N. 5 da BERLINO Irene Fantappiè Alla recente Fiera del libro di Lipsia il premio per la prosa è stato assegnato a Georg Klein per il libro Roman unserer Kindheit ("Romanzo della nostra infanzia"), pubblicato da Rowohlt. Il premio per la traduzione è andato a Ulrich Blu-menbach che ha volto in tedesco il monumentale Infinite Jest di David Foster Wallace, uscito con il titolo Unendlicher Spafi per Kiepenheuer & Witsch. Ad aggiudicarsi il riconoscimento per il miglior lavoro di saggistica è invece stato Ulrich Raulff con un libro che descrive la storia del "circolo di George" dal 1933, anno della morte del poeta, fino al 1968. Kreis ohne Meister. Stefan Georges Nacbleben ("Circolo senza maestro. La fortuna postuma di Stefan George"), pubblicato dalla casa editrice C. H. Beck, analizza da una prospettiva storica e sociologico-let-teraria la fama postuma di George e al contempo ricostruisce con acribia gli intrecci letterari e politici che fanno capo alle persone legate al George-Kreis. La ricezione delle idee di George e l'attività di chi ne fu influenzato diventano dunque in questo volume il punto di partenza per compiere un percorso interessante nella storia delle idee in Germania nell'arco di tre decenni cruciali. La storia del circolo di George si incrocia prima di tutto con quella del nazionalsocialismo: al capezzale di George morente nel 1933 c'è Claus Schenk von Stauffenberg, il futuro autore dell'attentato a Hitler del 20 luglio 1944; accanto c'è il medico Walter Kempner, il cui fratello sarà una delle figure di spicco del processo di Norimberga. L'analisi di Raulff sulla "sopravvivenza" di George nella cultura tedesca prende poi in considerazione l'epoca del conflitto mondiale e l'evoluzione della Germania nei decenni successivi alla guerra. Non ci si limita solo all'ambito tedesco: troviamo l'esilio americano di Ernst Kanto-rowicz e di Erich e Fine von Kah-ler, e seguiamo le vicende di Wolfgang Frommel ad Amsterdam. Il volume si basa su una ricerca minuziosa e include una grande quantità di materiali anche inediti, ma è scritto in una prosa estremamente fluida e a tratti "giornalistica". Raulff, attuale direttore dell'Archivio tedesco della letteratura di Marba-ch am Neckar, è infatti non solo uno studioso di letteratura, ma anche una nota firma dei più importanti feuilletons tedeschi. VILLAGGIO GLOBALE cui due impiegati di una nota ditta di tessuti spariscono misteriosamente: e poi via con tutti gli ingredienti di un qualsiasi giallo che si rispetti. Il fatto è che l'ambientazione del romanzo è un luogo che esiste davvero. Il Marché Saint-Pierre è uno storico magazzino di stoffe del XVIII Arrondissement di Parigi, nella Butte Montmartre. E ai suoi dirigenti proprio non è piaciuto il libro, tanto che dopo averlo letto hanno deciso di denunciare per diffamazione autrice ed editore. Al tribunale di Parigi chiedono il ritiro dal commercio del libro e un risarcimento di due milioni di euro per danni all'immagine. L'accusa si fonda sul fatto che il Marché Saint-Pierre è un marchio registrato, utilizzato nel libro senza alcuna autorizzazione. Eppure l'autrice scrive a chiare lettere nella prima pagina: "Se il Marché Saint-Pierre esiste davvero, se certi elementi provengono da passeggiate e in- contri che vi ho fatto, tutto nel libro è finzione, poiché soltanto lo spazio della finzione poteva permettermi di andare a scandagliare alcuni antri della psiche umana". La questione che davvero si pone è se la giustizia possa o meno vietare la finzione. Ma poi, l'immagine dell'azienda è davvero messa in pericolo dal libro? I dirigenti del Marché Saint-Pierre dovrebbero sapere che dopo il romanzo di Dan Brown gli ingressi al Louvre sono aumentati, e che il libro è servito da cassa di risonanza e ha fatto un'enorme pubblicità (fra l'altro gratuita) al museo. Ma ormai la macchina della giustizia si è avviata. Il tribunale si è riunito il 9 aprile e ha stabilito la data del processo, il prossimo 15 ottobre. Aspettando la sentenza, il primo effetto è stato (bontà dei dirigenti) un esponenziale aumento delle vendite del ro- manzo. da PARIGI Marco Filoni