Le dieci tesi di Wittenberg in forma telematica di Massimo Arcangeli Wu Ming 2 GUERRA AGLI UMANI pp. 318, € 14, Einaudi, Torino 2004 Il fenomeno. Dal nessuno al molteplice. Puntata prima. Il nome di un centravanti di colore di origine giamaicana, un tempo in forza al Milan: Luther Blisset. Il condividuo autore di Q (Einaudi, 1999), atipico ancorché avvincente "westèrn teologico" mascherato da romanzo storico che si legge quasi tutto d'un fiato, nulla ostando alla lettura la mole non indifferente (oltre seicento pagine); un sorprendente ibrido che pesca con divertita impertinenza nel magico cilindro delle storie già raccontate per trasformarle ed esibirne così di sempre nuove: sullo sfondo le vicende della riforma promossa da Martin Lutero, dall'affissione delle famose dieci tesi alla porta della cattedrale di Wittenberg (ricordata in apertura dall'eponimo Q, in una missiva indirizzata a Gianpietro Carafa) alla pace del cuius regio, eius religio sancita ad Augusta. Puntata seconda. Wu Ming, condividuo anche lui. Che sarebbe come dire, in cinese mandarino, "Senza nome". Con la rinnovata griffe esce il secondo romanzo del gruppo: 54 (Einaudi, 2002). Altra mole (quasi settecento pagine) altra corsa. Corre stavolta l'anno 1954. Sembrerebbe MIIQMIW ASTROLABIO N. Altman - R. Briggs J. Frankel - D. Gensler - P. Pontone PSICOTERAPIA RELAZIONALE CON I BAMBINI Un'ampia sintesi e integrazione dei vari modelli relazionali utilizzati nella psicoterapia infantile ♦ Frank W. Putnam LA DISSOCIAZIONE NEI BAMBINI E NEGLI ADOLESCENTI Una prospettiva evolutiva Diagnosi e cura di un sintomo devastante conseguenza principale del maltrattamento infantile Thich Nhat Ftanh UN ASCOLTO PROFONDO Ascoltare se stessi per ascoltare gli altri: un grande maestro insegna a utilizzare uno strumento fondamentale per la conoscenza di sé ♦ Miyamoto Musashi IL LIBRO DEI CINQUE ANELLI Sommo spadaccino e raffinato artista Musashi intreccia l'arte e la strategia del kendo con la saggezza dello zen isnniMA un normale dopoguerra e invece è solo un'altra guerra. Lo scenario è globale: da Napoli a Bologna, da Vienna a Marsiglia, da Bristol a Parigi, da Mosca a Palm Springs. Puntata terza. I cinque componenti del collettivo di narratori anonimi si inventano solisti, pur continuando a mantenere l'anonimato: si firmano così Wu Ming 1 (New Thing, Einaudi 2004), Wu Ming 2 (Guerra agli umani), Wu Ming 5 (Havana Glam, Fanucci 2003). Mancano ancora all'appello Wu Ming 3 e Wu Ming 4, ma risponderanno presto alla chiamata dell'ormai vasto pubblico di estimatori. La poetica. In forma di deca-logo. Primo comandamento. Ripristina l'ontologia del narrare. A chi crede che ci siano ancora cose da raccontare o pensa, pur ritenendo che si sia già raccontato tutto, che quel tutto possa essere raccontato di nuovo. Dopo la discesa in quel limbo narrativo che è l'accumulo bruto di materiali di scarto, la boccata d'ossigeno dell'appello alla centralità dell'atto narrativo. Secondo comandamento. Non cercare le storie, ma lascia che siano le storie a farsi trovare. L'elogio della casualità della scoperta. Quasi un omaggio all'esistenza random assai congeniale alle nuove generazioni, ultimamente assecondata - e alimentata - dalla pubblicità ("Life is random. I Pod shuffle" lo slogan dell'Apple per la promozione di un tipo particolare di lettore/riprodutto-re audio mp3, che consente di ascoltare i motivi registrati in una successione del tutto casuale): "Senza quest'attitudine, non si può capire come una vecchia rivista di fantascienza trovata su una bancarella possa contenere e rivelarci la storia delle storie, farci comprendere di quali narrazioni abbiamo bisogno". Terzo comandamento. Dai la parola al mito, ai miti fondativi. Facendoli a pezzi e ricostruendoli. Per poterli narrare di nuovo, estraendo "la consapevolezza dall'entropia, senza rinunciare alla ragione né all'emozione". Perché i miti, purché accessibili e condivisibili dalle moltitudini ("Non sapremmo cosa farcene di un'avanguardia talmente avanti da non poter essere raggiunta da nessuno", parola del Subcomandante Insurgente Marcos), rendono tutto