In primo piano Non sul valore universale delle opere d'arte ma sulla produzione e sulla genesi dei valori simbolici si concentra la teoria rivoluzionaria del grande sociologo. La sua critica alle correnti dominanti dell'estetica moderna offre strumenti convincenti per aprire una nuova prospettiva alla storia della letteratura e dell'arte. Per una genealogia della cultura di Guido Mazzoni Pierre Bourdieu LE REGOLE DELL'ARTE Genesi e struttura del campo letterario ed. orig. 1998, trad. dal francese di Anna Boschetti ed Emanuele Bottaro, introd. di Anna Boschetti, pp. 509, €35, Il Saggiatore, Milano 2005 E una delle opere fonda- mentali di Bourdieu e una delle più ambiziose teorie del- l'arte novecentesche. Pubbli- cata una prima volta nel 1992, e in edizione rivista e aumenta- ta nel 1998, raccoglie saggi scritti in epoche diverse, ma in- teramente rielaborati per com- porre un discorso unitario e di- viso in tre parti: la prima raccon- ta lo sviluppo del campo lettera- rio moderno nella Francia del secondo Ottocento; la seconda ha carattere teorico; la terza ri- flette sulla genesi dello sguardo auratico e disinteressato che la cultura moderna rivolge alle arti maggiori. Nel prologo, dedicato all'analisi di un testo emblemati- co come l'Educazione sentimen- tale di Flaubert, vengono intro- dotte le categorie teoriche che le sezioni successive illustreranno nei dettagli. L'edizione italiana è preceduta da un ottimo saggio di Anna Boschetti. Bourdieu appartiene di diritto a quella che Ricoeur, riusando una formula di Nietzsche, chia- mava "la scuola del sospetto". Per ripetere la stessa idea in un altro vocabolario filosofico, po- tremmo dire che Le regole del- l'arte, come anche La distinzione (1979), è una genealogia della cultura, di impianto sostanzial- mente positivistico (Bourdieu chiama l'interprete "scienzia- to"), che sposta l'interesse dalla riflessione sul valore universale delle opere allo studio della loro genesi. Per far questo, Bourdieu attacca frontalmente la tradizione egemone dell'estetica moderna, che ignora o tende a ignorare l'origine dei propri oggetti, separa in modo rigido le arti maggiori dal territorio del gusto, attribuisce un significato meta- storico alle opere riuscite, appli- ca allo spazio letterario o artisti- co forme di lettura che derivano dall'ermeneutica dei testi sacri. Dalla Critica del giudizio ai topoi disseminati nei programmi sco- lastici contemporanei ("l'eter- nità dei classici", "l'autonomia del testo"), D'estetica pura" ha acquisito urta posizione domi- nante negli ultimi due secoli. Un simile modo di considerare le ar- ti presuppone un doppio oblio della storia e della società, giac- ché dimentica che l'oggetto arti- stico e lo sguardo che lo consa- cra hanno una genealogia; lo "scienziato", al contrario, ha il dovere di cogliere l'origine con- tingente delle opere e delle in- terpretazioni attraverso la prati- ca riflessiva che l'autore chiama, con evidente allusione a Freud, "socioanalisi". La prima parte del libro è de- dicata alla socioanalisi dell'og- getto estetico; in questo caso dello spazio letterario e artistico moderno così come si costitui- sce nella seconda metà dell'Ot- tocento. Bourdieu parla della Francia, ma le sue considerazio- ni, con alcune differenze crono- logiche, valgono per tutte le culture europee. I due concetti costitutivi della sua ontologia dell'essere sociale, L'habitus" e il "campo", rielaborano due te- mi classici della sociologia: il problema della differenziazione e la dialettica fra libertà e deter- minismo. Ogni società comples- sa si divide in microcosmi par- zialmente autonomi (il campo scientifico, filosofico, artistico, giuridico, politico, economico e così via), fondati su una rete di relazioni reciproche fra gli atto- ri che ne fanno parte e dotati di una propria logica. Grazie al concetto di campo, Bourdieu rinnova il modo di considerare il rapporto fra il microcosmo della cultura e la totalità sociale, sostituendo alla teoria marxista e lukàcsiana del rispecchiamen- to una teoria della "rifrazione". Poiché i campi sono parzial- mente autonomi, ciò che accade fuori dal sistema dell'arte non viene semplicemente riprodotto dalle opere, ma reinterpretato secondo la dinamica interna dei microcosmi estetici: questo spiega perché ciò che accade nel sistema dell'economia o del- la politica non produca sempre degli effetti immediati sulle arti e sulla letteratura. Seguendo Huizinga e Wittgenstein, Bour- dieu descrive la logica relazionale che gover- na i campi ricorrendo alla metafora del gio- co. Gli individui che si trovano presi nei si- stemi sociali lottano per conquistare dei beni che considerano desiderabili, la defini- zione di ciò che è de- siderabile o indesiderabile es- sendo la prima delle poste in gioco. Ogni sistema presuppo- ne una doxa e un'illusio: porta con sé un insieme di credenze, interessi, gerarchie che, all'in- terno del campo, vengono con- siderate naturali, e richiede che gli attori stiano "nel gioco" e "al gioco", investendo il pro- prio interesse nei conflitti del microcosmo cui appartengono. Gli attori immersi nella dinami- ca dei campi non sono soggetti generici, ma individui condizio- nati da ciò che Bourdieu, ri- prendendo e reinterpretando un concetto della tradizione ari- stotelico-tomista, chiama habi- tus: un insieme di