I laburisti hanno perso il sorriso di Cristina Bianchetti Architettura Un viaggio perfetto e inconcludente di Luigi Marfé 6 6 T ' i chi cammina - scrive Iain Sindair in I ■ London Orbitai - si sospetta al primo istante". Ed è proprio la carica sovversiva implicita in ogni vagabondaggio la chiave poetica di questo resoconto, che descrive sette passeggiate intorno alla M25, la tangenziale che circonda Londra. Convinto che il futuro della città vada cercato nelle sue periferie, Sinclair sceglie come guide Michael Moorcock e James Graham Ballard. Viaggiare nel junkspace postmoderno dei centri commerciali e degli aeroporti significa per lui sottraisi alle menzogne del sistema dell'informazione e ritrovare l'autenticità di uno sguardo diretto. "Il bello delle nostre escursioni era la possibilità di amplificare la percezione della realtà all'indicativo presente, -scrive - di staccarci per un breve lasso di tempo dai trucchi degli illusionisti della comunicazione, dai venditori di frottole e dai bugiardi salariati". London Orbitai è uscito in Gran Bretagna tra i libri di "Granta", la rivista che negli anni ottanta ha rinnovato profondamente la letteratura di viaggio, pubblicando i resoconti di Bruce Chatwin e di Paul Theroux. Per salvare la scrittura odeporica dalla fine dei viaggi e dal turismo, questi scrittori hanno trasformato i propri itinerari in percorsi metatestuali ironici e divaganti. La "pazzia in forma di viaggio" che ha spinto Sinclair a circumnavigare Londra deve molto in particolare a The Kingdom by the Sea (1983) di Theroux, il resoconto di un viaggio intorno alle coste della Gran Bretagna. Per entrambi, un viaggio circolare - dal momento che inizio e fine coincidono — è potenzialmente infinito e quindi allo stesso tempo perfetto e inconcludente. Il camminatore (stalker) al centro di London Orbitai non è però il saunterer descritto da Henry David Thoreau e nemmeno il flàneur di Walter Benjamin. Come sottolinea la preziosa introduzione di Nicoletta Vallorani, Sinclair è spinto al viaggio da uno scopo preciso: denunciare gli errori politici connessi con la pianificazione territoriale di Londra. È per questo che London Orbitai propone per il viaggiatore la nuova definizione di fugeur. Secondo Sinclair, il concetto di fuga non va inteso solo come "deriva", ma anche come "frattura". Viaggiare a piedi implica una poetica della marginalità che mira a sovvertire gli automatismi dei nonluoghi e ridestare lo spazio a nuova significazione. "Voglio camminare lungo il raccordo autostradale, - scrive Sinclair - convinto che in questo limite, in questo nulla, troverò narrazioni nuove". Il mondo descritto in London Orbitai è un melange del frammentario e del provvisorio, in cui "la geografia è stata piegata a una logica degna di Lewis Carroll". Sinclair scommette però sul fatto che questo spazio disarmonico possa rivelarsi anche un motore per l'invenzione letteraria. Il suo è infatti soprattutto un viaggio nel tempo, che estrae dalla topografia di Londra le storie di chi ci ha vissuto o l'ha attraversata. "Il passato trapela sempre: - scrive Sinclair - filtra attraverso un miasma impossibile da sradicare". È per questo che London Orbitai ha il ritmo di una ballata della fantasia, che trasforma il "fossato concettuale" della tangenziale - che sulle mappe segna "il limite di ciò che chiamavamo Londra" - nel "vero territorio in cui l'Inghilterra si fa racconto". Iain Sinclair LONDON ORBITAL A piedi attorno alla metropoli ed orig. 2003, a cura di Nicoletta Vallorani, trad. dall'inglese di Luca Fusori, pp. 575, con dvd, € 35, Il Saggiatore, Milano 2008 M25 è il nome di una grande stella, di un divano, di una pasticca di ecstasy e del raccordo autostradale di Londra: una lucida e sottile pelle d'asfalto che con i suoi 188 