possibile. Quarto comandamento. Sottrai allo scrittore ogni diritto di paternità sull'opera prodotta. A chi ancora si domanda, come Abdelfattah Kilito nel brano riportato in epigrafe nell'introduzione di Tommaso de Lorenzis a un'antologia di racconti e articoli del gruppo (Giap! Tre anni di narrazioni e movimenti, Einaudi, 2003): "Bisogna, quando si legge un libro (un romanzo), ricordare, oltre alla storia, il nome dell'autore?". Non è necessario se l'autore è diventato nel frattempo "un comodo veicolo attraverso il quale la 'biblioteca' di una comunità cerca di replicare se Narratori italiani stessa". Dopo la rivendicazione olotipica (l'arroganza del singolo che si erge addirittura a unico, pretendendo di rappresentare l'intera specie degli scrittori), la rinuncia a comparire con il proprio nome, sostituito dallo pseudonimo collettivo o individuale. Quinto comandamento. Cessa di considerare la letteratura come luogo di esercizio del diritto di proprietà. La letteratura come no man's land, come open source. Perché le storie non appartengono ai singoli ma all'intera collettività, nella quale trovano la loro più naturale origine e alla quale devono essere perciò restituite. Risalendo a Proudhon: "Chi si appropria di una storia e vuole tenerla solo per sé, commette un furto. Il narratore che vive del suo lavoro, non lo fa vendendo storie che sono sue, ma raccontando storie che sono anche sue". Sesto comandamento. Dichiara guerra al copyright. Perché "le storie hanno bisogno di circolare e di replicarsi con tutti i mezzi possibili. Qualsiasi provvedimento cerchi di limitarle sotto questo aspetto è un attentato contro l'evoluzione della cultura e quindi, poiché le comunità e gli individui hanno, a loro volta, bisogno di storie, si tratta di un vero e proprio crimine contro l'umanità". Via libera dunque al copyleft, alla "riproduzione parziale o totale dell'opera" e alla sua "diffusione telematica, purché non a scopi commerciali". La Ubera circolazione gratuita e orizzontale delle storie come il bookcrossing, la libera circolazione dei libri. Che passano così Uberamente di mano in mano, lasciati qua e là per le strade delle nostre città da chi li ha già letti e intende farli leggere agli altri. Settimo comandamento. Sostituisci aUe tradizionali ragioni etiche, psicologiche o religiose, nella difesa dei diritti della massa, una critica materialistica diffusa. Affidandone il compito al movimento radicalmente discontinuo, e possibilmente pacifista, dei nemici deUa globalizzazione (tute bianche, "movimentisti", disobbedienti ecc.), perché il tam tam deUe loro storie aperte e corali si diffonda aU'intero pianeta come alternativa democratica globale al potere tentacolare dei signori dell'economia mondiale. Ottavo comandamento. Non ti curare deUe antinomie (visibilità-invisibilità, legahtà-iUega-lità, violenza-nonviolenza, stati-co-dinamico). Perché l'antinomia è nemica mortale di quel monumento all'ipocrisia che è la sintesi, strumento formidabile del capitale individuale di ieri come di queUo globale di oggi: "Dicono che sei violento? Tu scompagini la discussione su violenza e nonviolenza proponendo tattiche che sfuggono aU'incaseUamento. Dicono che sei una piccola minoranza, una 'frangia'? Tu infiltri la cultura pop, costruisci il consenso, mandi in tilt le rappresentazioni abitudinarie". Nono comandamento. Dividi ciò che è unito e unisci ciò che Pura afasia è diviso, per creare strane sensazioni di prossimità e distanza. Un modo per spiazzare ancora una volta l'avversario globale: esibendo per esempio una maglietta con lo slogan Peace & Love "associato all'immagine di un violento scontro tra manifestanti e forze dell'ordine". Decimo comandamento. Torna a difendere la causa del corpo. Perché i corpi, "senza nulla concedere all'ideologia del martirio", portano scompiglio nell'ordine stabilito e sfuggono ai suoi sistemi di controllo. Ma il corpo può leggersi anche come immagine traslata del tradizionale supporto tipografico di trasmissione del sapere: la vecchia pagina scritta, legata insieme ad altre pagine scritte a formare "comunità testuali" di