N. 7/8 6 □ La persistenza di un'idea Pur di avere un pedigree di Francesco Cassata Claudio Pogliano L'OSSESSIONE DELLA RAZZA Antropologia e genetica nel xx secolo pp. 582, €45, Edizioni della Normale, Pisa 2005 Nel marzo scorso, non senza una buona dose di italico provincialismo, il quotidiano "la Repubblica" ospitò, nelle pagine centrali della cultura, le argomentazioni di un distinto professore dell'Imperiai College di Londra, Armand Marie Leroi, tese a ripristinare il concetto di "specificità razziale", interpretabile come un pacchetto di correlazioni fra le varianti genetiche di qualsiasi gruppo etnico. Non mancarono in quell'occasione le reazioni immediate - e ovviamente critiche - di Luigi Luca Cavalli Sforza e di Marcello Buiatti, ma il "caso Leroi", per quanto giornalisticamente effimero, rappresentò l'ennesima riprova di quella longevità del concetto di "razza" all'interno del discorso scientifico, che Pogliano riassume - nel primo capitolo del suo ultimo, corposo volume - con l'efficace metafora dell'"incompiuto tramonto": il "sole" della razza, splendente a partire dal XIX secolo e indebolitosi nella seconda metà del XX, in realtà non ha mai smesso di tramontare: si è come immobilizzato all'orizzonte. L'importante contributo di Pogliano è, innanzitutto, il racconto di questa parabola incompiuta, ovvero delle molteplici fortune conosciute dalle tassonomie dell'antropologia fisica, anche al di là della loro immediata strumentalizzazione politica. Può infatti non stupire il fatto che la folta letteratura eugenetica nordamericana sul carattere degenerativo degli incroci razziali - accuratamente sistematizzata da Pogliano - alimenti un incubo della Miscegenation del tutto funzionale alla restrizione dell'immigrazione attuata, nel 1924, con il Johnson-Reed Restriction Act. Ma forse colpi- | dei libri del mese| Eugenetica scono maggiormente le difficoltà con cui gli stessi critici del concetto antropologico di "razza" stentano a liberarsi dei vincoli del pensiero tipologico. Si pensi al celebre Noi Europei del 1935 (ed. orig. 1935, trad. dall'inglese di Francesca Mastroril-li e Michele Nani, a cura di Claudio Pogliano, Edizioni di Comunità, 2002), in cui Julian S. Huxley e Alfred C. Haddon suggerirono, da un lato, di sostituire il termine "razza" con quello di "gruppo etnico", più descrittivo e neutro, ma, dall'altro, in una cinquantina di pagine, non si astennero dal classificare i principali gruppi di europei, analizzando il continente nazione per nazione. Osi percorrano, per citare solo un altro esempio, le pagine in cui Pogliano, utilizzando un prezioso e inedito materiale archivistico, ricostruisce gli scontri politici e scientifici, le ambiguità e le contraddizioni che accompagnano, nel 1950-51, i primi due Statements on Race dell'Unesco. La percezione che il concetto di "razza" sia sopravvissuto nel corso del Novecento come una sorta di anacronistico arnese tolemaico in un mondo copernicano risulta tanto più netta quanto più ci si sofferma sugli antidoti, ovvero sulle correnti di pensiero Babele. Osservatorio sulla proliferazione semantica Eugenica/Eugenetica, s.f. Dal greco eugenés (buona nascita), il termine eugenics viene coniato nel 1883 da Francis Galton per connotare la versione moderna di un sogno "antropotecnico" risalente quanto meno alla Città del sole di Tommaso Campanella: migliorare biologicamente la specie umana ostacolando la riproduzione degli "inadatti" (eugenica negativa) e favorendo invece quella dei "migliori" (eugenica positiva). La parola conosce da allora numerose traduzioni nazionali: eugenique in francese, eugenia in portoghese, eugenesia in spagnolo, evgenika ed evgenetika in russo. E mentre in Germania prevale Rassenhygiene su Eugenik, in Italia l'accezione storicamente più corretta è eugenica, anche se, a partire dal secondo dopoguerra, prevale, nell'uso comune, il termine eugenetica. Sul piano della definizione concettuale, lo storico Daniel Kevles ha distinto tre varianti di eugenica: la mainline eugenics, caratterizzata da una politica statale coercitiva (ad esempio, le sterilizzazioni attuate in Stati Uniti, Svezia, Germania), da un marcato pregiudizio di classe e di razza e dall'impiego della metodologia, banale