n 7/8 lINDICF 7 ubri del mese^| ' Sulle torture di Guantanamo Caccia ai colpevoli, ma tutelando le iguane Nei primi giorni di maggio di quest'anno, Sami Al-Haj, un cameraman della celebre rete qua-tarita Al-Jazeera, è stato rilasciato dopo più di sei anni di detenzione nella base militare americana di Guantanamo. Durante tutto il tempo della sua detenzione a Sami Al-Haj non fu mai contestata un'imputazione. Fu rilasciato come fu preso: senza scuse e senza spiegazioni. A Khartoum, sua città natale, fu accolto come un eroe. Visibilmente provato, ha parlato alla televisione, raccontando delle torture subite e di offese al Corano. A Washington, un portavoce del Pentagono, ripreso anche lui dalla rete Al-Jazeera e da tutte le maggiori televisioni del mondo arabo, ha dichiarato, in barba al buonsenso, che il trasferimento di Al-Haj "dimostra la volontà degli Stati Uniti di non trattenere i detenuti più a lungo del necessario". Questi sono i frutti avvelenati di L'inferno di Guantanamo, il buco nero del diritto raccontato nel libro dallo stesso titolo di Clive Stafford Smith, l'avvocato anglo-americano che ha difeso Sami Al-Haj e trentacinque altri detenuti dell'isola. Come scrive l'autore: "Il libro è un resoconto necessariamente incompleto di ciò che ho visto e ascoltato in veste di rappresentante legale dei prigionieri di Guantanamo. Le regole della censura americana, alle quali ho rigorosamente aderito, e gli obblighi professionali verso gli assistiti mi hanno impedito di fornire un quadro più completo". Nella sua semplicità, il libro di Stafford Smith è un pesante atto di accusa. Uscito l'anno scorso con il titolo inglese Bad Men: Guantanamo Bay and the Secret Prison, riprende le parole del presidente George W. Bush, che al momento dell'apertura del campo aveva definito gli uomini che aveva fatto rinchiudere, e di cui ancora non si sapeva niente, "uomini cattivi, il peggio del peggio". Oggi che, almeno a parole, la sinistra parabola di Guantanamo sta per volgere alla sua fine, questo libro è un utile aide mémoire, un riepilogo, visto da dentro, della terribile perversione del diritto messa in atto dall'amministrazione statunitense nel nome della guerra al terrorismo dopo gli attentati dell'11 settembre 2001. Il libro non svela crimini che non si conoscessero già. Non è nemmeno il primo a dare voce ai detenuti del campo, lo hanno già fatto con i propri racconti i prigionieri inglesi rilasciati su richiesta del loro governo, Moazzem Begg e Murat Kurnaz. Pensavo che ci fosse ormai poco da aggiungere al quadro desolante di notizie acquisite. Sbagliavo. La decisione di creare una prigione speciale al di fuori del diritto, "l'equivalente legale della stratosfera", come la definì uno dei consiglieri di Bush, ha caricato gli Stati Uniti di un colossale problema di immagine e ne ha pesantemente minato l'autorità morale, mentre ha esposto numerose persone apparentemente innocenti ad abusi, se non peggio. E tutto questo per un ritorno trascurabile, secondo fonti interne dell'intelligence americano, in termini di informazioni. H libro di Stafford Smith spiega le ragioni di questo fallimento con grande umanità, attraverso le sue visite all'isola e i racconti dei suoi clienti. Lo stile è molto britannico, ironico, a volte persino scanzonato. L'inferno di Guantanamo è la testimonianza, con molto understatement, di un vero militante. Stafford Smith è il fondatore di Reprieve, un'organizzazione dedita all'assistenza legale dei condannati a morte. All'epoca dell'apertura di Guantanamo, l'autore, stanco di una vita di viaggi e di lunghe attese nel braccio della morte delle prigioni del Sud, aveva deciso di ridurre gli impegni per dedicare più tempo alla famiglia in Inghilterra. Fu la vista delle prime foto dei detenuti in tuta arancione, inginocchiati dietro il filo spinato, a fargli cambiare idea. Insieme a un manipolo di avvocati, Stafford Smith partecipò alla prima sfida legale al regime di detenzione. D 28 giugno 2004 la Corte suprema degli Stati Uniti dichiarò ammissibile il diritto dei prigionieri di contestare la loro detenzione facendo valere l'antico precetto di habeas corpus davanti alle corti federali. La di Tana de Zulueta pretesa di extraterritorialità di Guantanamo era stata smontata. Grazie a questa decisione, i prigionieri hanno potuto ricorrere all'assistenza di avvocati e le porte della prigione segreta furono se non aperte, almeno socchiuse. Fu la prima di una lunga serie di atti giuridici, a difesa dei principi della Costituzione americana, che hanno messo in discussione il sistema di repressione extragiudiziaria creato da Bush e dalla sua squadra. La battaglia si è arricchita recentemente di un nuovo capitolo: la Corte suprema chiamata a pro- nunciarsi sui diritti di Salim Ahmed Hamdan, accusato di essere l'autista di Bin Laden, il 12 giugno 2008 ha riconosciuto il diritto costituzionale dei detenuti nel campo di prigionia di ricorrere nei tribunali ordinari americani contro la loro detenzione. Hamdan è uno dei sei uomini che il governo americano voleva fare processare da una speciale commissione, o tribunale militare, nella base di Guantanamo prima dell'elezione