N. 7/8 10 Romanzo semplice di Giovanni Choukhadarian Giuseppe Conte L'ADULTERA pp. 284, € 16,60, Longanesi, Milano 2008 E buona norma critica ignorare la produzione narrativa di Giuseppe Conte. Egli è infatti poeta molto pubblicato, premiato quanto basta e noto anche per apparizioni televisive di buona fortuna (ora ridotte a zero, ma il bollo di autore televisivo non si perde con tanta facilità). Inoltre, Conte è pur sempre l'autore della Metafora barocca (Mursia, 1972), che è citato da Umberto Eco nel ven-dutissimo Come si fa una tesi di laurea (Bompiani, 1977). Resta che l'uomo ha in catalogo un numero ingente di romanzi, usciti da Rizzoli e Longanesi; e fuori catalogo è, per il momento, il debutto da Feltrinelli (Primavera incendiata, 1980). Persistere nel-l'ignorare una mole di prosa d'invenzione ormai quasi trentennale non è, beninteso, reato. D'altro canto, il lettore di narrativa italiana di oggi, magari un po' annoiato dai romanzi di genere con cui si pretende di interpretare il secolo presente e venturo può incuriosirsi a un titolo come L'adultera, impreziosito per di più da un'Estasi di Maddalena del malnoto fiammingo Louis Fin-son. Succede che, nel caso di specie, la curiosità sia soddisfatta da un romanzo per molti versi inusuale. Prima di tutto, come anche nelle ultime due prove (Il terzo ufficiale e La casa delle onde, Longanesi, 2002 e 2005), Conte si misura con il romanzo storico. La ragione è, spiega l'autore, che ci sono tante grandi storie da raccontare, fra le quali non rientrano quelle della sua vita privata. e non è un manifesto contro w3 l'autobiografismo in prosa, di certo gli somiglia; e magari è il benvenuto, in una letteratura che è di recente dominata dal "più lurido di tutti i pronomi" (è Gadda nella Cognizione). Qui però la voce narrante usa proprio la prima persona singolare, ma è quella di una donna: appunto l'adultera del passo evangelico (Gv 8, 1-10). Tanto per iniziare, quindi, un terzetto di sfide: Conte, uomo maturo, parla con parole di donna; la donna è vissuta duemila anni fa circa e, da ultimo, è ignota in tutto salvo che per quanto ne dice la perico-pe giovannea. Come dirne? La scelta dell'autore è quella della confessione. L'adultera, nell'anno 817 ab urbe condita, cioè il 64 dopo Cristo, incontra un vecchio su una spiaggia vicino a Roma. È una donna di bellezza avanzata ma non trascorsa e il vecchio, che è naturalmente anche saggio, rimane colpito non soltan- to dall'aspetto fisico di lei, ma anche dai segni che con furia controllata traccia sulla sabbia (come Gesù fece prima di mandarla assolta, con l'ammonimento poi proverbiale: "Va' e non peccare più"). Questo primo movimento del romanzo, che ha struttura sinfonica, s'intitola L'incontro. Segue il libro primo delle Memorie di una schiava dedicate al proprio signore, anno DCCCXVIII della fondazione di Roma, cioè in sostanza l'infanzia e la giovinezza della donna, i suoi amori precoci per il mare prima, poi per un soldato romano (il nemico), oltre al matrimonio, concordato secondo l'uso, con un suo connazionale che non ama e da cui ha però un figlio. Il terzo tempo è intitolato alla tempesta, che occupa una quindicina di pagine e, nella dimensione sinfonica cui si faceva cenno poco innanzi, ha il ruolo di un allegro. Le Memorie di una schiava proseguono con un fitto secondo libro, che racconta le peregrinazioni dell'adultera dalla spianata su cui Cristo l'assolve dai peccati; prima a Qum-ran, presso gli Esseni, poi a Cipro, dove conosce e pratica l'amore per le sue simili, infine a Roma. L'ultimo movimento, l'Addio, ha la forma di un vero e proprio tombeau. Una struttura così imponente conferma la fiducia che l'autore nutre nelle possibilità della narrazione. Conte usa un periodo ampio ma tendente alla paratassi, usa un lessico ricercato e insieme non prezioso. Sarà anche per questo che imo scrittore e lettore esigente come Giovanni Mariotti ha scritto sul "Corriere" che questo è un "romanzo popolare". Se Mariotti, come possibile, ha usato un tono d'ironia garbata, tuttavia ha letto bene. L'adultera è anche un romanzo popolare, nel senso che il suo lettore implicito, per dichiarazione dell'autore stesso, è il lettore non professionale. Per raggiungerlo, Conte usa il mezzo più diffuso e difficile: la storia d'amore. La