e scientificamente infondata, dei pedigrees; la reform eugenics - inaugurata a partire dagli anni trenta, da scienziati di sinistra come Hogben, Haldane, Penrose - critica nei confronti del pregiudizio razzista o classista della mainline eugenics, basata su più raffinati strumenti matematici e genetici, ma pur sempre legata a un progetto politico di miglioramento della specie umana; la new eugenics, affermatasi nel secondo dopoguerra e contraddistinta dal rifiuto dell'intervento pubblico in materia di riproduzione umana e dal riconoscimento dell'autonomia riproduttiva dell'individuo all'interno del rapporto medico-paziente. Storicamente, l'eugenica si configura come un complesso di teorie, metodi e azioni politiche che ha conosciuto tre diverse fasi di elaborazione e di sviluppo - rispettivamente, gli ultimi decenni dell'Ottocento, il ventennio interbellico del Novecento e gli anni sessanta e settanta -, proponendosi, in corrispon- denza di questi momenti, come, da un lato, il prodotto e, dall'altro, la risposta in chiave biologica, alle dinamiche di crisi e di modernizzazione dei sistemi sociali contemporanei. A lungo considerata esclusivamente nella sua versione anglo-americana o tedesco-scandinava, l'eugenica va dunque concepita piuttosto come un fenomeno culturale, sociale e politico di ampia portata internazionale. Essa non appare più oggi come un movimento omogeneo, in sé coerente e riconducibile essenzialmente alla sua matrice anglosassone, ma come un "arcipelago multiforme", caratterizzato dalla compresenza di una molteplicità di national styles: accanto all'eugenica "nordica" - contraddistinta da birth control, certificato prematrimoniale obbligatorio e sterilizzazioni - ha fatto così la sua comparsa un'eugenica "latina", improntata su misure igieniste e pronataliste e diffusa in paesi cattolici come l'Italia, la Francia, il Belgio e diversi stati dell'America centro-meridionale. Eugenisti non erano soltanto i "mendeliani" come Charles Davenport, ma anche i "neo-lamarckiani", come Adolphe Pinard ed Eugène Apert. Eugenisti non erano soltanto "pseudo-scienziati", come Flenry Goddard, ma anche grandi nomi della storia della biologia come Fisher, Weinberg, Muller, Serebrovsky, Flaldane. Ed eugenisti si dichiaravano non soltanto i reazionari antisemiti, razzisti, sessisti, classisti, ecc., ma anche i sostenitori del controllo delle nascite, dell'aborto, dell'amore libero, dell'eguaglianza fra gli individui, dell'emancipazione del proletariato: dalle prime femministe ai socialdemocratici tedeschi e svedesi, dai fabiani britannici ai bolscevichi russi, fino ai comunisti francesi del Fronte popolare. Una storia plurale e complessa, dunque, che contrasta fortemente con gli strumentali usi attuali della parola eugenica, incentrati essenzialmente sull'"analogia nazificante", in base alla quale la diagnosi prenatale o la diagnosi preimpianto non sarebbero che il primo passo verso un nuovo sterminio degli individui "difettosi". (F.C.) che, a partire dal periodo compreso fra le due guerre mondiali, ne demolirono la pretesa di scientificità. Pogliano, analizzando l'ambiente scientifico angloamericano, ne individua giustamente due: in primo luogo, la "scuola di Boas", a cominciare dal suo capostipite - quel Franz Boas così accanitamente critico, fin dai primi anni del Novecento, del determinismo ereditari-sta degli eugenisti statunitensi -fino agli allievi più famosi, come Paul Radin, Ashley Montagu o Ruth Benedict; in secondo luogo, i progressi della genetica, a cui si accompagna la rivoluzione teorica ribadita per vent'anni da Ernst Mayr, riassumibile nella necessità d'interpretare la diversità umana in chiave non tipologica, ma popolazionale: a variare davvero sono popolazioni e geni, non la farragine di tratti che il senso comune percepisce come "razza". Di conseguenza, per raccontare la storia della specie umana, bisogna studiare la geografia dei geni, non già quella dei fenotipi umani. Un ruolo importante nello sviluppo di una "nuova antropologia" alla luce degli avanzamenti della genetica verrà rivestito dalla scoperta dei gruppi sanguigni e della loro distribuzione statistica: un aspetto non a caso dibattuto da Pogliano in uno dei capitoli