k a io tì k io io • I-i C/2 Proclamare il migliore scrittore italiano vivente sta diventando una tendenza sempre più fre- quente nella critica e nella pubblicistica letteraria, tendenza che forse risponde solo all'irresistibile tentazione di segnare punti fermi all'inizio di un nuovo decennio. Di recente hanno ricevuto questa gravosa investitura scrittori come Michele Mari, Rosa Matteucci e Alberto Arbasino, talvolta è ac- caduto a colui che si autoproclama "l'intelligenza più brillante e più civile prodotta" dal nostro pae- se, "cioè un miracolo antropologico", cioè Aldo Busi, come afferma nel suo ultimo Aaa! (pp. 156, € 11, Bompiani, Milano 2010), raccolta di tre rac- conti brevi dopo quasi sette anni di lontananza dalla scrittura dell'autore nato a Montichiari, in provincia di Brescia, nel 1948. Sono passati venticinque anni dallo sfolgorante esordio di Aldo Busi, quel Seminario sulla gioventù (Adelphi, 1984) che è considerato ancora la sua opera più significativa e impor- tante, che rivelò il suo innato e originale talento attraverso il rac- conto di una dolorosa formazio- ne tra amori e vendette e di una complessa costruzione dell'io. Come racconta Piero Bertolucci, nella nota alla riedizione del ro- manzo del 2003, agli inizi degli anni settanta il ragazzo che porta- va i caffè dal bar Pinguino di Mi- lano alla redazione della casa edi- trice Adelphi gli fece leggere un manoscritto che aveva iniziato a scrivere da adolescente e che, do- po diversi viaggi tra Parigi, Lon- dra, Berlino e New York, ben quattordici riscritture in dieci an- ni, divenne Seminario sulla gio- ventù, il romanzo che "avrebbe dovuto aiutare l'Italia (...) a usci- re non tanto dalla Controriforma ma almeno dal Settecento". Semi- nario è ancora l'opera più signifi- cativa di Busi perché presenta una moltitudine di voci che con il tempo si sono trasformate in un monologo, a volte raffinatissimo e originale, e, giacché parla di una formazione, ha già esposte alcune costanti della poetica bu- siana, come l'analisi dei senti- menti, l'autodistruzione e la vo- lontà di fare del male, nonché al- cune indimenticabili figure fem- minili. Dall'esordio in poi Busi ha scritto tantissimo, dando alle stampe quasi un libro all'anno e ten- tando di far coincidere vita e scrittura tramite la sua prosa incontenibile, torrenziale e barocca. Si deve a Marco Cavalli e alla sua monografia (Busi in corpo 11, Il Saggiatore, 2005), la sistemazione della pachidermica opera busiana: ben sette i ro- manzi oltre al Seminario, Vita standard di un ven- ditore provvisorio di collant, La delfina bizantina, Sodomie in corpo 11, Vendita galline km. 2, Suici- di dovuti e Casanova di se stessi-, sei racconti di viaggi tra l'Europa e le più esotiche Hawaii e Au- stralia; sei manuali "per una perfetta umanità", una sorta di galateo provocatorio e moderno; quindici raccolte di racconti, reportage, saggi; tredici traduzioni da Boccaccio a Lewis Carroll passando per l'amato poeta americano John Ash- bery (oltre all'attività di traduttore, per lo più co- me autodidatta, Busi dirige la collana "Classici Classici" della Frassinelli). In realtà è lo stesso Busi che in Sodomie in corpo 11 (Mondadori, 1999), forse l'opera più sincera e più ricca di in- tuizioni sulla sua poetica sintetizzata da un famo- so sottotitolo "non viaggio, non sesso e scrittura", un viaggio tra Marocco, Finlandia, Kenia e Tuni- sia che ha rappresentato il modello per i successi- vi libri di viaggio, ammette di voler fermarsi a una pentalogia di romanzi e poi "fare la vedova dello scrittore", curare i suoi interessi, ritirare premi e presenziare a inaugurazioni istituzionali di monu- menti. Provocatorie e trasgressive, le prime opere di Busi si distinguono proprio per una freschezza e una vitalità dello stile, tra comicità e lirismo, orfi- smo e citazionismo, che raramente si può trovare in quelle successive. Uno stile che prende le mosse da modelli illustri come Laclos, Mann, Gide, Wil- de, Pasolini, Genet e Arbasino (quest'ultimo il corrispettivo aristocratico di Busi, quasi un rivale o un fantasma da non citare mai e non essere citati), perché la scrittura di Busi, come dice Nicola La- gioia, quasi un suo continuatore insieme a Walter Siti, rappresenta quello che sarebbe diventata la letteratura italiana se si fosse seguita la strada in- trapresa da Boccaccio o dal Baldus di Teofilo Fo- lengo. Ad esempio, nel suo secondo romanzo, Vi- ta standard (Mondadori, 1985), una spumeggiante vicenda di vendetta e morte tra la provincia lom- barda e l'Europa prossima alla caduta del Muro, Busi riesce a rendere il linguaggio del gretto im- prenditore di collant Celestino Lometto una sorta di dialetto mutato