dimensioni corpose (quelle dei vecchi romanzi ottocenteschi), lancia la sua sfida alla sfuggente ed effimera pagina virtuale. L'epilogo. Come in un libro game. Uno. Non durerà ancora a lungo. L'ipotesi più realistica. Due. Durerà ancora a lungo senza scendere a patti. L'ipotesi meno probabile. Tre. Durerà ancora, ma si comprometterà. L'ipotesi più probabile. Quattro. Si comprometterà per durare ancora a lungo. L'ipotesi da smentire. ■ maxarcangeli@tin.it M. Arcangeli insegna linguistica italiana all'Università di Cagliari di Marcello D'Alessandra Ilaria Bernardini NON È NIENTE pp. 252, € 13,60, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2005 Gillaboratrice di riviste, voce per la radio, a tv e la pubblicità, Ilaria Bernardini (classe 1977) ha scelto ora di misurarsi col romanzo: una storia di giovani, poco più che ventenni, a Milano, la città dove è nata. Protagonista è Michela, col suo sogno di diventare attrice; gli esami all'università e il mondo che le ruota attorno: il fidanzato con cui condivide un monolocale colmo di libri e dal frigo vuoto; l'amica Viola, amatissima, fragile e masochista; e poi altri personaggi, dentro un percorso solcato da speranze, tradimenti, dolorose separazioni. Michela è, in un'immagine, le sue mani: martoriate, rovinosamente segnate (per il freddo?), sanguinanti; sembrano uscite - nel romanzo si dice - da un tritacarne. Le mani sono la cifra del personaggio ("le sue mani che erano solo lei"). Nel risvolto di copertina - si sa - facilmente si tende a esagerare le qualità del libro, così accade in questo caso: con tutta la buona volontà non si può credere che il libro catturi "lo spirito di una generazione e di un'era", nientedimeno: a tanto, onestamente, non giunge. La prima parte sembra promettere bene (astenendosi da iperboliche aspettative): col suo brio giovanile, il respiro aperto dei personaggi, le passeggiate notturne per le vie di Milano; ma poi, pagina dopo pagina, paesaggio e personaggi scolorano in un grigiore invasivo e compiaciuto ("Gioivano di quella bruttezza e del vuoto nello stomaco"), che dai personaggi si trasmette al racconto e - peggio -alla scrittura; anche Milano, sullo sfondo, tende a scomparire, ed è un peccato. "A Michela pia- ceva l'enfasi", si legge: anche all'autrice, purtroppo, cui fa difetto il necessario distacco dalla materia narrata. C'è un che di accelerato nei gesti dei personaggi. Si legga, ad esempio, il passo in cui è descritto il primo appuntamento tra Michela e Giacomo, il suo futuro fidanzato: "Avevano passato la notte in giro in macchina (...) circumnavigando Milano e dimenticandola, travolta com'era dalle loro parole veloci, nevrotiche, che saltellavano cercando un posto dove riposare. Esausti, alle cinque del mattino, avevano iniziato a baciarsi". O le loro passeggiate notturne, presente anche Viola, l'amica inseparabile: "Parlavano e alzavano i piedi così velocemente che visti da fuori sarebbero sembrati di fretta". Di diverso, rispetto a certe opere degli anni scorsi, di autori cosiddetti di "nuova generazione", c'è questo (e tutto a sfavore di Bernardini, a segnarne un limite come narratrice): se quelli hanno accettato la sfida a "vedere correndo", imposta da una cultura nata nella trama delle comunicazioni, con un ritmo veloce e un montaggio sincopato, quindi intervenendo sulla struttura del racconto (cfr. Lidia De Federicis, "L'Indice", 1995, n. 3), nel libro presente tutto (e qui sta l'ingenuità) si riversa sui personaggi, che per un eccesso di attivismo giungono a sfiorare l'afasia: un'afasia dei sentimenti. Era questa l'occasione grande, in buona parte perduta, sul romanzo da scrivere: il ritratto di una generazione dai sentimenti anestetizzati (che interrogata sui propri rovelli non sa che rispondere "non è niente", come il titolo del romanzo, quasi una formula-manifesto; e altro titolo avrebbe potuto essere "la sofferenza è anestesia pura", espressione cara al narratore). Questo sì, sarebbe stato il romanzo capace di catturare lo spirito di una generazione. Ma non è rimasto che un tentativo, si spera realizzabile in un futuro non lontano.