N. 4 Politica 10 Le vite degli altri Trasparenti metafore di Aldo Agosti di Valentino Cecchetti Roger Caillois LA COMUNIONE DEI FORTI ed. orig. 1943, a cura di Marco Brunazzi, trad. dal francese di Anna Baldi e Annamaria Laserra, pp. 204, € 10, Bollati Boringhieri, Torino 2007 ut a bella Victoria Ocampo ha rapito J_/Roger Caillois - scrive Sartre a Simone de Beauvoir nel febbraio 1939 - voilà, partiti tutti e due per l'Argentina". Invitata da Paulhan ad ascoltare Caillois sulla théorie de la fète, la quarantanovenne direttrice di "Sur" lo ha trascinato in Sud America per un ciclo di "De-bates sobre temas sociológicos". Caillois conta di rientrare in Europa alla fine dell'estate. Il soggiorno in Argentina durerà cinque anni. Nel frattempo è scattata la mobilitazione (anche se Caillois è stato riformato nel '37), ma soprattutto al giovane intellettuale non appaiono componibili i dissensi con Bataille. Lo testimonia La Communion des forts. Études de sociologie contemporaine, congedo dal Collège de Sociologie, che il pubblico italiano legge ora nella prima traduzione integrale, curata da Brunazzi, autore della postfazione, I nuovi ateniesi, indispensabile per comprendere, all'interno del materiale eterogeneo (antropologico, politico, sociale), il senso unitario di questi saggi. La communion des forts esce a Città del Messico nel 1943 nella collana di propaganda di Fran-ce Libre. Raggruppa nelle tre sezioni - La matiè-re sociale, Dures vertues, Attente de l'élite - "saggi pubblicati in tempi diversi". Viene ripubblicato nel 1944 a Marsiglia per le Editions du Sagittale, amputato - "par crainte de la censure" - dei testi più divaricati: Le vent d'hiver (manifesto del Collège, ne aveva condizionato la fortuna: Benjamin aveva parlato di surfascisme, Mauss di hitleri-smé)\ la discussione sul marxismo presente nel saggio Destin du matérialisme historique e la terza parte, Défense de la Republique, Hiérarchie des ètres e Athènes devant Philippe. In realtà proprio questi ultimi saggi argentini sono le "trasparenti metafore" dell'atteggiamento di Caillois nei confronti del manifestarsi storico della "sacra sinistra" totalitaria. Le vent d'hiver (apparso nel dossier che nel '39 la "Nrf" dedica al Collège) preconizza l'avvento di un'era glaciale e il passaggio all'azione politica settaria, che Caillois chiama "teurgica". Nei saggi di Attente de l'élite si registra la conversione verso lo "spirito attico" (soprattutto in Athènes devant Philippe, allusione al-l'appeasement di Monaco). Caillois abbandona l'attivismo del periodo del Collège, lo trasforma in uno strumento di resistenza stoica alle forze della "vertigine", sostituendo all'idea della "comunità d'azione", teorizzata negli anni trenta, la ricerca di un "chiericato, di un ordine disciplinato dalla ragione e dalla civiltà". La postfazione di Brunazzi indica, in un percorso che appare "tortuoso e umbratile, talvolta persino criptico", l'importanza del tema politico della Communion des forts. Parola chiave (con "ordine" e "segreto") è proprio "vertigine". Una vertigine che nei saggi della terza sezione "opera all'inverso": "Non ghermisce soltanto nell'abisso della perdita di sé", ma "solleva in un turbine ascensionale simmetrico a quello che inghiotte. Coloro che ne sopravvivono sono i forti. La loro consapevolezza condivisa realizza allora quel che sembrava irrealizzabile: la comunità dei forti. Utopica terza via tra democrazia e fascismo, ma anche - perché no? - tra democrazia e comunismo". Strategia media di Giovanni Borgognone G. John Ikenberry IL DILEMMA DELL'EGEMONE Gli Stati Uniti tra ordine liberale e tentazione imperiale ed. orig. 2006, trad. dall'inglese di Enrico Fassi, pp. 358, €20, Vita e Pensiero, Milano 2008 Ikenberry, considerato uno dei più autorevoli studiosi americani di politica estera, raccoglie in questo volume una serie di saggi pubblicati su numerose e importanti riviste, da "Foreign Affairs" a "National Interest", a partire