km cinge per intero la città. Un anello immaginato da Edwin Lutyens e Charles Bressey nel 1937, ridisegnato da Abercrombie dieci anni dopo e realizzato tra gli anni settanta e ottanta. Inaugurato il 29 ottobre 1986 da una frettolosa e infreddolita Margaret Thatcher, con una cerimonia posticcia. Non ignara della surreale onda di patriottismo generata qualche mese prima dalla guerra delle Falklands. All'inaugurazione i lavori non erano del tutto ultimati. Si trattava di far finta che lo fossero, in modo che un minuto esatto dopo l'apertura, alle 11,16, la prima auto potesse entrare nel circuito. Da lì, un flusso ininterrotto. L'M25 incomincia a funzionare come un'orbita intorno alla città, il luogo di un movimento circolare e compulsivo che non sembrerebbe portare da nessuna parte. Una metafora per capire ciò che la strada racchiude: la trasmutazione di una città che Steen Eiler Rasmussen, in un famoso libro degli anni trenta, aveva definito the unique city. Alla fine degli anni novanta, Iain Sinclair inizia i suoi percorsi sulla M25 in compagnia di una sorta di combriccola circense, fatta di pittori, fil-maker, sodali, artisti. Sinclair non percorre la strada, ma i suoi margini. Si muove all'interno dell'impronta acustica, in un clima ballardiano fatto di capannoni, campi deserti, luoghi ai quali nessuno bada. Spazi disegnati dalle reti del gas, dell'elettricità, dell'acqua, o dalla presenza fitta delle telecamere di sicurezza. Il motore narrativo è nella periferia. In quella finta America ai margini dell'autostrada, puntuata da campi da cricket, proprietà segrete perlopiù militari, cliniche psichiatriche, campi da golf, canili, raffinerie, spazi ritagliati intorno a Heathrow, fabbriche di polvere da sparo che diventano colonie per specie minacciate di estinzione. Gli spazi marginali sono quelli nei quali la natura trova accoglienza. Dove il mutamento si rende visibile con più facilità: ville e giardini trasformati in finti villaggi o in parcheggi da decine di migliaia di macchine. La dislocazione è fertile. Permette di chiarire l'orizzonte irregolare della città, nel contempo, di capire la strada. L'M25, con il suo apparato feticista, è pura noia depurata dalla nostalgia. Una condizione che non offre altro che se stessa. Che può essere letta solo grazie a metafore di follia: ilare quella del conte Dracula, "maturazione definitiva dell'immobiliarista", o meglio delle speculazioni delle mafie russe sui terreni intorno a Heathrow. Un immobiliarismo, quello russo, ben diverso dal-l'immobiliarismo nostrano, che ha ancora oggi la faccia finto-bonaria di Alberto Sordi. Non certo i tratti dell'ipnotico, surreale Gary Oldman nel film di Coppola. Muoversi lungo la strada come esercizio esplorativo. Sinclair non è certo Inanimale ascetico" descritto da Benjamin. La sua non è flànerie. Ma neppure una delle tante pratiche situazioni-ste, a dispetto dei termini che anche nel libro spesso ricorrono: la psicogeografia, immancabile, e la dérive, che serve a rileggere in chiave divertita anche il funerale di Diana. Troppo facile, ora che il situazionismo è evocato per tutto, dimenticando la carica eversiva del Ne travaillez jamais che lo reggeva. Pacificato in una passeggiata. Quella di Sinclair non è pratica situazionista. Allude sì al punto di vista ludico del gioco, ma in una prospettiva depurata dall'etica rivoluzionaria. Non ha un carattere antagonista. Si accontenta di una rude ironia che si esercita sullo spazio come sulla società. I laburisti sono "vecchi conservatori con un taglio di capelli alla moda e un sorriso elastico al posto della borsetta piena di piombo". Tony Blair è il protagonista di una finta rigenerazione culturale e civile che si traduce in una finta novità politica. Incarna un momento nel quale essere