sua adultera è una donna innamorata prima del mare, dalle cui rive il romanzo trae inizio e presso cui termina, e poi della vita; che, come quella, tanto per continuare nei paralleli tra sacro e profano, viaggia al modo di san Paolo, a tutti portando e chiedendo amore. L'amore di Conte non è l'agape cristiana né l'eros degli amatissimi Lawrence e Miller. Somiglia piuttosto a quell'entità spirituale di cui va discorrendo il teologo laico Vito Mancuso negli ultimi suoi libri (Per amore, Mondadori, 2004; L'anima e il suo destino, Cortina, 2007). Un romanzo semplice ma non facile, quindi, con un tratto religioso assai marcato. Non stupisce che, in un demi-monde letterario intento a dibattere la presunta rinascita del neorealismo passi quasi inosservato (ed esaurisca, intanto, la prima tiratura). ■ ohannesSkatamail.con C. Choukhadarian è consulente editoriale e giornalista Narratori italiani L'amore sottosopra di Monica Bardi Mauro Covacich PRIMA DI SPARIRE pp. 211, € 16, Einaudi, Torino 2008 Aspettavamo la chiusura di una trilogia, dopo A perdifiato e Fiona, e ci troviamo invece di fronte a una sorta di performance artistica: in gara dichiarata con Marina Abramovic, Sophie Calle e Joseph Beuys, che hanno cercato di fare della propria esistenza un'opera d'arte, lo scrittore getta in faccia al lettore - in modo violento ma mai urtante e con la pretesa di raccontare una verità — un pezzo della sua vita. "Tutto vero", sembra dirci a ogni passo, quasi un controcanto a quel "tutto è finzione" sotteso al racconto di Fiona. E il "tutto vero" è ribadito anche dall'avvertenza in fondo al libro: "Questo libro l'ho scritto di nascosto. Non avevo scelta, confessare agli altri quello che stavo facendo mi avrebbe impedito di farlo liberamente. Ecco la prima differenza tra persone e personaggi. Per rimediare mi ero imposto un limite temporale, che coincide con il dialogo riportato alla fine". La vicenda è quella comune della fine di un matrimonio e dell'inizio di un nuovo amore. Pio-cesso denso di sofferenza che pure Covacich descrive da un punto di vista fenomenico, evitando l'analisi delle ragioni della fine e sottraendosi al vittimismo e alla logiche del fallimento. Da una parte una restauratrice dal corpo sottile, fatto di ossa e aria, e una casa comune in una città del Nord-est, dall'altra una donna dalle trecce rosse che sembra uscita da un cartone animato di Hanna e Barbera e lavora come giornalista a Roma. Oscillando fra questi due estremi e ascoltando se stesso, in bilico fra voglia di restare e ansia di fuga, Covacich non solo abbatte i luoghi comuni sul carattere anodino della separazione, vista spesso come lo snodo inevitabile di una generazione, ma si ritrae a figura intera, senza farsi sconti. Entra così nel racconto la rappresentazione dello scrittore che va in biblioteca al mattino per avere un posto nel mondo e lotta con la composizione del terzo romanzo che ci aspettavamo: ne viene fuori solo un frammento, ma ricco e completo, in cui al maratoneta Dario Reinsich e a sua moglie Maura viene assegnato il compito di esprimere, in pagine molto dense, quella componente emotiva e sessuale che Covacich espunge dal suo resoconto privato. La vita di questi due personaggi (già noti al lettore dei precedenti romanzi) viene inva- sa e come travolta da quella dello scrittore. A loro tocca raccontare il tradimento come svelamento di una parte di sé, che emerge e corrode l'esistente, a dispetto di chi ama ancora. In questo modo Reinsich e sua moglie si trovano a proteggere, in quanto sue creature, il nucleo più intimo della vita dello scrittore, quella che lui vuole preservare e tenere per sé. La loro vicenda parallela è una sorta di proiezione più vera del vero in cui Covacich mette in campo le sue abilità di scrittura, mentre si affina l'insofferenza per chi fa della finzione la sua vita, ora per ora. Acuto, in questo senso, lo sguardo con cui lo scrittore considera dall'interno il mondo degli intellettuali e dello spettacolo, in cui pure gli tocca, con fatica, cercare uno spazio, lottando per la sopravvivenza: "Detesto essere d'accordo con questo tizio. Lui e il suo crocchio sono i miei peggiori nemici, gente che mi assomiglia in tutto ma solo per un enorme malinteso, gente che dimagrisce per occupare più spazio (...), tipi armati