Scienze Ibrido in ombra di Telmo Pievani Alfredo Bueno Hernàndez e Jorge Llorente Bousquetg L'EVOLUZIONE DI UN EVOLUZIONISTA Alfred Russel Wallace e la geografia della vita ed. orig. 2003, a cura di Mario Zumino, trad. dall'inglese di Francesca Zumino, pp. 174, €24, Bollati Boringhieri, Torino 2004 Alfred Russe! Wallace rappresenta per molti aspetti il volto meno noto della storia del primo evoluzionismo. Coscopritore della teoria della selezione naturale insieme a Charles Darwin, ma dalla fama di quest'ultimo ampiamente oscurato, Wallace contribuì enormemente con le sue osservazioni naturalistiche alla comprensione dei meccanismi che generano la biodiversità. Volle essere più darwiniano di Darwin, ma con una bizzarra eccezione che pesò sulla sua fama novecentesca: egli fu infatti il sostenitore di una concezione "spiritualistica" dell'evoluzione della specie umana, 0 cui cervello capace di senso morale doveva essere inteso come un'eccezione sovrannaturale alla legge materialistica della selezione. Non è un caso che il "personaggio" Wallace sia stato recentemente scoperto da molti biografi di lingua inglese, divenendo quasi un caso editoriale. Di tutto ciò non si parla in questo libro, e non solo perché per una volta non si tratta dell'edizione italiana di un testo anglosassone, bensì latinoamericano, ma anche perché i due evoluzionisti messicani Alfredo Bueno Hernàndez e Jorge Llorente Bousquets ci presentano qui un Wallace specifico, degno di massimo rilievo: il fondatore della biogeografia evoluzionistica, cioè lo studio dei cambiamenti nelle distribuzioni geografiche delle specie viventi. Non si tratta quindi di un'esposizione sistematica del suo pensiero, ma della storia di una conversione paradigmatica che si collocherebbe all'origine di questa disciplina nel 1876. Come scrive molto bene il curatore del volume, Mario Zunino, nella sua asciutta e utile prefazione, la biogeografia rappresenta oggi una tradizione di ricerca consolidata e indispensabile per comprendere le origini della biodiversità, grazie alla sua sintesi fra lo studio dell'evoluzione della terra e lo studio dell'evoluzione degli esseri viventi. Oggi molti studiosi hanno raccolto l'invito del fondatore della pan-geogra-fia, Léon Croizat, a integrare la dimensione spaziale, geografica, dell'evoluzione alla dimensione temporale, genealogica, classica del neodarwinismo. In più, in questo testo si analizza una transizione teorica cruciale all'interno dell'elaborazione stessa di Wallace: da una prima fase nella quale il naturalista inglese si cimenta in una concezione della biogeografia di tipo "estensionista", cioè focalizzata su meccanismi di separazione degli areali di specie affini indotti da frammentazioni, inabissamenti o spostamenti di ampie porzioni delle terre emerse (estensioni), a una seconda fase nella quale Wallace si adegua alla visione alternativa di Darwin di tipo "dispersionista" o "perma-nentista", nella quale non sono previste alterazioni sostanziali della superficie terrestre giacché si presume che la distribuzione delle specie sia dovuta a fenomeni di migrazione e di dispersione a partire da "centri di origine", o semplicemente all'evoluzione adattativa divergente. Il fatto interessante è che l'originaria concezione estensionista di Wallace, poi mitigata a causa sia dell'autorità di Darwin sia del fallimento nell'individuare le regioni biogeografiche originarie e i confini faunistici, è una fugace ma sostanziale anticipazione della teoria dei processi speciativi geografici, della teoria "vicarian-tista" e della biogeografia cladisti-ca che si affermeranno un secolo dopo. Nemmeno questo aspetto, tuttavia, è affrontato estesamente dagli autori, ma più che altro accennato nelle efficaci note integrative di Zunino. Il testo si limita invece a una descrizione piuttosto pedante della sequenza cronologica di opere di Wallace dalla