N. 1 |dei libri del mese | Storia 10 Volpi della politica di Francesco Germinario Romain H. Rainero PROPAGANDA E ORDINI ALLA STAMPA Da Badoglio alla Repubblica sociale italiana pp. 308, €22, FrancoAngeli, Milano 2007 Il volume è diviso in due parti: al saggio è aggiunta un'appendice ricca di documenti, che vanno dalle disposizioni del governo Badoglio in materia di stampa all'elenco degli opuscoli degli uffici di propaganda della Rsi. Il campo d'indagine, specie l'ultimo, è sostanzialmente inesplorato, perché solo da alcuni anni la storiografia italiana sta procedendo al censimento della ricca pubblicistica della Rsi. E lo stesso autore, del resto, a rilevare che, a fronte di un mai tramontato interesse per la stampa nel regime, molto scarso è stato quello per la Rsi, e inesistente l'interesse per le posizioni del governo Badoglio. Una volpe della politica come Badoglio ispira la sua linea in materia di stampa all'obiettivo di evitare che i giornali divengano casse di risonanza, se non organi, di precise richieste politiche. Da qui la scelta di mantenere intatta la struttura del ministero della Cultura popolare, con la pratica delle "veline" ecc. D'altro canto, se proprio i giornali dovevano avere una linea politica, questa sarebbe stata quella della pacificazione nazionale. Insomma, Badoglio oscillava fra l'ipotesi irrealistica di una stampa senza opinione pubblica e la sottovalutazione, altrettanto irrealistica, della consapevolezza diffusa in tutta la nazione che con il 25 luglio era crollato un regime totalitario. Quanto alla Rsi, il problema dell'informazione rimase sempre al centro dell'attenzione della classe dirigente della Repubblica, non foss'altro perché, per un verso, si trattava di ritagliarsi uno spazio rapidamente occupato dai vari uffici di propaganda tedesca operanti in Italia; per l'altro, si trattava di abolire le disposizioni bado-gliane. Non è un caso, infatti, che uno dei primi provvedimenti mussoliniani fu quello di fare licenziare il direttore dell'Agenzia Stefani, succeduto al suicida Morgagni dopo il 25 luglio. Quello della Rsi fu un periodo caratterizzato da una propaganda cartacea molto diffusa, con l'introduzione di qualche novità rispetto alla precedente politica del regime verso la stampa, dall'abolizione li ..Ha li. II. Ha.nani PROPAGANDA K ORDINI A1J.A STAMPA della censura preventiva, nel dicembre 1943, ripristinata però alla fine del maggio 1944, alla creazione della figura dei "delegati alle prefetture", cui era assegnato il compito di vigilare sulla stampa locale. Ma forse il problema politico fondamentale della Rsi in materia di stampa fu quello della difficoltà di controllare dal centro quanto veniva pubblicato nel territorio. Questa difficoltà di controllo era certamente provocata "dall'eccezionalità della situazione nella quale si trovò ad operare l'insieme degli organi di controllo della propaganda". Giustamente Rainero osserva che nella Rsi ci si trova spesso in presenza di una stampa "polemica, muhm vivace, anticonformi- sta", provocata da un'incerta caratterizzazione politica del Partito fascista repubblicano e dallo stato. In effetti, ad alimentare queste difficoltà paiono avere contribuito anche i conflitti politici delle molte anime che contrassegnarono il fascismo del crepuscolo, con una prevalenza, crediamo, dei settori più radicali, che negli ultimi anni del regime erano stati costretti a mediazioni faticose, oppure erano incappati nell'ostilità delle gerarchie e dei conflitti politici e personali fra i vari gerarchi. ■ f.germinario®libero.it F.Germinario è ricercatore presso la Fondazione Micheletti di Brescia Babele. Osservatorio sulla proliferazione semantica Terzomondismo, s.m. Il 14 agosto 1952, mentre sono al culmine la fase finale dello stalinismo e quella mediana del maccartismo, compare sul settimanale francese "Le nouvel Observateur" un articolo oggi ai più sconosciuto e tuttavia diventato indirettamente e involontariamente celebre sul terreno semantico. L'autore è il sociologo e demografo Alfred Sauvy (1898-1990). Ecco cosa si trova scritto: "Les pays sous-developpés, le 3 e monde, sont entrés dans une phase nouvelle (...) enfin ce Tiers-Monde - il termine con le due iniziali maiuscole appare qui per la prima volta, ndr - ignoré, exploité, méprisé comme le Tiers-Etat, veut, lui aussi, ètre quelque chose". Il Terzo Mondo, in un pianeta che a tutti sembra duopolistico, non allude dunque alla povertà (come accadrà negli anni sessanta e settanta), ma all'insieme dei paesi non allineati o difficilmente allineabili, paesi che non sono necessariamente "poveri", ma "in via di sviluppo". Il sottosviluppo non è infatti una condizione insuperabile, ma un punto di partenza che lascia intravedere una traiettoria futura praticabile solo all'insegna dell'autonomia. Interessante, comunque, in Sauvy, è il confronto con il "Terzo Stato", termine nato nel 1375, che così si presenta nella folgorante formulazione (inizio 1789) di Sieyès: «Qu'est-ce que le tiers état ? - Tout. Qu'a-t-il été jusqu'à présent dans l'ordre politique ? - Rien. Que de-mande-t-il ? - A y devenir quelque chose...». Forse nessun testo politico come Qu'est-ce que le tiers état ? di Sieyès, neppure il Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels (1848), ha avuto la ventura, nel corso della storia, di anticipare così radicalmente, e di poche settimane, gli eventi - in questo caso la rivoluzione del 1789 -che già stavano ridisegnando il volto della Francia e dell'Europa. Anche il termine di Sauvy evidenzia quel che sta avvenendo. E la conferenza neutralistica e anticolonialistica tenutasi in Indonesia, a Ban-dung (17-24 aprile 1955), grazie ai delegati di ventinove stati d'Asia e Africa antichissimi e nuovissimi (Liberia, Costa d'Oro, Libia, Egitto, Sudan, Etiopia, Yemen, Arabia Saudita, Giordania, Libano, Siria, Iraq, Turchia, Iran, Afghanistan, Pakistan, India, Nepal, Ceylon, Birmania, Vietnam del Nord, Vietnam del Sud, Thailandia, Laos, Cambogia, Indonesia, Filippine, Cina popolare, Giappone), mette in luce il ruolo assunto sulla scena politica intemazionale da quei popoli che costituiscono già (c'è la Cina di Mao, c'è il Giappone) un Terzo Mondo tra i due blocchi (alleati di fatto come il clero e la nobiltà nel 1789). Assimilandosi alla miseria, il termine, cattolicizzatosi e sociocomunistizzatosi, cessa poi, dieci anni dopo Bandung, di essere sovversivo, pur diventando militante. Lo si trova in La costanza della ragione di Pratolini (1963). E, negli anni, più volte in Pasolini. Intorno al 1969, mentre è già matura l'ammirazione per la Cina e per Cuba in quanto soggetti presunti integri, si diffonde infine tra molti francesi e italiani gau-chistes il termine "terzomondismo", programma che equivale alla confessione che la rivoluzione è impossibile nei paesi sviluppati - Marx e la classe operaia sono così liquidati - e che ci si deve aspettare la liberazione dal Terzo Mondo, ossia, secondo Lin Biao, dalle campagne che assediano le città. In Italia, poi, non è la prima volta che si glorifica ciò che è terzo, ossia nuovo. Si pensi alla terza età di Dante, alla Terza Italia di Mazzini (il cui poeta sarà poi Carducci), alla terza Roma, alla terza via fascista che si congiunge con il Terzo Reich, persino alla terza forza laica e progressista schiacciata negli anni cinquanta tra comunisti e clericali. Non rimaneva negli anni sessanta che il Terzo Mondo. Termine diventato antiquario e confuso a partire dalla metà degli anni ottanta. Bruno Bongiovanni La logica di Jalta di Nicola Tranfaglia Giuseppe De Lutiis IL GOLPE DI VIA FANI Protezioni occulte e connivenze internazionali dietro il delitto moro prefaz. di Rosario Priore, pp. 317, € 16, Sperling & Kupfer, Milano 2007 Uno studioso di cui tutti, da anni, hanno apprezzato le capacità di indagine e il rigore filologico, come De Lutiis, autore di una Storia dei Servizi segreti (pubblicata dagli Editori Riuniti per la prima volta nel 1984), ha accettato la sfida di offrire una ricostruzione del delitto Moro, un delitto politico che si inserisce in un contesto drammatico, e in parte segreto, che si forma fin dagli anni cinquanta, ma che ha il suo culmine nella seconda metà degli anni sessanta e del decennio successivo. E di questi anni il riaccendersi del conflitto bipolare tra le due superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica, che usano mezzi diversi (e spesso anticostituzionali nei vari paesi alleati) per difendere "l'equilibrio di Jalta" tra i due blocchi. In questo