dalla fine del 1989, ovvero dall'inizio della cosiddetta "età post-bipola-re". Le sue tesi sono rappresentative degli ideali che hanno caratterizzato in quest'ultimo ventennio le riflessioni liberal sul nuovo ruolo degli Stati Uniti nell'arena internazionale: analogamente a Joseph S. Nye e a molti altri autori del campo democratico, infatti, Ikenberry ha ipotizzato una "missione" egemonica americana, da realizzarsi però non semplicemente attraverso l'esercizio "duro" del potere, bensì in termini multilaterali e persuasivi. Nei primi saggi l'autore mette in luce come gli Stati Uniti siano stati, durante la guerra fredda, produttori di un "ordine internazionale" assolutamente inedito nella storia dell'umanità, un ordine "liberale", basato sulla cooperazione e sul multilateralismo. Certamente esso non può che dipendere dalle iniziative degli stati potenti, e dunque da quelle americane in primis. Ma la posizione dei teorici "realisti" nelle relazioni internazionali, quella poggiante unicamente sugli interessi egoistici degli stati, non è stata in grado di spiegare, secondo Ikenberry, il persistere della cooperazione liberale nel mondo post-guerra fredda: non si sono verificati, in effetti, gli schemi previsti di comportamento realista statale e di "anarchia internazionale"; si è assistito, al contrario, a una riduzione dell'insicurezza e della rivalità nei rapporti tra le grandi potenze. Affinché si possa progredire nel progetto di costruzione di un ordine istituzionale internazionale è necessario, però, che lo stato-guida si autoimpon-ga dei limiti di potere. Questa è la preziosa opportunità che oggi gli americani dovrebbero cogliere. La proposta di Ikenberry consiste pertanto in un'egemonia "liberale" da parte degli Stati Uniti, che si riveli come modello attraente per la maggior parte del mondo. Il dilemma dell'egemone Il mondo, certo, è cambiato. Non si devono tuttavia abbandonare le vecchie alleanze. Il terrorismo non è una minaccia proveniente da uno stato, e ciò rende molto difficile combatterlo; gli strumenti complessi richiesti non possono che trarre notevole giovamento dalla cooperazione internazionale: ecco un'ulteriore ragione per cui Ikenberry è dell'avviso che l'America debba fare molta attenzione a non distruggere tutte le forme di partnership e di progettualità a livello internazionale concepite e messe in atto durante la guerra fredda. Risultano evidenti in tale prospettiva l'ottimismo e l'idealismo liberal: gli Stati Uniti hanno la possibilità di essere diversi da tutti gli imperi europei del passato, che "cercarono di espandere il loro dominio imperiale e di imporre un ordine coercitivo sugli altri", ma vennero abbattuti perché nessun paese al mondo sarebbe stato disposto "a vivere in un mondo dominato da uno stato eccessivamente coercitivo". L'America ha "obiettivi imperiali" molto più limitati e "benigni": questo modello, e non una spericolata grand strategy neoconservatrice, potrà garantirle, secondo Ikenberry, l'egemonia anche in futuro. ■ giovborggtiscalinet.it G. Borgognone è dottore di ricerca in storia delle dottrine politiche all'Università di Torino Mauro Boarelli LA FABBRICA DEL PASSATO Autobiografie di militanti comunisti (1945-1956) pp. 281, € 19, Feltrinelli, Milano 2007 Nel primo decennio del dopoguerra, il Pei richiedeva ai suoi militanti, riprendendo la prassi del partito sovietico e del Comintern, di raccontare pubblicamente oppure di scrivere la storia della propria vita. Mauro Boarelli ha lavorato per anni sul fondo di milleduecento autobiografie di militanti comunisti bolognesi depositato presso l'Istituto Gramsci dell'Emilia-Romagna: ha riletto e interpretato questo materiale in una chiave molto complessa e ambiziosa, quella dell'analisi dei rapporti di potere che coinvolgono l'uso della scrittura nella società. "La scrittura - afferma Boarelli - ha svolto storicamente una funzione ambivalente: ha rappresentato un formidabile strumento di emancipazione sociale