presidenziale di novembre, presumibilmente per dimostrare le proprie buone ragioni. A loro onore va detto che, prima del pronunciamento della Corte suprema che ha bloccato le attività della commissione militare "perchè la sua struttura e le sue procedure violano sia la legge militare statunitense che il trattato internazione sui I libri Moazzam Begg e Victoria Brittain, Enemy Combatant: The Terrifying True Story of a Bri-ton in Guantanamo, pp. 416, £ 18,99, Free Press, New York 2007. Murat Kurnaz, Five Years of my Life: An In-nocent Man in Guantanamo, introd. di Patti Smith, pp. 256, £ 14,99, Palgrave Macmillan, Houndmills 2008. Philippe Sands, Torture Team: Deception, Cruelty and the Compromise of Law, pp. 336, £ 20, Alien Lane, London 2008. Philippe Sands, Lawless World, pp. 404, £ 10,99, Alien Lane, London 2005 (ripubblicato con integrazioni da Penguin Books, London 2006). Clive Stafford Smith, L'inferno di Guantanamo. I segreti di una prigione, i segreti di una nazione ed. orig. 2007, trad. dall'inglese di Anna Maria Ragonesi, pp. 316, € 9,90, Newton Compton, Roma 2008. diritti dei prigionieri di guerra" (cioè la Convenzione di Ginevra), sono stati gli stessi procuratori e avvocati dell'esercito ad avere messo in crisi la nuova giurisdizione delle commissioni. Molti di loro si sono rifiutati di partecipare a processi in cui l'accusato non viene a conoscenza delle prove a suo carico, mentre una condanna, anche alla pena capitale, può essere comminata in base a confessioni estorte sotto tortura. Uno di loro, il colonnello Morris Davis, si è dimesso dall'esercito dopo avere ricoperto l'incarico di capo dell'accusa, per protesta contro il tentativo di utilizzare confessioni estorte tramite la pratica di waterboarding, la simulazione di annegamento che Bush si è recentemente rifiutato di vietare come tortura. Nel libro Stafford Smith racconta la tragicomica unica seduta della commissione convocata per formalizzare l'accusa contro un suo cliente, Binyam Ahmed Mohamed, un cittadino etiope accusato, senza troppa convinzione, di avere pianificato un attacco radioattivo. Dopo ore di discussioni procedurali inconcludenti, la seduta viene sospesa su ordine dal Pentagono. Guantanamo è un mondo a sé: un'enclave tropicale dove chi investe un'iguana è passibile di una multa di diecimila dollari, mentre uomini possono essere pestati, isolati e umiliati. Ma Guantanamo è solo una parte, quella più visibile, di un sistema di prigioni segrete che comprende il carcere di Baghram in Afghanistan e altri in Iraq. In questi siti, e più ancora nei paesi alleati nella "guerra al terrorismo" come Marocco, Giordania, Egitto, il governo americano ha praticato una specie di delocalizzazione della tortura. Quelle del racconto dell'etiope Mohamed, di diciotto mesi di sevizie per mano di professionisti marocchini, sono tra le pagine più drammatiche del libro. A chi ha messo in piedi questa macchina infernale, viene da chiedersi, verrà mai chiesto conto? E basterà la chiusura di Guantanamo per fermarla? Il nuovo libro del professore e avvocato inglese Philippe Sands, Torture Team: Deception, Cruelty and the Compromise of Law, propone una risposta. Sands è un autorevole esperto di diritto internazionale (ha partecipato alla stesura del Protocollo di Kyoto e dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale), ma questo libro è scritto nello stile di un giallo. Infatti, ha ricevuto l'encomio di John Le Carré, grande maestro dello spy thriller. "Questo libro tratta di un crimine e della sua copertura", ha detto Sands in un'intervista alla maggiore rivista legale americana, l'"American Bar Association Journal". "Il crimine è l'autorizzazione di tecniche di interrogatorio che violano le norme internazionali contro la tortura. La copertura è il tentativo di fare pagare gli altri". E corpo di reato è un memoriale, con tanto di firma del Segretario alla Difesa Donald Rumsfield, intitolato Counter Resistance Techniques, con in allegato i pareri dei consulenti legali più apprezzati dal governo. E da qui che parte la caccia al colpevole. La tesi di Sands è che gli avvocati che hanno giustificato violazioni del diritto sono criminali di guerra, alla pari dei politici che hanno servito. Nel capitolo 26 del suo libro, Sands si trasferisce in un paese europeo per parlare con due persone, un giudice e un pubblico ministero, con esperienza, come scrive, di casi criminali internazionali. "Per queste cose ci vuole tempo", dice il giudice. "Poi qualcosa succede, quando uno di questi avvocati viaggia e arriva nel posto sbagliato". Le regole del diritto internazionale, così vituperate dall'attuale presidente Bush, potrebbero rivelarsi più robuste della sua politica. Lo stesso Sands, parafrasando la famosa frase del Padrino di Francis Ford Coppola, I don't need tough guys. I need lawyers (Non ho bisogno di duri. Ho bisogno di avvocati), ha scritto in un libro precedente, Lawless World: "I duri non bastano nelle relazioni internazionali. Nel XXI secolo ci vogliono regole, e veri avvocati". ■ T. de Zulueta è stata vicepresidente della Commissione Esteri della Camera nella XV legislatura C\J •S e e e o k. CU • Ki £ co