metà degli anni cinquanta dell'Ottocento in avanti. In più, l'immagine complessiva che ne deriva non sembra essere quella di un "capovolgimento di paradigma", come in alcuni passaggi un po' forzati suggeriscono gli autori, bensì di una transizione complessa e a tratti contraddittoria da un modello estensionista a un modello misto, o pluralista, dopo il 1864. Wallace, più che rinnegare se stesso, dinanzi alle difficoltà sperimentali di un approccio estensionista puro sembra spostare il "peso" esplicativo su un mix di fattori estensionisti e di-spersionisti, un ibrido pieno di conflitti interni ma interessante rispetto agli sviluppi futuri della disciplina. Oggi infatti non si discute dell'esclusività di certi fattori a dispetto di altri, ma della priorità causale degli uni sugli altri in un contesto pluralista profondamente mutato dopo l'accettazione della teoria della tettonica a zolle. La seconda parte del libro soffre di questa ambiguità interpretativa fra cambiamento radicale di paradigma e processo di diversificazione dei fattori biogeografici, sullo sfondo di una grande intuizione, quella dell'interdipendenza fra natura organica e inorganica, aggiornata di volta in volta rispetto ai dibattiti attuali senza cadere nell'errore di vedere in Wallace solo un anticipatore o uno che aveva quasi visto giusto. Due (marginali) note dolenti: il titolo italiano, già di Conrad H. Waddington e ampiamente abusato, e la cura editoriale non sono all'altezza della perizia con la quale un colto e appassionato curatore ha rivitalizzato un saggio di per sé piuttosto compilativo. ■ telmo.pievaniSunimib.it T. Pievani insegna filosofìa della scienza all'Università degli studi di Milano Bicocca Darwin non è morto e non e un santo Giulio Barsanti UNA LUNGA PAZIENZA CIECA Storia dell'evoluzionismo pp. 424, €22,50, Einaudi, Torino 2005 A Darwin non piacevano le storie che finivano male: dovrebbero proibirle per legge, scrisse nell'autobiografia. Chissà cosa starà pensando adesso, osservando la storia della sua teoria e le schermaglie fra chi la considera morta e chi la venera come una reliquia intoccabile. Stando alla bellissima ricostruzione che ci propone in questo volume Giulio Barsanti, storico delle scienze naturali all'Università di Firenze, il lieto fine per il momento non si preannuncia. La buona storia della scienza, come questa, non racconta finali prevedibili, non obbedisce a banali trame popolate di "precursori" e di continuatori, non si lascia affascinare dal vizio fatale di ricostruire il passato alla luce retrospettiva di un presente necessario. Vi è ben poco di lineare in questa storia dell'evoluzionismo: ci sono i "cattivi" che avevano torto per buoni motivi e i "buoni" che avevano ragione per pessimi motivi; ci sono "evoluzionisti" senza evoluzione, tradizionalisti che promuovono avanzamenti e progressisti che li sabotano; ci sono intuizioni prive di base empirica e teorie sbagliate ma corroborate; ci sono beffardi riconoscimenti postumi e baroni trionfanti su castelli teorici di sabbia. rifiuta con gustosi spunti polemici. Tuttavia, per comprendere come sia giustamente possibile definire Darwin al contempo un "progressista whig" e un teorico del selezionismo sociale, un qualche riferimento alla cultura e alla società vittoriana sembrerebbe necessario, se non altro per rimarcare anche alcune differenze fra Darwin, Spencer e Galton. Gli intermezzi in corsivo sono pungenti e sempre interessanti, soprattutto per il confronto fra le semplificazioni di alcuni modelli epistemologici e la ricchezza degli intrecci fra teorie, ipotesi e idee in campo evoluzionistico. Difficile parlare di rivoluzioni paradigmatiche in questo ambito, sostiene Barsanti: meglio inseguire le specificità storiche degli approcci, gli slittamenti di significato, le ambiguità interne delle teorie che si sono succedute. Si possono così apprezzare