La più grande città del pianeta di Luisa Pellegrino 4 hanno marcato il pensiero critico e la cultura letteraria del secondo Novecento, prima tra tutte quella di "postmoderno", la letteratura postcoloniale si è caratterizzata, tra le altre cose, dall'impossibilità o dal rifiuto di concepire e narrare la storia secondo un percorso rettilineo, addentrandosi invece nella ricerca di stilemi e canoni espressivi talvolta assai sofisticati (come nel caso di Salman Rushdie). Swa-rup, al contrario, afferma la centralità di una narrazione diretta e priva di mediazioni e artifici meta-testuali, quasi a significare che l'urgenza delle contraddizioni e i drammi della nuova India possano essere narrati solo attraverso una scrittura immediata e quasi cronachistica, lontana da ogni forma di sperimentalismo. Entrambi i romanzi hanno una struttura ben definita. Le dodici domande è la storia di un giovane indiano che diventa, inaspettatamente, campione di un famoso quiz televisivo, e che, sospettato di avere vinto grazie a qualche inganno, ripercorre durante un interrogatorio gli eventi fortuiti di cui è stato protagonista, rivelando come una vita di stenti e spesso condotta ai limiti della legge possa essere una fonte di sapere ben più affidabile di qualsiasi libro. Romanzo picaresco nel senso più autentico del termine, è diviso in episodi chiaramente differenziati, ciascuno dei quali ha una sua compiutezza e autonomia, nonostante la presenza di alcuni personaggi e i riferimenti a eventi trascorsi ritornino di tanto in tanto nella narrazione. La struttura di I sei sospetti è invece più complessa: si tratta di un giallo che ruota intorno all'omicidio di Vicky Ray, figlio del corrotto ministro dell'interno dell'Uttar Pradesh e lui stesso colpevole dei crimini più svariati; sei personaggi, provenienti dai luoghi e dai contesti sociali più diversi (un funzionario ministeriale, un'attrice, un aborigeno, un furfante squattrinato che vive di espedienti, un politico e un giovane americano) si trovano coinvolti nella stessa storia e vengono tutti sospettati del delitto, che si risolve, nelle ultime pagine, con un finale inaspettato e forse non del tutto efficace. La notorietà di Le dodici domande è stata accresciuta dopo la sua trasposizione cinematografica, realizzata nel 2008, con il film The Millionaire che neutralizza alcuni degli aspetti più interessanti e originali del romanzo, e sacrifica la ferocia fulminante dei bozzetti del romanzo a favore di una trama più banale, e, per molti aspetti, non priva di incongruenze e di zeppe narrative, nella quale i singoli episodi sono legati da una storia d'amore piuttosto scontata. H ritmo serrato del testo, al contrario, rende al meglio i diversi spaccati dell'India contemporanea, evitando di racchiuderli, nella finta unità di un filo conduttore che culmina in un lieto fine di prassi. Non è un caso infatti che, mentre nel film la conciliazione finale è completa, con tanto di "cattivi" morti ammazzati e con la coppia dei protagonisti impegnata in un balletto hollywoodiano girato nella stazione di Mumbai, la conclusione del romanzo è di fatto aperta, quasi a suggerire l'impossibilità di porre fine agli episodi narrati; il breve epilogo figura come un'appendice accessoria, mirata a soddisfare la curiosità di chi legge, e non come il momento finale di risoluzione degli intrecci presentati dalla storia. Più che di un ritratto realistico dell'India di oggi, pare che Swa-rup abbia voluto dare vita, con i suoi romanzi, a un bestiario, una galleria di tipi che incarnano immagini emblematiche della società indiana. Tanto Le dodici domande quanto I sei sospetti, infatti, possono essere letti come un grandioso dittico satirico degli stereotipi della "India shining" esaltata negli anni più recenti, i cui protagonisti funzionano come icone più che come personaggi in senso classico. In Le dodici domande il protagonista racchiude sin dal nome il passato e il presente della nazione indiana, e la fisionomia composita della sua popolazione. Ram Mohammad Thomas è un riferimento chiaro tanto alla presenza simultanea di tre religioni sul suolo indiano (quella hindu, quella musulmana e quella cristiana) quanto alla successione con cui il dominio islamico prima, e quello britannico poi, si sono insediati in India, producendo nel corso dei secoli quello strano miscuglio di religioni, identità culturali e tradizioni politico-giuridiche che è stato troppo presto e troppo spesso liquidato in nome della retorica multiculturalista di una società pacificata con se stessa e con la sua pluralità di popoli e culture. Non è solo il divario tra la popolazione ricca e i milioni di disperati a essere oggetto di entrambe le opere di Swarup, quanto quello esistente tra un'immagine propagandistica dell'India come stato moderno e perfettamente inserito nelle dinamiche del capitalismo globale e la realtà delle