disposizioni in gran parte inconsce (gusti, abitudini, maniere, idee), gene- rate dall'origine sociale di ognuno e produttrici a loro vol- ta di azioni e di reazioni. Nel caso del campo artistico moderno, la doxa autonoma del microcosmo estetico rigetta i criteri di valore che si impongo- no come dominanti nel resto della società, a cominciare dal denaro. Ma poiché le arti degli ultimi centocinquant'anni si trovano a dipendere sempre più strettamente dall'economia di mercato, il campo finisce per assumere una struttura dualisti- ca: da un lato, le opere com- merciali scritte per compiacere il pubblico borghese, per far soldi o per guadagnarsi i rico- noscimenti pubblici dalle istitu- zioni ufficiali; dall'altro, le ope- re destinate a un pubblico di avanguardia che disprezza il successo mondano, proietta nel futuro la consacrazione della vera arte e cerca il riconosci- mento degli esperti; in mezzo, tante posizioni che cambiano a seconda dello stato in cui il si- stema si trova. La genesi di un campo autonomo è preceduta e accompagnata da ciò che Bour- dieu racconta nella terza parte dell'opera, cioè dallo sviluppo dell'estetica pura. Gli individui che partecipano al gioco (auto- ri, critici, editori, mercanti, let- tori, spettatori) agiscono e rea- giscono alla logica del sistema secondo il proprio habitus e la ghese non sempre riescono ad avere. Anche solo un elenco somma- rio degli spunti che si possono trarre dalle Regole dell'arte ecce- de largamente lo spazio di una propria disponibilità di capita- li: quando nella seconda metà dell'Ottocento si afferma l'idea di un'arte d'avanguardia, per e- sempio, i primi intellettuali a lanciarsi in un'attività che igno- ra o disprezza il successo eco- nomico provengono spesso dal- l'alta borghesia e possiedono delle rendite; possono cioè per- mettersi un distacco materiale e mentale dal giudizio del pub- blico medio che gli scrittori e gli artisti di origine piccolobor- recensione. È facile liquidare Bourdieu accusandolo di ridu- zionismo, come si fa sempre con i maestri del sospetto; meno faci- le è rimanere all'altezza del suo discorso. Chiunque voglia occu- parsi di estetica e di storia della cultura in modo non ingenuo dovrà confrontarsi con questa genealogia lucida e radicale. ■ guido.mazzoni@tin.it G. Mazzoni insegna sociologia della letteratura all'Università di Siena L'automa che è in noi di Michele Sisto Pierre Bourdieu IL SENSO PRATICO ed. orig. 1980, trad. dal francese di Mauro Piras, pp. 432, € 30, Amando, Roma 2005 E un libro arduo e potente, Il senso prati- co, di quei rari che - come i Minima mo- ralia o, da noi, Verifica dei poteri - non sol- tanto inducono alla riflessione ma quasi im- pongono al lettore di riconsiderare radical- mente il proprio modo di pensare. Arriva oggi in Italia nell'attenta traduzione di Mauro Piras, fedele al sofisticato e tortuoso dettato originale, vicino al "normalese" di Der- rida, che Bourdieu perseguiva pervicacemente come "arte di resistere alle parole", e dunque alle abitudini mentali che condizionano i movi- menti del pensiero. Arriva vecchio di venticin- que anni, in un momento in cui la fortuna di Bourdieu nel nostro paese, finora modesta, sembra in procinto di mutare. Non che le tra- duzioni delle sue opere siano mancate, anzi, ne sono apparse numerose fin dai primi anni set- tanta; ma per svariate ragioni, tra cui certe ere- dità crociane, la sociologia italiana è rimasta fredda o diffidente, con pochissime eccezioni (Franco Crespi, Giorgio Marsiglia). Eppure al- la sua comparsa in Francia Le sens pratique fu recensito assai tempestivamente dalla "Rasse- gna italiana di sociologia" (1980, n. 4), dove Antonio Mutti colse i punti essenziali e l'im- portanza del libro, avanzando una sola riserva: che il pensiero "personalissimo e spumeggian- te" di Bourdieu, con il suo impianto metodolo- gico duttile e aperto, mal avrebbe sopportato "la camicia di forza di un'integrata teoria siste- mica". Fu profetico, a suo modo: Bourdieu in Italia è noto, ma non integrato. Basti sfogliare il classico Dizionario di sociologia di Luciano Gallino, nella recente edizione aggiornata (2004), dove Bourdieu è citato appena quattro volte, e solo come riferimento bibliografico; mentre l'Encyclopedia of Social Theory (2005) di George Ritzer dedica a Bourdieu tanto spa- zio quanto a Max Weber, e accoglie le voci espressamente "bourdieusiane" habitus e cul- tural capital. Testo di filosofia, sociologia, etnologia e pa- recchio altro, Il senso pratico è forse il più im- portante scritto teorico di Bourdieu: quello de- dicato alla nozione di habitus, già oggetto di Per una teoria della pratica (1972) e più tardi ri- considerata nelle Meditazioni pascaliane (1997). Lo sfondo teorico su cui Bourdieu col- loca la sua riflessione è lo strutturalismo di Claude Lévi-Strauss, a cui riconosce il merito di aver introdotto nelle scienze umane il modo di pensare relazionale: ogni elemento (pratica rituale, atto linguistico, legame di parentela ecc.) non va inteso per un suo supposto signi- ficato intrinseco, ma come "differenza in un si- stema di differenze", significando solo "ciò che gli altri elementi non significano". L'attenzione si sposta dunque dall'essenza degli oggetti alle loro relazioni, dal vocabolario alla sintassi, sti- molando il ricercatore a una ginnastica menta-