progressisti non è più contrastare la famiglia, ma compiacersi, direbbe Ba-diou, di essere un buon papà. In cui la fede nel libero mercato diventa fondamentalismo e qualsiasi tema di redistribuzione di ricchezza appare irrimediabilmente obsoleto. Da qualche giorno i laburisti hanno perso quel sorriso. Insieme alla possibilità di governare Londra. La figura di Boris Johnson, il nuovo sindaco quasi profetizzato, in filigrana, nel libro di Sinclair, porta al centro del palcoscenico politico celebrità, ricchezza e ultra-conservatorismo. È a figure come quella di Johnson che viene affidata, dalla sconfitta del New Labour, una città balcanizzata. Una città nella quale il 70 per cento dei cittadini è contrario alla presenza della Gran Bretagna in Iraq. E nel contempo sceglie un sindaco favorevole alla guerra. La dura polemica nei confronti di questi anni si radica, per quel che più direttamente riguarda il libro di Sinclair, nelle forme dello spazio. Un aspetto ormai inusuale, che richiama le vecchie inchieste. Certo, anch'esse aggiornate in nuove forme, poiché questo libro, che non dipana volutamente le innumerevoli storie che incontra, ma, con postura barocca, nelle sue 575 pagine, vi si immerge, è anche un film progettato e realizzato con Chris Petit, presentato a Venezia nel 2002. Un'altra dislo- cazione. Dagli spazi marginali, alle immagini marginali, rifiutate della M25. Un camminare e guardare che diventa un rovistare tra vecchie riprese alla ricerca di qualcosa di recuperabile. Un pellegrinaggio che diventa il lavoro di un barbone digitale. Senza trascrizione da una forma all'altra. Così come non c'è trascrizione in forme già date, tra lo spazio e le pratiche che lo attraversano. Parlare della città è questo coinvolgimento compiaciuto. Una forma di ridondanza narrativa da consumare in compagnia. Che al centro, ha, come si è detto, lo spazio, l'architettura. H libro inizia e termina con un anatema nei confronti del Millennium Dome. Siamo abituati a retoriche celebrative delle architetture contemporanee d'autore, ritenute salvifiche per le città, quasi indipendentemente da ogni altro aspetto. Bilbao ha costruito una forma del racconto, ormai logora. Qui è il contrario. Ad aprire il libro e il viaggio di Sinclair è la necessità, l'urgenza di allontanarsi da quella cosa aliena, precipitata nel fango della penisola di Greenwich. Corpo estraneo di centomila metri quadrati. Gran- de cavità sospesa a dodici alberi d'acciaio alti cento metri. Una grande ameba che avrebbe potuto anche espandersi e inglobare tutta Londra, fino all'autostrada. Il viaggio è il tentativo di esorcizzare la sua natura malvagia. Il vitalismo selvaggio che ne fa bolla immediatamente consumata: fin da subito dopo l'inaugurazione, non si sa cosa farsene, cosa potrà essere: struttura per raves, parco a tema, palazzetto del ghiaccio, luogo espositivo. L'immancabile litania che accompagna molte grandi attrezzature che pongono, con un'accelerazione straordinaria, il problema di sopravvivere alle proprie iniziali intenzioni. Anche gli ultimi rituali del viaggio riguardano il grande circo progettato da Richard Rogers. Così che l'intero viaggio diventa una circumnavigazione attorno a esso, a distanza di sicurezza. Il tentativo di rimuovere e scongiurare la natura malefica da un lato, i premi ossequiosi dall'altro (Royal Academy Summer Exhibition 1998, RIBA Award 2000, European Structu-ral Steel Design Award 2000, Ci-vic Trust Award Commendation 2000). La distanza non potrebbe meglio rappresentare la crescente diffusa insofferenza per architetture percepite come stravaganze: forme di spettacolo che vorrebbero convincerci, senza riuscire a raccontare i nostri problemi. ■ c.bianchetti§fastwebnet.it C. Bianchetti insegna urbanistica al Politecnico di Torino