N. 1 Idei libri del mese| 11 Storia La strada della cautela di Daniela Saresella Passato spendibile di Giuseppe Sergi Ephraim Kleiman e Anita Shapira BRUTTI RICORDI Il dibattito in Israele sulle espulsioni di palestinesi nel 1948-1949 a cura di Barbara Bertoncin, prefaz. di Pierre Vidal-Naquet, postfaz. di Francesco Papafava, pp. 136, €12, Una Città, Forlì 2007 Nel 2005, cinquantasei anni dopo la pubblicazione nel 1949, con il titolo La rabbia del vento, è stato tradotto in Italia il libro, firmato S. Yizhar (pseudonimo di Yizhar Smi-lansky), Kbirbet Kbiza (le rovine di Khiza, nome di fantasia di un villaggio realmente esistito). Vi si raccontano la distruzione di un insediamento palestinese e l'espulsione degli abitanti da parte di truppe israeliane: chi narra è un protagonista che, fra rimorso e sforzo di spiegazione, si interroga sulle efferatezze della guerra. Ebbene, Papafava, il postfatore di questi Brutti ricordi, informa che i diritti per l'Italia sono stati concessi a patto che l'editore Einaudi si impegnasse a non farne alcuna pubblicità. Evidentemente l'autocoscienza israeliana sul tema dell'espulsione è ancora travagliata, non priva di atteggiamenti censori. In questo libro, lodevolmente "montato" dall'editore Una Città, uno dei due saggi, di Anita Shapira, ricostruisce storicamente il dibattito su Kbirbet Khiza dalla sua pubblicazione al 1978; l'altro, di Ephraim Kleiman, dello stesso 1978, racconta l'esperienza personale di un soldato israeliano che in un "luogo recondito della propria memoria" ha "ricordi sgradevoli" paragonabili a quelli di chi aveva compiuto l'espulsione da Khiza. La prefazione di Vidal-Naquet (forse l'ultimo suo scritto prima della morte nel luglio 2006) non è casuale né dovuta soltanto ad amicizia: perché queste pagine costituiscono un'eccellente radiografia dei rapporti fra storia e memoria, e fra memoria e uso politico del passato. Al grande antichista è piaciuto di più il saggio di Shapira, che è storiograficamente rigoroso e si muove nella prospettiva (auspicata da Vi-dal-Naquet) di "inserire la dimensione del tempo proustiana nel lavoro di ricerca"; ma impegno metodologico troviamo anche in Kleiman (economista dell'Università di Gerusalemme), ad esempio là dove sviluppa il parallelo fra Emile Zola nell'affare Dreyfus e Yizhar a proposito delle espulsioni dei palestinesi: entrambe prese di posizione pubbliche dall'effetto dirompente, proprio perché espresse da personalità lontane, per appartenenza, da quelle dei perseguitati. Anita Shapira compie un percorso, meticoloso e con andamento spesso cronachistico, nelle sorti del libro su Khiza e nei vari atteggiamenti di intellettuali e politici d'Israele. In questo tessuto espositivo, talora particolarmente affollato, l'autrice fa spazio a considerazioni incisive sui rapporti "tra ricordo e rimozione" e agli andamenti emblematici della politica identitaria che si richiama al passato o, al contrario, si sforza di rimuoverlo: insomma, illumina il tema delicato di quello che definisce "passato spendibile". Due tappe fondamentali della storia del libro (e della sua efficacia come spiraglio di intelligibilità di una società e della cultura) sono il suo inserimento come libro facoltativo nei programmi delle scuole, nel 1964, e la sua riduzione cinematografica nel 1977. L'apertura governativa manifestata nella prima scelta e, invece, l'opposizione della destra e di parti della sinistra alla diffusione del film sono un'eccellente prova di come un dibattito su un'opera (certo, tutt'altro che neutra) debba essere inserito in un contesto e, al tempo stesso, su quel contesto ci fornisca informazioni preziose. Perché la cronologia del conflitto arabo-israeliano, insieme con le diverse successive maggioranze della Knesset, spiega sia orientamenti politici ben meditati sia fasi diverse di una psiche collettiva che risulta in Israele socialmente poco stratificabile. La biografia dell'autore è segnata dalla contraddittorietà degli ambienti democratici e pacifisti: "Yizhar era combattuto tra la giustificazione del sionismo e l'amore per i giovani soldati da un lato, e il risentimento nei confronti dello Stato e l'odio della guerra dall'altro". Con qualche forzatura l'opera può essere interpretata come denuncia del tradimento, da parte di chi combatte e si fa trascinare dalla violenza nei confronti di famiglie inermi, degli ideali di chi ne aveva armato le mani. La tolleranza che conduce all'adozione scolastica è esito infatti di un primo lungo dibattito che "ha permesso ai