Shoah Per commemorare la giornata della memoria - 27 gennaio - e l'uscita dei primi tre volumi sulla storia della Shoah (Utet), pubblichiamo l'intervento di Furio Colombo pronunciato in occasione della presentazione dell'opera a Poma in Campidoglio. I treni erano in orario di Furio Colombo Voglio iniziare il mio inter- vento con iJ ricordo di una scuola elementare: la scuola ele- mentare Michele Coppino di Torino, la mia scuola elementa- re. Io mi ricordo del giorno in cui, proprio come nel film di Benigni, è arrivato l'ispettore della razza. C'era davvero l'i- spettore della razza, non è una trovata co- mica. Il direttore di- dattico ha chiesto a bambini e insegnanti di riunirsi nell'aula magna, senza dirci la ragione. Gli insegnan- ti si sono separati dal- le loro classi ed erano tutti seduti davanti. E i bambini tutti seduti dietro. E l'ispettore della razza aveva un elenco e ha letto i nomi dei bambini che non avrebbero mai più dovuto tornare in quella scuola. La co- sa che non ho mai dimenticato è che nessuno degli insegnanti si è voltato. Nessuno degli adulti ha avuto nulla da dire. Nessuno tra tutte quelle persone - uomi- ni e donne, la signora che ci rac- contava Pinocchio, il maestro mutilato che ci parlava conti- nuamente della Grande Guer- Il teatro della paura IL TEATRO DELLA PAURA Scenari gotici del romanticismo europeo a cura di Diego Saglia e Giovanna Silvani Pagine 223 ISBN 88-7870-057-6 € 15,00 BULZONI EDITORE Se il gotico classico è solitamen- te indicato come uno dei feno- meni letterari più rappresentativi della letteratura di fine Settecen- to e una delle manifestazioni cul- turali del perturbante più forti dello stesso periodo, il problema sorge allorché si cerca di darne una definizione chiara e precisa. (...) Questa mancanza di contor- ni nitidi va ovviamente conside- rata come parte integrante di una produzione letteraria che la criti- ca anglosassone tende sempre più a definire come profonda- mente marcata da uno snodo fantasmatico di temi e motivi: un 'modo', insomma, che si manife- sta in certe forme e in certe fasi culturali, per poi tornare a scom- parire, e riapparire in altri luoghi e momenti della tradizione lette- raria fra la fine del Settecento e gli inizi dell'Ottocento. ra, tenendosi il braccio di legno ed esercitando su di noi una sorta di ipnosi - nessuno di loro ha avuto una parola da dire. In questa scena c'è la tragedia di una generazione. In questa sce- na c'è un evento della storia. L'altra memoria è il ritorno a scuola, 1945. Ritorno a scuola a Torino, in un'epoca in cui insegnare in un li- ceo era importante co- me insegnare all'Uni- versità. Nel mio liceo di Torino, nel mio gin- nasio c'erano i miglio- ri nomi della Resisten- za torinese, gente che ha irrorato la cultura italiana, i cui nomi - dagli insegnanti di sto- ria dell'arte a quelli d'italiano - hanno lasciato il se- gno nella cultura del Paese. Nes- suno mai ci ha parlato della Shoah e della persecuzione, nes- suno ci diceva di quella parte del fascismo che aveva segnato e sfregiato Torino e l'Italia in un modo così profondo e così spa- ventoso. Dunque c'è stata l'in- terruzione. Per gli ebrei no, mai, non avrebbe potuto esserci. Ma per gli italiani antifascisti sì, e credo che abbia segnato in mo- do molto profondo, che sia una sorta di cicatrice nella cicatrice, come un male che ne genera un altro e che è stato uno spazio vuoto, qualcosa che non si è col- mato, che non si è chiarito nel momento in cui avrebbe dovuto chiarirsi. Del resto tutti ricorda- no che il primo manoscritto di Primo Levi è stato restituito dal- la casa Editrice Einaudi: solo do- po, con molte scuse, è stato pub- blicato. Shoah: viviamo in un equivo- co storico e in un equivoco cul- turale. L'equivoco storico consiste in un effetto di omologa- zione, di appiattimento del pae- saggio. Ci sono stati tanti delitti di massa, tante stragi. In un pri- mo tempo la tendenza era di in- vitare a una certa pazienza per l'evento Shoah. Poi, quando l'incontro della gigantesca om- bra del passato con il negazioni- smo da un lato e il disprezzo per lo Stato