raffinatezze storiche come l'insospettabile evoluzionismo di Linneo, il profondo conservatorismo di Lyell, l'ambientalismo di Lamarck, il ruolo dei Vestiges di Chambers, il nesso cruciale fra selezione naturale e biogeografia, D'inglobamento" di Lamarck da parte di Darwin, il contributo italiano di Daniele Rosa, lo sciovinismo lamarckia-no in Francia, le divisioni all'interno della Sintesi Moderna. Barsanti compie la scelta felice di lasciar parlare direttamente gli autori, evocati in lunghe ma mai pesanti citazioni, opportunamente chiosate. A volte è obbligato a essere un po' sbrigativo e alcuni, in primis la filosofia naturale tedesca e i catastrofisti, ne fanno le spese, ma alla fine il gu- Purtroppo l'autore non ha spazio per andare al di là di alcuni brevi cenni alla storia della teoria darwiniana dopo l'affermazione della Sintesi. Quindi l'arco temporale trattato si limita a non più di due secoli. Tuttavia, non mancano alcuni riferimenti importanti al destino del darwinismo e al suo presunto superamento. Bar-santi propone, alla luce dell'originario pluralismo della proposta darwiniana, di considerare il neodarwinismo della Sintesi un "programma di ricerca" più esteso ma derivato coerentemente dal "primo Darwin". Potremmo aggiungere che oggi siamo in una fase in cui la Sintesi viene ulteriormente reinterpretata in chiave pluralista, mantenendo non soltanto il nucleo centrale della logica esplicativa darwiniana (selezionismo e continuismo), ma recuperando anche quello sguardo binoculare (della macroevoluzione e della microevoluzione insieme) che Barsanti considera brillantemente la migliore lettura del contributo darwiniano originario. Dunque, non soltanto Darwin non è morto, ma ritorna di attualità il suo "naturalismo" dopo le infatuazioni riduzioniste dei genetisti della prima Sintesi. Una bella risposta per chi ancora oggi parla di "diverse teorie" dell'evoluzione in contrasto l'una con l'altra e tutte egualmente congetturali: il dato empirico, combinato alla storia della scienza, rivela ben altro. Ecco allora che alcuni scorci, come l'umiliante abiura imposta a Buffon o il furioso dibattito fiorentino del 1869 sulle origini dell'uomo fra Aljeksàndr Herzen, l'abate Lambruschini e il filologo Niccolò Tommaseo, inducono l'autore a sospettare che la "lunga pazienza cieca" non sia soltanto la definizione dell'operato dell'evoluzione biologica (come Sainte-Beuve volle definire la "nuda" visione lamarckiana della natura), ma anche la qualità mi-gbore degli evoluzionisti, da due secoli obbligati a sostenere lo Affinché la complessità delle storie evoluzionistiche, dai primi anatomisti proto-illuministi ai neodarwiniani, non si dissolva però in una molteplicità di rivoli è necessario ricorrere a un criterio dirimente, che Barsanti identifica nella relazione fra idee scientifiche e base empirica. Il che restituisce alla sua storia, tutto sommato, una certa tonalità progressiva. Di storia delle idee si tratta, e non di sociologia della scienza, una "moda" che l'autore sto della scrittura prevale (su tutti, valga lo spunto sulla "teologia botanica" di Duncan del 1825) accompagnando il lettore lungo il drammatico "romanzo di formazione" attraverso il quale la scienza moderna concepì le origini naturali di tutti gli organismi, specie umana compresa, laicizzando il mondo vivente. Un bbro da non perdere, anche per l'ottima bibliografia, consultabile in una versione anche più estesa sul sito dell'editore. stesso tipo di polemiche. In tal senso, le pagine sulla teologia naturale inglese messa a confronto con l'Intelligent Design attuale e con i deliri antievoluzionisti di alcune testate giornalistiche italiane sono strepitose. L'errore di considerare Darwin un "santino" integerrimo non è nulla a confronto dell'ansia devota con la quale si cerca di celebrarne il funerale ogni volta che una scoperta sembra contraddirlo. ■ (T.P.)