contesto, sostiene De Lutiis, si può ipotizzare che prima, o durante, il sequestro, ristrettissimi vertici delle Br siano entrati in contatto con elementi che operavano per conto di ambienti molto influenti a livello internazionale. Al di là di esigenze contingenti come il recupero dei "verbali" di ciò che Moro probabilmente rivelò nel corso degli interrogatori e il conseguente impegno alla segretezza assoluta di chi interrogò lo statista (forse in cambio di concreti aiuti in direzione di una benevola soluzione di problemi giudiziari), è plausibile che i terroristi abbiano appreso che la controparte chiedeva, al di là di quello che i brigatisti potessero pensare, che il sequestro proseguisse fino alla sua tragica conclusione. La logica di Jalta esigeva che, con quel gesto, venisse di fatto impedito che i comunisti italiani entrassero, sia pure in posizione subordinata, in un governo di coalizione. Questa eventualità era troppo pericolosa sul piano militare per gli Stati Uniti e addirittura devastante per la nomenklatura sovietica, perché l'esempio di un partito comunista democraticamente votato che entra in coalizione con partiti di altra estrazione avrebbe risvegliato antiche e sacrosante aspirazioni tra quei popoli dell'Europa orientale per i quali l'alleanza con l'Unione Sovietica si era rivelata un vassallaggio forzoso. In diversi capitoli, caratterizzati da un'esposizione impreziosita da un ricco corredo di note e dal rinvio costante a fonti testimoniali e documentarie, De Lutiis esamina, da una parte, la nascita del terrorismo nero e rosso in Italia tra gli anni sessanta e settanta, e, dall'altra, l'atteggiamento a dir poco ambiguo dei governi e delle classi dirigenti politiche, militari ed economiche del paese, dinanzi ai tentativi di golpe con fini intimidatori o ricattatori nei confronti dei partiti di sinistra. Al centro vi sono il gioco sotterraneo che si svolge tra i servizi segreti italiani e quelli di altri paesi (in particolare quello americano e il Mos-sad israeliano), gli sviluppi della politica italiana dopo il fallimento del centrosinistra e il profilarsi prima dell'eurocomunismo voluto da Belinguer, poi dell'incontro tra le masse cattoliche e quelle comuniste alla base della politica comunista e di quella democristiana, così come del tentativo di "compromesso storico". L'autore fa così emergere, con ampiezza di inediti, le contraddizioni e i misteri ancora esistenti sul rapimento, sui rifugi, sui rapitori e sui carcerieri di Moro, sui ruoli giocati da tutti gli attori del dramma, sulle volontà diverse all'interno del partito cattolico che governava da oltre trent'anni il paese. Rimangono in piedi dubbi assai forti messi in luce da attori e studiosi del dramma, come il fratello di Moro, il vicesegretario della De di allora Giovanni Galloni, l'ex presidente della Commissione stragi Giovanni Pellegrino, il giudice Priore e altri magistrati che hanno indagato sul mistero. Sussistono, in particolare, due grandi contraddizioni rispetto alle quali la ricostruzione di De Lutiis non riesce a sciogliere le componenti di fondo, ma non c'è dubbio che, attraverso il suo lavoro, possiamo arrivare più vicini alla verità. La prima riguarda le chiare reticenze o falsità dei brigatisti a proposito dei rifugi del prigioniero, del numero e dell'identità dei rapitori, delle circostanze dell'uccisione di Moro e della messa in scena finale. Si può sostenere, con qualche fondamento dopo la ricerca di De Lutiis, che il segreto e le menzogne siano state necessarie perché altrimenti troppo alto sarebbe stato il rischio di far conoscere la verità. Quelle circostanze, in altri termini, sarebbero state troppo eloquenti su quello che è davvero avvenuto, e sulle interferenze nelle azioni terroristiche. La seconda contraddizione consiste nelle rivelazioni che ha fatto Moro ai brigatisti e riguarda il memoriale di cui si è trovata una parte, ma non tutto. Anche su questo punto la conoscenza di quell'evento avrebbe svelato segreti che ancora oggi è prudente o necessario conservare. Solo risolvendo simili contraddizioni si potrà andare avanti verso la verità e il libro di De Lutiis sarà un prezioso promemoria critico. ■ tranfaglia_n@camera.it N. Tranfaglia è deputato al Parlamento della Repubblica Italiana