campagne o delle periferie, ancora fortemente ancorata alla tradizione. Da una parte, infatti, ci sono gli emblemi della nuova India, gli imprenditori, le star del cinema, i giovani della buona borghesia che parla inglese, i politici; dall'altra, la presenza, quasi ingombrante e inopportuna, della povertà e del disagio, prodotti del passato coloniale e delle politiche della globalizzazione, è resa dalle raffigurazioni dei senzatetto di Mumbai piuttosto che degli indigeni delle isole Andamane (I sei sospetti), o di discutibili missionari cristiani {Le dodici domande), degli orfani e dai mendicanti, e così via, in un universo infernale nel quale, a conti fatti, non è possibile individuare buoni o cattivi. Quella di Swarup è una narrazione sempre ironica e divertita, e tuttavia lucidamente consapevole degli ingranaggi complessi che regolano le realtà dell'economia e della società indiane; lo stile brillante e quasi leggero che segna pagina dopo pagina la scrittura della sua commedia umana restituisce ogni dettaglio di un caleidoscopio continuamente differenziato e cangiante e tuttavia drammaticamente immobile, intrappolato dagli innumerevoli retaggi del passato e dalle regole sprezzanti di un presente segnato dalle norme inique dell'economia neocapitalista e dalle minacce del terrorismo globale. ■ iuliano®unior.it F. Iuliano insegna lingua inglese all'Università di Torino Kiran Nagarkar RAVAN & EDDIE ed. orig. 1994, trad. dall'inglese di Gioia Guerzoni, pp. 320, € 14,50, Metropoli d'Asia, Milano 2009 Ambarish Satwik IL BASSO VENTRE DELL'IMPERO ed. orig. 2007, trad. dall'inglese di Andrea Sirotti, pp. 192, €12,50, Metropoli d'Asia, Milano 2009 Cyrus Mistry LE CENERI DI BOMBAY ed. orig. 2006, trad. dall'inglese di Giovanni Garbellini, pp. 416, €16,50, Metropoli d'Asia, Milano 2009 64/Ton i suoi quattordici V_^milioni di abitanti, Bombay è la città più grande su un pianeta di abitatori di città. Bombay rappresenta il futuro della civiltà urbana del pianeta. Che Dio ci aiuti". "God help us". Queste le parole con cui Suketu Mehta apriva Maximum City (Einaudi, 2006; cfr. "L'Indice", 2007, n. 5). Sono forse quei quattordici, oggi diciotto milioni di abitanti a spaventare e ad attirare l'attenzione mondiale su questa città? Le luci di Bollywood, l'incredibile crescita economica, la malavita dilagante fino al più remoto dei quartieri, l'esplosione edilizia che spinge la metropoli verso l'alto dei cieli, o l'altrettanto eclatante esplosione, in tutte le direzioni, di slum e baraccopoli sovraffollate? Proprio a questo nuovo scenario mondiale, Andrea Berlini, fondatore della casa editrice Metropoli d'Asia, volge lo sguardo, con l'obiettivo di accogliere nuove voci attraverso le parole di scrittori che vivono e scrivono in questi paesi, soprattutto in India e in Cina. La collana è stata meritoriamente inaugurata da un romanzo non recente, Ravan & Ed-die di Kiran Nagarkar, che si apre con la scena beneaugurante di una natività. O meglio una doppia natività, tutta indiana, tra morte e rinascita, che accade il giorno della prima vigilia di Natale dell'India indipendente, un precipitare e rinascere che ricorda i "satanici versi" e la "mezzanotte" di Rushdie. Le vite di due comunità, rappresentate da Ravan, indù, e Eddie, cattolico, si intrecciano nel corso del romanzo in esistenze caratterizzate da abitudini quotidiane molto diverse, ma allo stesso tempo così uguali nelle sfide per la sopravvivenza quotidiana. A fare da sfondo è una Bombay fresca d'indipendenza, instabile, ancora alle prese con l'eredità coloniale. E Nagarkar fa affiorare tutte le contraddizioni e i problemi che la città si trova ad affrontare attraverso digressioni quasi cinematografiche che frammentano la narrazione. In uno dei tanti intermezzi, l'autore muove l'attenzione sul problema dell'acqua, piaga perenne degli slum di Bombay/Mumbai, tanto da diventare pretesto di scontri violenti tra gli abitanti delle aree più povere: "Acqua, sangue. C'è forse differenza? Le guerre per l'acqua erano cominciate". Il problema dell'acqua resta a tutt'oggi vivissimo, come scrive Suketu Mehta: "In tutti gli slum di Jogeshwari che vedo c'è un televisore (...) I veri beni di lusso sono acqua corrente, bagni puliti e trasporti e case adatte a esseri umani". Al momento della pubblicazione, nel '94, Ravan & Eddie non fu accolto con troppo entusiasmo dall'opinione pubblica indiana, che criticò la scelta dell'autore di passare dalla scrittura in marathi a quella in inglese. Nagarkar replicò alle critiche mettendo in discussione l'operato dello Shiv Sena — che ha governato il Mahara-stra dal 1995 al 2001 - e più in generale della destra indiana, facendo notare come non si fossero mai seriamente adoperati per valorizzare le lingue indiane. Proprio in Ravan & Eddie, Nagarkar rileva come l'inglese, anche e ancor più dopo l'indipendenza, sia diventato strumento di