R12 tbÈLLA SCUOLAC W /\/\/\£%/\/\/\/\/\/\, Delirante e visionario di Gianluca Argentin Fulvio Ervas FOLLIA DOCENTE pp. 223, €12, Marcos y Marcos, Milano 2009 4 on una laurea in scien- • V_ ze agrarie a indirizzo zootecnico avrei potuto dedi- carmi al calcolo del baricentro delle uova da panettone o pro- gettare un reggiseno per muc- che da latte. Appiccicare coc- cinelle essiccate sulla buccia delle mele trentine poteva rive- larsi altrettanto interessante. Esi- tavo". È da questa esitazione che inizia la storia del protagonista, un insegnante che seguiamo dai suoi primi passi nella scuola alla conclusione, quando lo ritrovia- mo tutor impegnato nella forma- zione dei giovani insegnanti. Po- trebbe sembrare quindi una te- stimonianza sulla scuola, su com'era ieri e su com'è oggi. Bastano però po- che pagine di lettura per rendersi conto che abbiamo tra le mani non una testimonianza autobiografica, bensì un romanzo delirante e visionario (scritto in un modo che non sem- pre aiuta il lettore a se- guirne le intricate vi- cende, accrescendone così la dimensione onirica). Rias- sumiamolo per brevi punti. Il protagonista, all'inizio della sua carriera di insegnante, vive con entusiasmo il nuovo impie- go, anche perchè "nessuno ti giudica. Nessuno ti controlla. Insomma: sei quasi Dio. Ti illudi di essere Dio. Del resto, non sei da solo in classe?". Ecco allora che il neoinsegnante vuole "da subito cambiare la scuola" e im- magina riforme, "quelle cose che si fanno per risparmiare"; giun- ge a pensare "persino di avere la funzione di trasmettere cono- scenza". Il protagonista ci rac- conta così le sue prime lezioni in classe, spaesanti tanto per lui quanto per gli studenti: "Racco- glievo concetti come invisibili ciuffi di cotone e tessevo, tra le dita, lunghe argomentazioni che passando da banco a banco si trasformavano. L'ozono era di- ventato Orzoro che blocca i rag- gi ultraviolenti alla mattina du- rante la colazione. Diamine! Avevo creduto possibile lanciar- li sull'orlo della ga- lassia e forse in un punto nell'ovun- que dell'universo. Saltavo di qua e di là, come una tele- visione, dicendo tutto quello che ri- cordavo. Poi, per la prima volta, mi ero girato a guar- darli: s'erano per- duti. Appoggiati ai muri, a debi- ta distanza, affannati e confusi". L'inevitabile crisi che segue por- ta il nostro insegnante a cercare soluzione in due vecchie zie ex insegnanti, che "mi fecero stu- diare per quattro giorni interi, anche fino a notte inoltrata. Mi con il partita obbligavano a ripetere gli argo- menti; e in caso di dimenticanza, mi dicevano, preparati i biglietti- ni, i bigliettini sono l'essenza della conoscenza". Anche queste misure non ar- restano però la crisi del neoinse- gnante, dal momento che "la no- stra gioventù, quella che aspira a un titolo di studio, può essere molto crudele se vuole. Presero a bombardarmi, sistematica- mente, di domande". Dopo "l'anno zero, quello in cui tutto comprendi o perisci", il protago- nista contrae così la "follia do- cente", malattia che lo porta pri- ma a periodi di risposo suggeriti dal dirigente, poi a ispezioni mi- nisteriali e infine a un passo dal perdere il posto di lavoro. Il tut- to passando attraverso il cadave- re di una supplente polacca at- taccato alla cappa dell'aspiratore nel laboratorio, una "forca di- dattica" allestita in palestra per un professore colpevole di aver interrogato gli studen- ti, una lavanderia di cinesi al secondo pia- no sotterraneo della scuola per far tornare i conti, la produzione di pillole generatrici di fantasia nei bagni de- gli studenti, le innova- zioni recenti come "storia del disagio gio- vanile, una disciplina inserita da poco, ma dovuto scalpore", una di calcio studenti-inse- gnanti che diventa provveditore- protagonista e molte altre trova- te tanto visionarie quanto diver- tenti. Esilarante il colloquio fina- le, tra il protagonista, cui è stato affidato il ruolo tutor dei docen- ti neoassunti, e un giovane colle- ga che si affaccia alla professio- ne. Dovrebbe essere chiaro che dietro la facciata del romanzo vi- sionario c'è un