critici di confrontarsi più con il sintomo (il comportamento dei soldati) che con l'evento principale (l'espulsione)". La durezza della controversia successiva (1978: sul film del regista Ram Levi) è tutta condizionata dal possibile "danno arrecato all"immagine di Israele'", e pone il problema del disvelamento della verità: una verità che, si dice spesso, diventa più comunicabile se non è presente ma è storia. Ma quando presente e passato sono ancora intrecciati, quando la storia può essere strumento di propaganda, la manipolazione è sempre in agguato, ad esempio con l'uso della parola "trasferimenti" anziché "espulsioni". La manipolazione stessa deve essere oggetto della ricerca storica, è da studiare senza pregiudizi: l'indignazione può poi svilupparsi sui risultati della ricerca. ■ sergi.storia@gmail.com G. Sergi insegna storia medievale all'Università di Torino Eliana Versace MONTINI E L'APERTURA A SINISTRA Il falso mito del "vescovo progressista" pp. 281, €24,30, Guerini e Associati, Milano 2007 Giovanni Battista Montini è stato a lungo considerato un esponente delle gerarchie ecclesiastiche tra i più a-perti alle novità e alle sollecitazioni del Novecento. Figlio di un deputato del Partito popolare, scettico nel 1929 nei confronti del Concordato, sostituto alla Segreteria di stato durante il pontificato di Pio XII insieme al cardinale Ottaviani per compensarne gli aspetti più conservatori, estimatore del mondo cattolico francese e consigliere di De Gasperi nella costituzione della Democrazia cristiana, viene sempre dipinto come un uomo del dialogo e del confronto. Negli anni sessanta divenne il papa del Concilio e soprattutto il promulgatore della Populorum progressio, l'enciclica nella quale si mettevano a nudo le responsabilità del Nord del mondo nelle condizioni del sottosviluppo del Sud; tali analisi legittimarono i movimenti più radicali nati in America Latina e in particolare il sorgere della Teologia della liberazione, verso la quale Paolo VI non mancò di esprimere il suo dissenso, e la cui elaborazione fu poi stroncata con determinazione da Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede durante il pontificato di Giovanni Paolo II. Montini, dal 1954 al 1963, fu arcivescovo di Milano e, finora, si è creduto che la prima giunta di centrosinistra in Italia fosse nata proprio nel capoluogo lombardo nel gennaio del 1961 grazie all'atteggiamento non ostile a tale ipotesi politica del presule. Il libro di Eliana Versace, che affianca altre ricerche già in corso nella stessa direzione, fornisce però - sulla base di importanti acquisizioni archivistiche, e in particolare del materiale depositato presso l'Archivio storico diocesano di Milano - un quadro più veritiero del ruolo esercitato da Montini nel decennio in cui governò la diocesi più grande del mondo. L'arrivo di Montini nel capoluogo lombardo nel 1954 fu salutato con grande entusiasmo dagli ambienti più progressisti del mondo cattolico, che ben presto rimasero però delusi nelle loro aspettative dalle eccessive cautele. L'arcivescovo, tra l'altro, entrò in contrasto con la Democrazia cristiana milanese che, dalla metà degli anni cinquanta, era guidata dagli esponenti della Base, cioè da una generazione di cattolici che, cresciuti durante la crisi del governo fascista e la seconda guerra mondiale, avevano constatato nell'esperienza della Resistenza la possibilità che le diverse forze politiche popolari potessero collaborare con comune profitto. I dif- ficili rapporti con i basisti erano acuiti dal fatto che Montini vedeva dietro al gruppo un progetto, ordito dall'Eni di Enrico Mattei, per influenzare la linea politica del partito e per fare compiere alla De un passo in direzione di una maggiore autonomia dalle gerarchie ecclesiastiche. Gli esponenti della Base furono inoltre tra i più risoluti sostenitori della necessità di approdare a una politica organica di centrosinistra, con il pieno coinvolgimento del Partito socialista nelle responsabilità del governo locale e nazionale. Montini riteneva che accettare la collaborazione con un partito che si professava marxista e portatore di un'ideologia laicista fosse sbagliato e pericoloso e soprattutto significasse svalutare la dottrina sociale della chiesa, che da sola era sufficiente per condurre una politica di riforme sociali e di apertura ai ceti popolari. L'arcivescovo, in alternativa a progetti "pericolosi", ribadiva la necessaria convergenza e unità politica dei cattolici e l'opportunità di un programma che ne salvaguardasse