e violento, precursore di quello della pancia elettorale della Lega Nord, e con luci- dità delinea descrizioni del nostro paese ancora at- tualissime: "L'Italia legale, dall'industria all'uni- versità, dalla cultura alla politica, era un immenso bacino geografico di ladrocinii. Si falsificava la vi- ta in tutta omertà per meglio depredarla, asservir- la, depistarla". Non risparmia nessuno Busi, che più che far ridere, con pagine di estrema comicità e si- tuazioni grottesche di una materia spesso traboc- cante, vuole irridere, e non risparmia soprattutto se stesso, l'analisi del suo dolore, la frattura tra autodistruzione e autoconservazione, la sua de- bolezza di piacersi troppo e di voler dialogare con se stesso e con i lettori in una logica di sedu- zione letteraria che, con il tempo, è mancata di necessità e crudeltà. In Sodomie ammette di essere interessato solo al- le persone da cui dipende come scrittore, con una frase di una lucidità e di una verità uniche: "stam- patori, editori, critici, fotografi, giornalisti, came- ramen, presentatori, cioè chi come me ha pochissi- mo tempo per essere umano". Se da una parte può risultare simpatica la ricerca sfacciata di divismo mediatico, attraverso anche curiose provocazioni pubbliche anticonformistiche, alla lunga il suo personaggio televisivo ha offuscato lo scrittore: og- gi Busi è sicuramente più famoso che letto, e que- sto non sarebbe un problema se la fama non aves- se intaccato anche il suo talento, cioè il Busi di og- gi è solo la versione da giullare dello scrittore di ie- ri, la vedova dello scrittore appunto. All'inizio l'autopromozione di Busi poteva essere giustifica- ta come un comprensibile rimborso dopo una vita difficile da emarginato, ma alla lunga il livore del- lo scrittore-personaggio-pubblico, contro una cul- tura che lo ha spesso ignorato e un paese che non lo merita, si è trasformato in una massiccia parte- cipazione televisiva, una sorta di vendetta mediati- ca: in questo senso va letta la sua recente parteci- pazione all'ennesimo de profundis della televisio- ne italiana, Cisoia dei famosi. Infatti, tornando all'ultima pubblicazione, i racconti di Aaa!, tre come le tre lettere dell'escla- mazione del titolo, non sono esempi validi della miglior arte di Busi, ma possono essere testi pro- pedeutici per leggere e riscoprire i primi romanzi (l'ultimo è Casa- nova di se stessi, Mondadori, 2000). Il primo racconto, Il casto, sua moglie e l'Innominabile, già apparso nella seconda edizione della raccolta Sentire le donne (Bompiani, 2008), è una confes- sione fiume di un'eminenza grigia vaticana, un losco figuro a cono- scenza di tutti i traffici politici e economici del potere nel nostro paese, che si trasforma in un'in- vettiva capovolta grazie all'appa- rizione e all'opera di verità, in- trinseca nella scrittura, di Busi stesso: "L'Italia è a vocazione ot- tomana, finalmente è diventata la Bulgaria degli anni ottanta e lo re- sterà per un bel po', ormai ce l'ha fatta". Il secondo, Gli occhi della badante, è una struggente lettera alla madre morta sull'amore, la bontà, il ricevere, il donare e la solitudine attraverso la storia di un marchettaro immigrato che ri- corda Preghiere esaudite di Tru- man Capote. Infine il terzo rac- conto, il più irriverente Domanda di lavoro a una Prima Donna, è una domanda di la- voro a Carla Bruni, la prima donna francese, un'of- ferta paradossale di cervello (in fuga) a disposizio- ne della donna più elegante e potente del pianeta, un pretesto per attaccare il degrado del nostro paese. Questi racconti, da un altro punto di vista, sono la riprova che tutta l'opera letteraria di Busi è tesa a un'acutezza vendicativa della demistificazione, a una scrittura che si fa vita e infine verità che non lascia scampo. Per la scrittura Busi ha fatto di tut- to, si è ridotto anche a vivere come scriveva in So- domie con l'efficace metafora dello scrittore muc- ca, ma facendo questo ci ha regalato anche delle pagine bellissime e dolorosissime come in Vita standard-, "Il tramonto qui, in questa gabbia all'a- perto, rischia di diventare una decisione interiore e non calare mai, bisogna decidersi ad andare via. Questo torpore delle membra, questa voglia di la- sciar perdere tutto e farsi violenza fino a che non esistano più discorsi ma solo preamboli e sbarre confortanti che limitino in vece tua un di qua e un di là a quest'ora bisogna irrorarlo di acqua ghiac- cia, prendere su e andarsene, resistere alla malia del torto e della ragione". ■ villanicola@gmail.com N. Villa è critico letterario di Nicola Villa L'Italia a vocazione ottomana Idei libri del mese| La produzione letteraria di Busi all'insegna della provocazione