadano imposte. Quali sono attualmente le principali questioni sul piano legi- Nuovo manifesto di bioetica laica Nella nostra società singoli cittadini e gruppi manifestano sempre più intensamente l'intento di sperimentare forme di vita nuove e si organizzano per ottenerne il riconoscimento, mentre la ricerca scientifica e le tecnologie mediche offrono nuove opzioni nei confronti di aspetti fondamentali dell'esistenza. Profondamente coinvolta in questi processi, la bioetica suscita grande interesse nell'opinione pubblica e assume un rilevante peso politico. Talvolta essa è intesa come uno strumento di difesa dalle innovazioni scientifiche e tecniche, capace di riportare la medicina sotto il controllo di credenze consolidate da tradizioni. Chi si muove in una prospettiva laica intende invece promuovere le nuove libertà, proponendo, ovunque sia possibile, regole tali da permettere la coesistenza di persone che seguono orientamenti diversi senza danni o sopraffazioni reciproche. Oggi sono in atto, da più versanti, pesanti tentativi di soffocare o di limitare gravemente gli sforzi innovativi in tal senso, in modo particolare da parte di quelle organizzazioni religiose che, piuttosto di esprimersi e operare liberamente e pubblicamente, lasciando ad altri la libertà di comportarsi secondo le proprie convinzioni profonde non dannose a terzi, per ottenere il consenso dei propri fedeli e dei singoli cittadini (come è perfettamente legittimo nel pieno rispetto del principio della libertà religiosa), pretendono di imporre i propri orientamenti a tutti i cittadini, credenti e non credenti, in forza di leggi dello stato. Il rispetto per la libertà altrui ci porta ad affermare che l'etica laica, pur assumendo forme assai variegate, costituisce un orientamento diffuso, cui informa i propri comportamenti un numero ampio e crescente di cittadini. Essa non rappresenta un corpus monolitico basato su un sistema di dogmi, bensì una linea di tendenza che riesce a individuare un ampio fascio di sensibilità morali (comprese quelle di ispirazione religiosa che rispettino l'autonomia individuale), che pongono al centro dell'esistenza alcuni valori chiave, quali il rispetto della libertà individuale e dell'autodeterminazione, l'attenzione alla qualità della vita e alla diminuzione delle sofferenze. In questa prospettiva rifiutiamo l'imposizione alla ricerca biomedica di limiti e barriere che non siano motivati da possibili danni, realmente e chiaramente provati, arrecati direttamente o indirettamente ad altri. Limiti alla ricerca di conoscenze e all'adozione di pratiche non possono essere imposti con il ricorso a etiche di un tipo piuttosto che di un altro o a convinzioni filosofiche personali, come quelle che asseriscono l'esistenza di un ordine naturale intrinsecamente benefico, perché così si rischia di impedire lo sviluppo di tecniche capaci di correggere i danni naturali prevedibili, ampliare il ventaglio delle scelte umane e rendere possibili nuovi stili di vita. Riteniamo che la bioetica laica debba anche prevenire il rischio che al tradizionale paternalismo medico si affianchino o si sostituiscano altre forme di paternalismo, quali ad esempio quello che assegna valore assoluto alla natura. Convinti che ogni nuova scoperta conoscitiva o tecnica possa generare conseguenze tanto positive quanto negative, riteniamo che si debba vigilare per rilevare tempestivamente i danni che ne possono derivare, ma che sia ingiustificato porre alla ricerca scientifica limiti pregiudiziali in nome di un generico e difficilmente quantificabile principio di precauzione, o trattarla come un'attività puramente strumentale. Alla ricerca scientifica riconosciamo il valore intrinseco che deriva dal suo contributo al miglioramento delle condizioni della vita umana. In particolare le conoscenze e le tecniche mediche hanno reso possibile affrontare la nascita e la morte secondo prospettive nuove, trasformando in un campo di scelte possibili quelle che un tempo si presentavano come un destino ineluttabile. Riteniamo che la procreazione debba essere intesa come un atto responsabile, nel quale i genitori debbano tenere conto del proprio patrimonio genetico per tutelare la salute del nascituro, che la gravidanza possa essere interrotta per tutelare la libertà riproduttiva della donna e la salute del nascituro, che sessualità e procreazione possano essere distinte e che alla procreazione possano provvedere singoli e coppie nei diversi modi messi a disposizione dalla pratica medica. Riteniamo che ci debba essere il più largo accesso alle diverse forme di controllo delle nascite, a partire dalla contraccezione e sterilizzazione volontaria per arrivare alle nuove forme con le