Provate a immaginare questa scena: la direzione del Museo del Louvre che cita in giudizio Dan Brown, perché nel suo romanzo II Codice da Vinci ha ambientato un omicidio nel museo. Così facendo avrebbe restituito un'immagine negativa del Louvre, e quindi accusato di diffamazione. Surreale? Non si direbbe, visto che qualcosa del genere sta succedendo nelle ultime settimane. Lalie Walzer è un'autrice di gialli, piuttosto nota agli amanti del genere. Nel suo ultimo libro Aux malheurs des da-mes, pubblicato nel novembre 2009 dall'editore parigino Pari-gramme, immagina una storia in Per viaggiare in India di Luciano Del Sette V' V II ìaggiare oggi è, al medesimo tempo, estremamente semplice ed estremamente complicato. Chi varca i propri confini incontra oggi realtà difficili da comprendere soltanto con un manuale di viaggio. Servono anche altri, e diversi, strumenti di interpretazione. Leggere prima di partire è diventato, dunque, un imperativo. Che suona ancora più forte guardando all'India. Tra gli infiniti diari e reportage scritti sul paese nel corso dei secoli, c'è Viaggio negli Stati del Gran Mogol di Francois Bemier (Ibis, 1991). Ber-nier ne iniziò la stesura nel 1670, di ritorno da un viaggio che lo aveva allontanato dalla sua Marsiglia per quindici anni. Le cronache, le impressioni, le descrizioni, hanno un merito ulteriore, sottolineato da Luciano Pellicani nell'introduzione: Bemier fu "il primo studioso che sia riuscito a vedere che il terreno sul quale si manifestava in maniera chiara ed evidente la superiorità dell'Europa sulle civiltà orientali era quello dell'economia". La patente di paladino della superiorità occidentale è stata sempre attribuita dai critici a Rudyard Kipling. Smentisce tale etichetta Ugo Cundari, traduttore e acuto prefatore di Viaggio in India (pp. 207, € 13, Castelvecchi, Roma 2010), raccolta degli articoli che Kipling scrisse tra il 1887 e il 1888 per i quotidiani "Pioneer" e "Pioneer Mail" di Al-lahabad, dagli Stati Indigeni, cioè non direttamente controllati dalla Corona britannica. Bersaglio dei suoi resoconti è il viaggiatore inglese, arrogante, superficiale, programmato. Al contrario, Kipling, ravvisa nell'o« the road e nei suoi imprevisti l'unico vero modo per conoscere un paese cui tributa totale ammirazione. Mircea Eliade ci ha lasciato due titoli indispensabili, pubblicati per la prima volta in Romania nel 1934 e 1935, e in Italia da Bollati Boringhieri, India (1991), Diario d'India (1995). Eliade introduce così alla sua prima opera "Questo libro non è un diario di viaggio né un libro di impressioni, di ricordi. Contiene una serie di frammenti (...) alcuni scritti sul posto, altri più tardi, altri ancora estratti da un taccuino personale. Non è quindi un libro unitario sull'India". I luoghi visitati tornano, in forma di "romanzo indiretto", la definizione è dell'autore, nella seconda opera. Stefano Faravelli, autore di India, per vedere l'elefante (Edt, 2007), è artista considerato, non solo in Italia, uno dei più grandi interpreti moderni di quei carnets de voyage compilati dai viaggiatori tra Sette e Ottocento in giro per il mondo. Del lavoro di Faravelli non incantano soltanto le meravigliose illustrazioni, ma il "disegno" narrativo, che immerge in un percorso dove quotidianità e leggende, templi e villaggi, persone di strada e persone di fede si incrociano, rendendo vivi sulla carta odori, suoni, facce, luci. Decisamente più mondano, visto anche il tema, è il carnet firmato da Pierre Po-lomé e Virginie Broquet, Bollywood. Viaggio alla scoperta del cinema indiano (Fbe, 2006). L'India e la donna: una condizione e un ruolo di difficilissima comprensione per chi abita 0 Primo mondo. Ci aiutano due libri. Lezioni di inglese di Shauna Singh Baldwin (Fbe, 2006), canadese cresciuta in India, raccoglie quattordici racconti sulle vite di altrettante donne che, dal 1919 a oggi, sono riuscite a far convivere le loro radici con quelle occidentali, seguendo strade assai diverse. Essere donna in Asia di Lucilla Di Rico e Francesca Quartieri (Emi, 2004, dvd allegato) dedica uno dei capitoli alla condizione