di Israele e per la presunta comparabilità di Sio- nismo e razzismo dall'altro, ha riproposto in tutta la sua im- mensa, unica gravità la spaven- tosa sequenza Shoah, si è cerca- ta, più o meno consciamente, un'altra via d'uscita: parliamo pure della Shoah come memo- ria nera del XX secolo. Ma cir- condiamo quella memoria di tante altre memorie, di tanti fat- ti tremendi accaduti al mondo (Foibe, Gulag), istituendo una tragica contabilità dei morti (quanti ne ha fatti il nazismo, quanti il comunismo) come se si trattasse di una sorta di spa- ventosa e tetra par condicio. Viene in mente, per capire l'incrocio di buona e mala fede, la selva di croci sorta a Oswie- cim-Auschwitz intorno al peri- metro di quel campo di stermi- nio, come per arginare la porta- ta spaventosa di quella testimo- nianza. È accaduto negli anni novanta e ci è voluta l'autorità decisa e determinante della chie- sa cattolica, del vescovo di Cra- covia, per indurre al ritiro di quelle croci che avrebbero vo- luto catechizzare e cristianizza- re un evento che è stato tragi- camente anche cristiano, ma dalla parte della cultura perse- cutoria. L'equivoco culturale sta nel leggere i fatti della Shoah utiliz- zando quattro limiti più o me- no consciamente tranquilliz- zanti. Il primo limite è che sia un de- litto tedesco e non tutto tedesco ma solo nazista; il secondo limite è che si sia trattato di un fenome- no simile alle eclissi di sole e di lu- na: vengono e poi scompaiono; il terzo limite è che si sia trattato di un evento voluto e guidato da éli- te perverse, senza partecipazione di popolo, se non la partecipazio- ne obbligata di cui una feroce dit- tatura è capace. Questo terzo limite è facilitato dal mettere insieme, per ragioni politiche che non hanno niente a che fare con la storia della Shoah, i campi di sterminio con i Gulag. Nei Gulag si finiva per la decisione segreta e arbitraria di un potere del tutto sconnesso dall'opinione pubblica. La Shoah è stata anche una va- sta e tremenda e spaventosa mobilitazione di opinione pubbli- ca. La persecuzione è stata pub- blica e clamorosa. La razzia degli ebrei si è potuta fare, senza na- scondersi, fin sotto le mura del Vaticano, una provocazione che avrebbe dovuto essere immensa. Segreta, e immensamente ri- schiosa, è stata l'opera di coloro che si sono adoperati per salvare e nascondere. Un'opera eroica, ma molto meno assolutoria e molto meno generalizzata di quanto le varie Schindler's List vorrebbero farci credere, anche per mettere l'anima in pace e passare ad altri eventi della Storia. Il quarto limite è credere che tutto ciò - dunque anche questa collezione di libri e documenti e video - sia fatto per gli Ebrei, o come tributo, o come risarcimen- to o come omaggio e modo per dire che i sentimenti fraterni non si sono mai interrotti. Infatti ecco- ci qui a ricordare insieme. E lo stesso equivoco che si è creato intorno al "Giorno della Memoria" che qualcuno ha pen- sato, anche in buona fede, come un omaggio o un atto di riguar- do agli Ebrei. Su "La Stampa" del 14 no- vembre 2005 Elena Lowenthal ha scritto qualcosa che non do- vrebbe essere dimenticato: "Malgrado la percezione comu- ne, la Shoah appartiene agli Come raccontare? Ebrei meno che a tutti gli altri. Il popolo di Israele ci ha messo le vittime, i morti. Ma non sen- te affatto come proprio questo evento. Esso è, al contrario, l'a- pice della estraneità, il momen- to in cui, più che mai, il popolo di Israele si sente fuori dalla Storia". Vediamo dunque di rispon- dere ad alcune domande che ri- guardano questa straordinaria opera mancante nella bibliogra- fia italiana. Spiego perché "mancante", nonostante i tanti libri sul razzismo, le leggi raz- ziali, le persecuzioni e lo stermi- nio. Perché in questi volumi, e nei documenti aggiunti, l'impe- gno, che ci sembra affrontato con successo, è di tener conto dei molti percorsi interpretativi senza permettere che uno di es- si prevalga, alterando il conte- sto storico. Questi volumi ti dicono che non basta l'atteggiamento empirico (certe cose, per quanto tremende, succedono), non ba- sta