principi e interessi. Anche nei confronti di don Primo Mazzolari (1890-1959), punto di riferimento per quanti si battevano per la pace e contro la povertà, l'arcivescovo si mosse con molta cautela, pur giudicando - nota Versace - "improprie e inopportune" certe iniziative del parroco di Bozzolo (in provincia di Mantova) e delle persone a lui vicine. Del resto, contro i cattolici più inquieti, armò nel 1955 la penna di monsignor Olgiati che, sulla "Rivista del clero italiano", pubblicò una lettera anonima, ma da lui redatta con la supervisione dell'arcivescovo, in cui un sedicente sacerdote si scagliava contro le riviste "Adesso", "La Base", "Prospettive" e "Dibattito politico", ree di mancanza di rispetto, venerazione e ossequio nei confronti dell'autorità ecclesiastica. Ulteriore dimostrazione dei rapporti difficili fra Montini e i "basisti" furono le riserve espresse sulla candidatura, in occasione delle elezioni politiche del 1958, di Luigi Granelli, esponente di spicco della sinistra democristiana milanese; ciò nonostante, anche in questa occasione, l'ex sostituto non mancò di garantire il suo appoggio elettorale alla De, l'unico partito legittimato a rappresentare le istanze dei cattolici. Analoghe avversioni e chiusure l'arcivescovo dimostrò di fronte all'avvicinamento tra Democrazia cristiana e Partito socialista in occasione delle elezioni amministrative dell'autunno del 1960, tanto è vero che anche in questa occasione Montini si adoperò con tutta la sua energia perché quel progetto non si concretasse. Ci si chiede: se questa è la ricostruzione che un'attenta analisi delle fonti da poco disponibili legittima, perché per anni si è creato il falso mito del "vescovo progressista"? Versace prospetta l'ipotesi che sia stato un calcolo preciso ordito da alcuni esponenti della sinistra democristiana milanese per creargli imbarazzo nei circoli romani e per neutralizzare possibili pressioni sul Vaticano contro gli esponen- ti più rappresentativi del mondo cattolico milanese. Ma un'ulteriore risposta potrebbe essere in un termine che l'autrice utilizza spesso per descrivere l'azione di Montini e cioè "cautela", che si può tradurre nel timore, proprio anche del carattere dell'uomo, di un passo azzardato, di una scelta troppo radicale; del resto, anche negli anni del Concilio, Paolo VI si adoperò per mitigare gli eccessi e perché si intraprendesse la strada di un rinnovamento nella continuità e non quella di una rifondazione del cristianesimo. Il libro di Versace è senz'altro un lavoro che apre nuovi scenari interpretativi e ci fa comprendere un periodo della vita del futuro Paolo VI sino a oggi ancora sconosciuto. Se si volessero individuare dei limiti a tale ricerca si dovrebbe semmai sottolineare l'assoluta mancanza nel libro a riferimenti a personalità di spicco della cultura cattolica progressista milanese di quegli anni, quali David Maria Turoldo e Camillo De Piaz, alla nascita presso l'Università Cattolica di gruppi come quello della rivista "Relazioni sociali", redatta da personaggi di spicco come Emanuele Ranci Or-tigosa, Ruggiero Orfei e i fratelli Onida; allo stesso modo, si fa solo accidentalmente riferimento alla nascita nel 1954, a opera di don Giussani, di Gioventù studentesca, senza seguire i rapporti tra questo gruppo e Montini che, come è noto, non furono particolarmente facili, soprattutto durante il suo pontificato. ■ BUFFY THE VAMPIRE SLAYER Legittimare la Cacciatrice a cura di Barbara Maio Pagine 144 €13,00 ISBN 978-88-7870-256-1 BULZONI EDITORE La serie Buffy The Vampire Slayer rappresenta un chiaro esempio di televisione di qualità ed il suo creatore Joss Whedon incarna la figura dell'autore televisivo che cura il prodotto dalla regia alla scrittura, dalla produzione al casting. La serie Buffy non ha raggiunto in Italia una notorietà spettata a prodotti di qualità sicuramente inferiore, ma resta ancora oggi tra i prodotti più amati da un pubblico attento e curioso. In Italia non esiste oggi una bibliografia adeguata all'importanza di questa serie e questo volume cerca di colmare la lacuna presentando punti di vista nuovi originali sui molteplici aspetti della serie, dal gender al genere, dai cultural studies al mondo dei comics. Il volume presenta interventi di studiosi Italiani e stranieri: David Lavery e Rhon-da V. Wilcox, i fondatori dei Buffy OStu-dies statunitensi, Franco La Polla, Vito Zagarrio, Jeffrey Bussolini, Giuseppe Cozzolino, Flavia Fabozzi, Veronica Innocenti, Christina Kòver, Corrado Peperoni. Brutti ricordi