più importanti del libro. L'indagine genetica dei gruppi sanguigni, se da un lato fu all'origine di un tentativo di reinterpretazione "serolo-gica" delle classificazioni razziali, dall'altro aprì la strada a un progressivo indebolimento della nozione stessa di "razza". Pogliano si concentra correttamente sul ruolo di William C. Boyd e sul suo tentativo di rifondare l'antropologia su basi genetiche, ma forse un riferimento alla Germania - contesto consapevolmente e comprensibilmente trascurato dall'autore - avrebbe consentito di verificare come proprio la Verer-bungsmathematik, introdotta da Wilhelm Weinberg e potenziata da Fritz Lenz e da Felix Bern-stein, pur avendo contribuito, in Germania, all'elaborazione di un'antropologia vòlkisch e di una Rassenphysiologie, in Gran Bretagna fornì a scienziati di orientamento marxista del calibro di Lancelot Hogben e John B. S. Haldane gli strumenti teorici necessari per smantellare la metodologia eugenetica dei pedigrees. E l'Italia? Il panorama nazionale appare tristemente dominato dall'immobilismo e dalla continuità del "razzialismo" antropologico, pesantemente coinvolto nelle vicende del colonialismo fascista e icasticamente rappresentato dalla lunga durata di un'opera enciclopedica, come Le razze e i popoli della terra di Renato Biasutti, di cui Pogliano analizza in profondità le successive edizioni, dal 1941 al 1967. Uno sguardo parallelo alla situazione della genetica in Italia, in quegli stessi anni, avrebbe forse permesso di ricavare una visione meno pessimistica e sconfortante del contesto scientifico generale. Saranno, infatti, proprio i genetisti italiani, e in particolare Giuseppe Montalenti, Claudio Barigozzi e Adriano Buzzati-Traverso, ad avviare, tra il 1948 e il 1950, un'intensa battaglia ideologica e politica volta a spezzare qualsiasi ponte fra la nuova scienza emergente e il passato eugenetico fascista. Mentre il simbolo di tale passato - quel Corrado Gini a cui accenna Pogliano in più occasioni - continuerà indisturbato il suo cammino teorico, questa volta ài fianco degli eugenisti americani e contro gli Statements on Race dell'Unesco, i genetisti italiani organizzeranno a Bellagio, nell'agosto del 1953, il IX Congresso internazionale di genetica, il primo che si tenesse in Italia, di una serie iniziata a Londra nel 1899. Una vetrina mondiale, a cui parteciperanno otto-centosessantatre convenuti - in prevalenza americani e britannici - utile a dimostrare che qualcosa in Italia, nonostante tutto, era davvero cambiato. ■ francescocassata@hotmail.com F. Cassata è dottore di ricerca in Storia delle società contemporanee all'Università di Torino I libri Sterminata è la bibliografia sull'eugenetica, in generale non tradotta in italiano. Per uno studio comparativo, si rimanda al volume curato da Mark B. Adams, The Wellborn Science. Eugenics in Germany, France, Brazil and Russia (Oxford University Press, 1990). Sull'eugenetica in Gran Bretagna e Stati Uniti, utili sintesi sono quelle di Daniel Kevles, In the name of eugenics (Harvard University Press, 1995) e di Diane Paul, Controlling human eredity: 1865 to the present (Humanities Press, 1995), in parte ripresi da Cristian F ischetto, Fabbricare l'uomo (Armando, 2004). Della corposa e recente storiografia sul movimento eugenetico tedesco, nulla è stato tradotto: non resta che rinviare al volume di Friedlander, Le origini del genocidio nazista (ed. orig. 1995, trad. dall'inglese di Massimo Marraffa, Editori Riuniti, 1997). Sull'eugenetica nella penisola scandinava, disponibili in italiano sono i testi di Piero Colla, Per la nazio ne e per la razza: cittadini ed esclusi nel "modello svede se" (Carocci, 2000) e di Luca Dotti, L'utopia eugenetica del welfare state svedese (1934-1975) (Rubbettino, 2004). Sull'eugenetica in Italia, con particolare attenzione al periodo fascista, si segna lano le ricerche di Giorgio Israel e Pietro Nastasi, Scienza e razza nell'Italia fa scista (il Mulino, 1988) e di Roberto Maiocchi, Scienza italiana e razzismo fascista (Carocci, 2003). Lo studio più documentato rimane al momento quello di Claudia Mantovani, Rigenerare la società. E'eugenetica in Italia dalle origini ottocentesche agli anni Trenta (Rub bettino, 2004).