modo alternativo di testimoniare la scuola di ieri e di oggi. Indossando le lenti deformanti usate dell'autore, una volta vinto il disorientamen- to che ci procurano, riusciamo a sorridere degli eterni problemi della scuola, ma anche a coglier- ne la complessità e, soprattutto, a smascherare le finte "soluzio- ni" date dal governo di turno o suggerite da sedicenti "esperti". Come dice il protagonista (o, meglio, lo scrittore-insegnante che ci sta dietro): "Ho dovuto, mio malgrado, imparare che l'i- struzione è una trincea. Fangosa, spietata, senza fine. Perchè la scuola è stata progettata co- D VA me una grande — - muraglia, per argi- nare il conflitto con le orde di ado- lescenti che pre- mono sulle delicate funzioni del con- sesso civile. Perchè l'adolescen- za è disordine e la scuola ne è l'imperfetta, e tuttavia necessa- ria, macchina ordinatrice". ■ g.argentindcampus.unimib.it G. Argentin è dottorando presso l'Università di Milano-Bicocca : / \f \£\£\£\£\£\£\£\£\£W V \i'\f \£\ I cuori e gli errori di Fiammetta Corradi "A \ Marco Lodoli IL ROSSO E IL BLU Cuori ed errori nella scuola italiana pp. Vili-155, € 15, Einaudi, Torino 2009 cv Il titolo del nuovo libro di Marco Lodoli immediatamente evoca, seppure solo per parziale assonanza, il titolo di un capolavo- ro della letteratura mondiale, Il rosso e il ne- ro di Stendhal (dove il rosso simboleggia la divisa militare e il nero la tonaca talare, le iden- tità sociali che il protagonista sposa nel tentati- vo di "diventare qualcuno"). Nonostante la no- bile eco letteraria che risuona nel titolo, l'autore ripiega nel sottotitolo su un simbolismo abba- stanza scontato, stando il rosso per le passioni e per i turbamenti che pervadono insegnanti e studenti in ambivalenti rapporti di amore e di odio, di entusiasmo e di rassegnazione, di spe- ranza e di pessimismo nei confronti della scuola (i "cuori"), e il blu per le colpe (di carattere mo- rale e istituzionale) di cui sarebbero responsabi- li ministero e insegnanti (gli "errori"). Il primo a essere travolto dal pathos, ad apri- re al lettore il cuore pervaso da contraddizioni e a riconoscere i propri limiti, è proprio Lodo- li, che, a volte senza completo controllo emoti- vo, quasi sempre con controllo stilistico, comu- nica le sue esperienze quasi trentennali di do- cente delle scuole superiori in un liceo della periferia romana, situato al confine tra la vita e la mala-vita, le sue impressioni su quella frazio- ne "perduta" della nuova generazione che ha conosciuto a scuola e i propri valori, che espri- me in brevi, più o meno condivisibili, lezioni morali. Se questo libro può (come dovrebbe) essere ap- prezzato da generazioni di lettori molto distanti (ad esempio anche da un lettore che, per ragioni generazionali, non possa condividere una visione aurea della scuola di cinquant'anni fa, né appieno comprendere la nostalgia per il terrore suscitato dall'unicità e dalla sacralità del quaderno Pigna, o l'orgoglio derivante dalla presunta superiorità morale dell'antico "monello" rispetto all'attuale "bullo"), questa possibilità risiede nel suo valore di testimonianza, nell'opportunità che Lodoli of- fre di conoscere più da presso l'universo dei mi- gliori insegnanti e quello dei buoni e (soprattutto) dei pessimi alunni, le relazioni possibili, intime e meno intime, tra l'uno e l'altro, le frequenti, ma non per questo necessariamente demotivanti, sconfitte in cui i docenti incorrono nel tentativo di costruire ponti tra due universi generazionali se- parati da un abisso culturale e tecnologico. Ciononostante, questo libro allo stesso tempo ispirato, nostalgico, realista e catastrofista, tra l'altro non privo di saltuari barlumi di sincero ottimismo e di misurata ironia, riesce alla fine a proporre "soltanto" una concezione individuali- sta ed eroica del quotidiano a scuola: invitare in- segnanti (e alunni) a dare ogni giorno indivi- dualmente il meglio di sé (nonostante sia molto più di quanto, almeno per gli insegnanti, d'uffi- cio richiesto e debitamente riconosciuto) equi- vale a trasferire e a consolidare nella sfera