della propria sottigliezza, che si fortificano con i cibi senza zuccheri, senza grassi, senza glutine, senza colesterolo, tipi senza. Come possiamo condividere gli stessi gusti letterari?". Accanto ai traslochi amorosi e agli impegni di un mestiere anomalo (le conferenze disertate dal pubblico, i contratti con i quotidiani che scadono senza preavviso, le trasmissioni televisive con recita a soggetto), in Prima di sparire troviamo molte altre cose: il ritratto di due città, di ambienti, di amici, della madre, della nonna centenaria aggrappata al filo della sua sopravvivenza. Lo scrittore dà al lettore l'accesso alla sua vita, in una direzione contraria a quella del "reality": non c'è la morbosità o il compiacimento ma una scelta estetica precisa, un processo raffinato di selezione e scrittura che fa pensare alle operazioni simili compiute da Walter Siti in Troppi paradisi o da Angelo Morino nell'ultimo romanzo, Rosso taranta, in cui lo scrittore sentiva la necessità di chiudere con un'avvertenza che rompeva il patto classico con il lettore in virtù del quale "fatti e personaggi sono del tutto casuali". Più che "rinunciare alla compiutezza e alla rotondità del romanzo", come ha affermato Franco Brevini, Covacich gli conferisce una forma nuova, franta ma geometricamente composta: alla fine le scelte sono compiute, per tutti i personaggi del libro, e la vita ritrova i suoi equilibri precari, riassorbendo, o lasciando macerare, il senso di colpa e il dolore. ■ Le nostre e-mail direttore@Iindice.191.it redazione@lindice.com ufficiostampa@lindice.net abbonamenti@lindice.net Un refuso della vita di Luciano Curreri Elvira Seminara L'INDECENZA pp. 181, €11, Mondadori, Milano 2008 Non è un romanzo facile, anche se tutto sembra facile, fin dal titolo, da quell'atto o detto contrario alla decenza o al pudore che vi campeggia. Scopriamo, leggendo, che l'indecente è un incidente, che è quasi, come dire, un refuso della vita, un banale errore di pronuncia. Ma guai a trasformare un incidente in indecenza, a identificare la vita nel refuso. L'errore è fecondo solo se noi lo accettiamo. In caso contrario, non può che aprire la strada alla sterilità e alla morte, quasi come in certo romanzo di fine Ottocento, diciamo fra d'Annunzio e De Roberto. Certo, nel riuscito romanzo di Elvira Seminara, il lettore si trova confrontato a una situazione attuale ma ancorata a un dato che affonda le radici nella nostra modernità romanzesca in modo "archetipico". Una coppia siciliana benestante, un avvocato e una manager "a riposo", accolgono una giovane ucraina perché dia una mano in casa. Ma le ragioni del riposo della manager sono legate a una causa remota, per quanto recente, che affiora via via in un corpo femminile che denuncia, con allucinazioni che coinvolgono la casa e quanti la abitano, il marito e l'ucraina, la perdita di una figlia al settimo mese di gravidanza e il lutto estremo e impossibile che ne consegue. Il fatto, poi, di mettere a fianco di una donna di trentanove anni, segnata da una tale dilatata sconfitta, una giovane ucraina di diciannove, nel pieno della sua esuberanza vitale, ci fa ritornare in mente l'ultimo capitolo del dannunziano Trionfo della morte, dove Candia, popolana incinta, è un feroce contraltare al ventre vuoto di Ippolita Sanzio. L'interesse "paterno" (e forse non solo) del marito per quella che viene percepita subito come una bambina (anche, significativamente, nel sonno scomposto, con un polpaccio fuori dalle coperte) e poi evocata tout court come "la Bambina", è un altro indizio forte di un romanzesco che non sceglie e non scioglie il triangolo amoroso e/o erotico e lo innerva piuttosto, con allusioni, in un "non detto" di sogni, allucinazioni indecenti di cui la protagonista si fa carico sino al finale. In una sorta di "alluvione" casalinga, che assomiglia a una dilatata, patologica rottura delle acque, la protagonista tenta di riprendersi, assimilandolo, in un atto creaturale che è aggressivo e carnale, il corpo della sua bambina. Alla fiera opposizione della giovane, bella e vigorosa da far male, e all'arrivo improvviso del marito, che, di fronte all'ultimo "parto" della nevrosi della moglie, decide di abbandonare il tetto coniugale, seguono pagine intense e dolorose che io, qui, non mi sento di svelare.