femminile indiana, e diviene ancor più istruttivo considerando l'area omogenea di declinazione del tema. Di agevole lettura, chiaro e assai ben strutturato, è La nascita dell'India moderna di Reba Som (ed. orig. 2004, trad. dall'inglese di Mario Prayer, pp. 287, € 22, Castelvecchi, Roma 2009), in cui l'autrice analizza il pensiero e l'azione politica di tre figure fondamentali nella storia contemporanea del paese: Ghandi, Bose e Neru. Paul Dundas firma II jainismo (Castelvecchi, 2005), storia dell'antica religione indiana che predicò la non violenza, influenzando profondamente il cammino del Mahatma. La luce di Ghandi, pur nello scontro di due culture opposte, si riflette anche sul piccolo villaggio che dà il titolo al romanzo Kantba-pura di Raja Rao (Ibis, 1994). Qui si confrontano le voci del protagonista, seguace delle nuove idee e dell'indipendenza dell'India, e di una donna che conosce leggende e tradizioni locali. Uno sguardo trasversale su megalopoli, city finanziarie, ipertecnologie, estremi sociali, collusioni e corruzioni dei poteri, arriva da India (Isbn, 2008), antologia a cura di Gioia Guerzoni: cinque racconti, sei reportage e tre fumetti di giovani artisti, registi, scrittori, che hanno deciso di restare in patria. Lontani dai miraggi occidentali, vicini alla speranza che una nazione più uguale sia possibile. Confenna forte della schizofrenia provocata nelle nuove generazioni indiane dalla sospensione tra due culture, arriva dall'intenso romanzo di Samina Ali, Giorno di pioggia a Madras (ed. orig. 2005, trad. dall'inglese di Claudia Valeria Letizia, pp. 380, € 18, e/o, Roma 2010). Layla vive negli Stati Uniti. Promessa sposa via internet a Samir, si trova costretta ad affrontare il dilemma della sua vera identità, il peso insopportabile di tradizioni obsolete, la volontà di emancipazione imprigionata dentro i meccanismi conservatori degli affetti familiari. \t \t da LONDRA Florian Mussgnug Il prestigio di Ian McEwan è incontestato. Ma che cosa lo rende uno degli scrittori di maggior successo della sua generazione? Sfogliando le pagine di Solar, è facile ritrovare gli ingredienti che hanno determinato il successo dei romanzi precedenti. C'è innanzitutto l'ormai proverbiale perizia artigianale dello scrittore londinese, la sua fascinazione per il dettaglio minuto e il suo talento narrativo. Parecchie pagine sono dedicate a un divano inelegante, persino a un sandwich al salmone andato a male, ma bastano poche parole ben scelte per evocare l'atmosfera di un sobborgo londinese, una cittadina di provincia in New Mexico, la glaciale desolazione di Spitsbergen. A un livello più generale, Solar si presenta come un romanzo politico sul cambiamento climatico, che rifugge sia dal moralismo che dal catastrofismo apocalittico. Piuttosto che descrivere il disastro globale, McEwan ci racconta la vita complicata e a tratti esilarante del professor Michael Beard, Nobel per la fisica, donnaiolo sovrappeso e da poco convertito, non senza scetticismo, alla causa dell'energia rinnovabile. All'inizio del romanzo, lo troviamo schiacciato tra lo zelo di un giovane ricercatore, che spera di convertire Beard all'energia verde, e il silenzio glaciale di Patri-ce, la sua quinta moglie, che, per punire il marito delle numerose scappatelle, lo tradisce con un operaio. Le cose vanno di male in peggio e Beard si ritrova presto al centro di una commedia grottesca, che ricorda a tratti un thriller di Hitchcock, a tratti un campus novel di David Lodge. Non tutti i dettagli convincono. Alcuni personaggi minori sono troppo prevedibili per risultare divertenti e certi aspetti dell'intricata satira sociale sono appena abbozzati. C'è inoltre una certa tendenza alla farsa che non consona sino in fondo con questa storia avvincente di ipocrisia e autocompiacimento. Nel fatto che Michael Beard riesce a farla franca risiede forse il più importante segreto del successo di McEwan: mentre altri scrittori tormentano i loro personaggi, lo scrittore inglese con i suoi usa tatto e rispetto, chiedendo al lettore un po' di simpatia anche per quelli più ambigui. \ M M J6 "Vg M M M