e individuale, ma è stata anche all'origine di nuove forme di controllo incarnate in modo particolare dallo Stato, che si è affermato come il suo principale promotore e mediatore". La sua ricostruzione dimostra che questa ambivalenza si è riprodotta, su scala minore, anche all'interno di un'istituzione come il Pei degli anni più duri della guerra fredda: per la verità, anzi, nel tentativo di ricostruire la propria biografia che compivano migliaia di militanti appena alfabetizzati, Boarelli sembra voler sottolineare soprattutto l'aspetto del controllo e dell'autocensura indotti dall'esterno piuttosto che quello dello sforzo di autoelevazione e di introspezione in cui pure si impegnavano. Così è portato a insistere sulla contraddizione "tra l'ingresso nella politica attiva di centinaia di migliaia di persone che svolsero un ruolo importante nella costruzione dello Stato democratico e il carattere subordinato della loro militanza, tra le possibilità educative dell'impegno civile e il pedagogismo dai tratti autoritari che caratterizza la direzione politica". E un modo di considerare il problema certamente legittimo, ma non del tutto convincente, che sembra riportare in auge la vecchia contrapposizione spontaneità-organizzazione, all'inter- www.lindice.com ...aria nuova nel mondo dei libri ! no della quale la prima è rappresentata come valore e la seconda, se non proprio come disvalore, come coazione e imposizione calata dall'alto. Se ne vede un riflesso nei giudizi liquidatori che Boarelli riserva alla "storiografia politica" sul Pei, sposando il giudizio di Piero Bevilacqua sulla "povertà e arretratezza di strumentazione, di temi, di approcci metodologici" che la caratterizzerebbe (una valutazione che una lettura non prevenuta dei libri, per esempio, di Paolo Spriano, rivela in buona parte infondata). Il libro si articola in cinque densi capitoli ricchi di notazioni spesso interessanti: per esempio, a proposito di un tema affrontato nella recente ricerca di Marco Fincardi (cfr. "L'Indice", 2008, n. 2), quello della rappresentazione mitica dell'Unione Sovietica, si colgono gli echi di una concezione millenaristica del tempo e di forme di religiosità popolare sviluppate nel corso di secoli in contrasto con la teologia ufficiale. Affascinante è anche l'ultimo capitolo, Tracce di lettura, in cui con molta finezza viene verificato quanto i modelli narrativi dei non molti libri letti dai militanti (La madre di Gorkij, Il tallone di ferro di Jack London, a volte anche Come fu temprato l'acciaio di Ostrovskj e Furore di Steinbeck) influenzino "la struttura e i contenuti delle narrazioni autobiografiche". E si fa leggere con interesse il capitolo intitolato Sconfinamenti, dove vengono analizzati quei particolari momenti dei racconti autobiografici che si discostano dal rigido modello previsto dal partito, e che lasciano emergere "emozioni, paure, giochi, sogni, sesso, [tutti] temi che non rientravano negli schemi del committente". E tuttavia proprio qui sta il punto: Boarelli sembra affascinato più dalle forme espressive in cui le vite dei militanti vengono raccontate, e quindi dal loro subtesto, che non dal loro vero e proprio contenuto, e da quello che rivelano della storia delle classi subalterne italiane. L'immenso e inesplorato archivio della cultura popolare" che per sua stessa ammissione ha di fronte viene così utilizzato in una maniera certamente raffinata, ma parziale. Lo straordinario universo di miseria e deprivazione, e insieme di crescita culturale e di emancipazione politica che le storie di vita dei militanti bolognesi raccontano con dovizia di particolari, e che è l'humus in cui attecchiscono le radici del Pei non solo dopo la liberazione ma già durante il fascismo, resta nella ricostruzione di Boarelli più uno sfondo dato per conosciuto e scontato che non un problema centrale della storia italiana. ■ aldo.agosti?unito.it A. Agosti insegna storia contemporanea all'Università di Torino