priva- ta preoccupazioni e problemi di carattere pub- blico, alla cui soluzione molto potrebbero inve- ce giovare l'esperienza e le proposte di chi da tanto tempo, a scuola, si trova "in trincea". ér H, % ir V N, tT N, % r % J? Rassegna di macchiette di Paola Brusasco Chiara Valerio NESSUNA SCUOLA MI CONSOLA pp. 167, €9, nottetempo, Roma 2009 44X. on se ne esce. Alme- no fino a quando non suona la campanella". Non sempre, visto che certe fac- cende di scuola ti si appicci- cano addosso, ma per Ales- sandra Faggi, trentenne, sup- plente annuale, la campanella è liberatoria quanto per gli stu- denti, perché a scuola - ci dice - "non si cresce mai". Non una ve- ra trama in Nessuna scuola mi con- sola, bensì aneddoti e siparietti di in un repertorio che Faggi, "non mercenaria ma solo precaria", usa per presentare i paradossi spesso generati dai rapporti scolastici. "Dev'essere la struttura della scuola, crea frustrazione più dei corridoi di linoleum, delle porte di compensato e delle pareti di cartongesso". La bruttezza degli ambienti in cui adulti e adolescen- ti trascorrono buona parte della giornata - difficili da sentir propri data la decadenza e l'economia dei rabberci — dà il via ad assur- dità e osservazioni divertenti che, pur apparentemente strampalate, sono condivisibili: "A scuola si iscrivono tutti e tutti continuano, quasi l'obbligo scolare fosse la carta verde delle ferrovie dello stato"; e, riguardo la difficoltà di tenere le classi, "L'appello è la premessa in un'aula dove non si conosce nessuno. Altrimenti una rimane incinta, un altro si lussa una spalla (...), il quarto, che non sai chi è perché la classe non è tua, sta ammazzando la nonna e il po- vero supplente passa i guai". Pur in tono leggero, Chiara Va- lerio evidenzia il ricatto dei ricor- si, le montagne di scartoffie, l'im- potenza davanti a studenti divisi per lo più fra centri commerciali e reality o talent shows, scarsi di concentrazione e senso del valore dello studio, davanti a presidi tendenti ad anteporre la burocra- zia ad altre considerazioni, da- vanti alla posizione di ostaggio in pugno a leggi che non tutelano gli insegnanti, lasciandoli in pasto alla (possibile mancanza di) co- scienza delle famiglie. Ecco allora la resistenza di un nucleo sovver- sivo di cinque docenti riuniti da Faggi in un gruppo di ascolto che, secondo necessità, si ritrova in sala professori nottetempo, con tanto di candele a dare un tocco satanico. Pecca talvolta di una sorta di saccenteria generazionale Faggi, convinta - a quanto pare - che solo lo sguardo distaccato ed ef- fimero del precario colga le ma- gagne del sistema. Vero, si in- contrano docenti dall'aria rasse- gnata, ravvivati solo dalla pro- spettiva della pensione. E c'è ov- viamente chi cerca di fare l'indi- spensabile e anche meno, come in tutti gli ambienti di lavoro, ma c'è una maggioranza poco visibi- le che sfata questi luoghi comuni pur avendo superato i trent'anni e l'immissione in ruolo, gli spar- tiacque nel libro. E poi c'è l'episodio, potenzial- mente drammatico, di Berti (Car- lo Berti, TVB), invaghito o solo de- sideroso di emulare la professo- ressa, che si fa fare lo stesso ta- tuaggio, scorto per caso a causa di una caduta. Dal contesto ridancia- no emerge tuttavia una fraintesa idea di tutela dei minori che rivela come dall'esterno si parta dal pre- supposto di colpevolezza del do- cente, la cui incolumità dipende dall'onestà dello studente e dal buon senso della famiglia. Così, non volendo rovinare il finale al lettore, ci limitere- mo a dire che, malgrado le irri- denti scenette dissacratorie e le tante osservazioni acute e condi- visibili, il libro costituisce una rassegna di macchiette che, per vizi, atteggiamenti e azioni, striz- zano l'occhio agli stereotipi (e li confermano) di insegnanti un po' deragliati, martiri dell'insegna- mento o bonari fannulloni visti in varie fiction. Insomma, una lettu- ra che diverte e introduce i non addetti ai lavori a misteri e pro- blemi della scuola di oggi. ■ paola_brusasco@yahoo.it P. Brusasco insegna lingua inglese all'Università di Torino