l'atteggiamento dell'indicibi- le, un evento metafisico, quando invece, come ci dice uno degli autori, "è stata la civiltà a frantu- mare la civiltà" (Enzo Traverso). E non basta la descrizione verti- cistica degli "intenzionalisti": il progetto perverso che si realizza di Alberto Cavaglion Sono passati ormai cinque anni dall'istituzione di una Giornata della memoria. Nell'aprile 2001, a fronte delle prime avvisaglie di quella che sarebbe poi diventata la più imponente "comme- morazione pubblica" dell'Italia di fine millennio, ci chiedevamo come fosse possibile correre ai ri- pari (A cosa ci serve la Giornata della memoria?, "L'indice", 2001, n. 4). Nel clima euforico di al- lora, quelle preoccupazioni vennero guardate con irritazione, come tesi provocatorie e disfattiste. Che oggi siano timori largamente condivisi è confortante, segno che qualcosa sta mutando. L'editoria ha fatto molto per aiutare a uscire dall'isolamento: sono usciti in traduzione i saggi di Georges Bensoussan e Charles Mayer, gli abu- si della memoria sono diventati un problema se- rio, lo avvertiva in un suo intervento anche il pre- sidente dell'Unione delle comunità ebraiche, Amos Luzzatto. Soprattutto nello scorso anno si sono intensificate iniziative di enti e istituti, che ci- mentandosi in un provvisorio bilancio del lavoro fatto in questi ultimi cinque anni scoprono che il calendario delle celebrazioni si è appesantito: si sono moltiplicate le giornate in cui si ricorda qual- cosa, si spendono molte parole, poco è destinato a rimanere nel tempo. Piuttosto dilagano le facili equiparazioni moralistiche tra ieri e oggi. Contro l'ultimo, scandaloso paragone, ascoltato nei gior- ni della campagna elettorale per i referendum - l'inaccettabile accostamento fra Auschwitz e i la- boratori dove si conservano gli embrioni congela- ti - si è levata, per fortuna, la voce di Adriano So- fri: "Pazzia, donchisciottesca, ma pazzia", ha scrit- to su "la Repubblica" (30 settembre 2005). A questi problemi, la Fondazione Serughetti La Porta di Bergamo ha dedicato un apposito se- minario nel novembre scorso, dove molti inse- gnanti hanno avuto modo di esprimere le loro difficoltà; a Modena, in un convegno sui luoghi della memoria è stata opportunamente inserita una sezione dedicata a quella virtualità per eccel- lenza che è "il calendario del ricordo". Sull'ulti- mo Annale Sissco (2005, p. 90) Anna Rossi Doria osserva con acutezza che da quando è stato isti- tuito il 27 gennaio l'attenzione sembra concen- trarsi quasi esclusivamente su coloro che parlano e non su coloro che ascoltano, vale a dire i giova- ni. Per l'eccesso di offerta, un brusio di fondo im- pedisce di distinguere l'essenziale dal superfluo. Essenziale, per esempio, è l'avvio di una Storia della Shoah, progettata dalla Utet, con il contribu- to di più di cinquanta specialisti di diversa prove- nienza cordinati da un comitato scientifico com- posto da Omer Bartov, Philippe Burin, Marina Cattaruzza, Dan Diner, Marcello Flores, Saul Friedlànder, Simon Levis Sullam ed Enzo Traver- so. Ai volumi sono affiancati tre Dvd con filmati d'epoca e in parte inediti e un Cd-rom ipertestua- le. Sono usciti i primi due volumi (pp. XII-585 e pp. 857). Altri tre volumi, di cui uno interamente dedicato a documenti, usciranno fra 2006 e 2007. Non è nemmeno più una questione legata sol- tanto al demone assurdo del "politicamente cor- retto". Non solo nel mondo della scuola tutti hanno chiara coscienza di ciò che accade se la ri- cerca storiografica viene considerata un prolun- gamento della lotta politica. Il mercato sta diventando affollatissimo, come districarsi? Il problema che ci si pone oggi non è più se raccontare, ma come raccontare. Nel momento in cui i testimoni stanno scomparendo chi deve raccogliere il testimone? È da ritenere vantaggiosa, per esempio, anche se inascoltata in percorsi didattici che vanno per la maggiore, la tesi di Semprun secondo cui sarebbe compito della letteratura assumersi il carico di trasmette- re la memoria alle generazioni di domani. La let- teratura, si sa, non ha bisogno di calendari.