potere, "Perché il mondo si può dividere in due: quelli che sanno l'inglese e quelli che non lo sanno. I primi sono i ricchi, i secondi i poveri". L'India indipendente e la sua classe imprenditoriale decidono di accogliere il modello capitalista e l'inglese diventa veicolo di accesso verso questo nuovo mondo; così da retaggio culturale e lingua imposta del Raj britannico in India, diventa simbolo di un'altra forma di colonialismo. Ed è proprio di potere coloniale, o meglio di de-costruzione del potere coloniale in India, che si occupa il chirurgo e scrittore Ambarish Satwik nella raccolta di racconti Il basso ventre dell'impero, il volume per il momento più innovativo della collana, soprattutto per l'uso che fa della lingua e per l'irriverenza nel trattare un tema abusato come quello del dominio coloniale inglese. Satwick analizza, nel senso più viscerale della parola, il tramonto dell'impero britannico in India attraverso le malattie, per di più veneree, contratte da membri del governo britannico e commercianti inglesi in India tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo. Ogni racconto prende le mosse da un avvenimento storico o da un personaggio realmente esistito, che l'autore fa rivivere e parlare nella finzione letteraria attraverso il suo occhio freddo e lucido di chirurgo. Satwick usa la lingua come un bisturi e nel suo operare fa scorrere pus e sangue e sperma senza risparmiare nessuno. Da questi racconti, il colonizzatore inglese emerge quale "maschio" che usa il sesso come strumento di potere. Satwik attribuisce a Honoria Lawrence, moglie del sottotenente Henry, dure parole di denuncia. L'abuso sessuale verso la moglie diventa aperta metafora del dominio coloniale inglese in India, secondo quelli che Ann McClintock definisce "porno-tropics" dell'immagina- zione europea, ima lanterna magica del pensiero con cui il mondo europeo proietta paure e desideri sessuali repressi sulle colonie. Le malattie contratte da militari e governatori stranieri nelle colonie, a causa sia del cambiamento climatico, sia delle abitudini molto spesso "libertine" dei colonizzatori, sono sempre state lette come segno di impurità e di inferiorità dei paesi conquistati. Di malattia e contaminazione si continua a parlare nell'India moderna. Come scrive Arjun Appadurai, a rappresentare l'altro come sporco che macchia e infetta la città sono le classi più disagiate, e la comunità musulmana in particolare. Cyrus Mistry, fratello del più noto Rohinton Mistry, nel suo denso romanzo-cronaca Le ceneri di Bombay, ambientato tra gli anni sessanta e novanta del Novecento, ben analizza il problema della convivenza intercomunitaria e ricostruisce gli attacchi alla comunità musulmana avvenuti a Bombay nel 1993, pochi mesi dopo la distruzione della moschea di Ayodhya per mano dei fondamentalisti indù, nel dicembre 1992. Mistry racconta la violenza della guerriglia etnica e le sue parole risuonano più che mai vive alla luce dei nuovi attentati avvenuti a Bombay due anni fa. L'autore analizza i problemi della città: dalla speculazione edilizia alle estorsioni della mafia cittadina ai danni degli immigrati di tutti gli stati indiani, dal lavoro delle Ong negli slum alla corruzione politica e all'ascesa del fondamentalismo indù in risposta alla frammentazione di ima città alla disperata ricerca di un gruppo-casta, una religione nella quale potersi identificare. H tutto attraverso la storia di Jingo, inetto aspirante scrittore alle prese con la ricomposizione dei frammenti di un'esistenza fatta di poche amicizie, un amore fallimentare, ima totale incapacità di dedicarsi allo studio o al lavoro. Gli umori della città e quelli di Jingo si intersecano in un'analisi critica che unisce l'incapacità dell'individuo solo di vivere la quotidianità e la disgregazione di una metropoli le cui molteplici realtà diventano causa di rigidità e violenza. Nonostante la solida complessità dell'impianto strutturale del romanzo, la lingua non è sempre all'altezza e in alcuni capitoli la narrazione si fa più faticosa. H lettore resta comunque inevitabilmente attratto dalla figura di Jingo, che lo rende partecipe delle dinamiche della sua città-mondo. E anche nel finale il lettore non può che condividere l'incredulità di Jingo nel constatare l'irrigidimento su base religiosa della città: "C'erano troppi vicoli in città, troppe case e alloggi, troppe persone che ri abitavano, troppa vita, perché chiunque potesse imporre un'uniformità a quel caos sfaccettato e ribollente. Ma era evidente che si sbagliava". Chissà se nella corsa alla modernità Bombay/Mumbai riuscirà a mantenere le sue "facce, che cambiano con la rapidità delle fasi lunari", come scrive Mistry, o se si arrenderà a un infelice destino statico e monocromatico. ■ s italu®hotmai1.it L. Pellegrino è dottoranda in Letterature dei Paesi di Lingua Inglese all'Università di Torino